Soen

Memorial

Nel dare sfogo ad una passione, a volte capita di imbattersi in situazioni che non si sa bene come interpretare, perché se da un lato possono rappresentare un altro tassello da aggiungere al grandissimo puzzle che è quello della passione per la musica, dall’altro trovi che quel tassello da un’altra parte esiste già ed è davvero molto molto simile a quello nuovo che stai andando ad inserire: questo è ciò che accade quando inizi a seguire un gruppo che riesce a trasmetterti qualcosa nonostante sia plasmato su sonorità già esistenti e ben definite.

È il caso dei Soen, band svedese in cui milita l’ex batterista degli Opeth, Martin Lopez: una band che ho iniziato a seguire proprio grazie a questa militanza e che è stata in grado di fare breccia dentro di me sin da subito; però ad onor del vero si deve dire che nei primi due dischi, Cognitive e Tellurian, si sente forte l’influenza dei Tool e anche di certo alternative rock/metal un po’ più elaborato, soprattutto in Cognitive queste influenze sono molto più che semplici influenze tanto che a volte si sfiora il plagio. Questo però non ha fatto altro che aumentare la mia curiosità e la speranza che un giorno si sarebbero staccati da questo seno che, per quel che mi riguarda, li ha allattati per troppo tempo. Finalmente il momento arriva nel 2017 con Lykaia, terzo album della band, che inizia a far sentire la personalità degli Svedesi distaccandosi dalla pesante ombra dei Tool che fino ad allora incombeva su di loro: Lykaia è l’inizio della svolta, il disco che fa prendere alla band la piena consapevolezza dei propri mezzi compositivi e da lì inizia un bel marchio di fabbrica e un Soen sound.

Da quel 2017 di acqua ne è passata parecchia sotto i ponti, i chilometri macinati sono stati tanti e prima di arrivare ai giorni nostri, ci sono altri due dischi che hanno saputo dire la loro, garantendo ai Soen un successo sempre più ampio; successo che li ha portati qui, oggi, a rilasciare il loro sesto album in studio: Memorial.

Memorial è un album decisamente pretenzioso e lo è a ragion veduta perché non solo rappresenta la summa di quanto fino ad oggi sono stati capaci di esprimere, ma questa summa non è altro che un punto di partenza, una base da cui partire per costruire strutture armoniche, melodiche e ritmiche in grado di esprimere al meglio tutto il potenziale e il sapere compositivo dei Soen, perché se da una parte si ritrovano le strutture ritmiche e le alternanze di parti più metalliche accompagnate da momenti più riflessivi ed intimi, dall’altra non si può non notare come in più momenti questi loro standard abbiano funzionato da collante per creare degli ibridi violento-melodici che, attraverso l’aggiunta di ulteriori rielaborazioni, vanno ad arricchire la struttura delle composizioni andando a creare ulteriori piani di lavoro su cui si staglia una fantastica vena pop capace di elaborazioni da hook immediato.

In questa ultima release i Soen tutti non si sono risparmiati ed hanno dato vita ad un unicum in grado di andare ben oltre le proprie stesse barriere: l’apparente semplificazione del tutto riesce a donare alle canzoni un tiro e una penetrabilità immediati, capaci di ghermire l’ascoltatore sin dal primo momento e portano chi è davanti allo stereo a ripremere nuovamente play una volta finito il disco. Ad ogni nuovo passaggio ci si rende conto che, come ho detto poco sopra, la semplicità è solo apparente: le ritmiche sono complesse e intricate, le melodie sono ottimamente pensate e ciò che si livella sopra, ad iniziare dalla prova vocale, passando per gli inserti di tastiera e giochi con l’elettronica e finendo alla porzione solistica della chitarra, sono in grado di dare un’ulteriore spinta verso un grande lavoro.

Questa volta il quintetto svedese è riuscito ad unire alla perfezione il passato con il presente e soprattutto la porzione metal con quella più pop, sciorinando un riffing non solo estremamente piacevole ma grintoso e ricco di melodia in grado di conformare la tensione e l’immediatezza del metal con la freschezza e il groove dell’alternative e la piacevolezza e l’apporto melodico del pop, da cui prende in prestito anche le strutture di costruzione dei livelli che si sovrappongono all’ossatura delle composizioni. Credo che non ci sia esempio migliore per confermare questo, della ballad posta a chiusura del disco: Vitals, un brano che riesce a concentrare tutto il gioco di fusione operato in fase compositiva dal combo svedese, un brano che sembra uscire, ma solo in apparenza, dagli anni ’80 e sembra sia stato scritto per poter essere cantato dalla mai troppo compianta Whitney Houston. Di contro è possibile ritrovare la compenetrazione dell’influenza dell’alternative rock e del pop nel metal in un brano tirato e carico come Icon, dove il metal funge da ossatura cui tutta la ciccia poggia e resta attaccata e ben sorretta proprio perché è in grado di suggellare una perfetta fusione.

Qualcuno pensava che i Soen non potessero fare meglio del precedente Imperial, vedendolo come l’apice compositivo dei Nostri. Ancora una volta, nonostante molti miei colleghi non siano d’accordo, hanno dimostrato di saper andare oltre e rompere gli schemi, tirando fuori un disco che cresce e si lascia scoprire ascolto dopo ascolto: nonostante la vena pop in bella mostra, Memorial non è affatto un album da primo ascolto o da ascolto superficiale, ma ha bisogno di essere penetrato, richiedendo la necessità di immergersi nel suono per capire quanto sia stratificato e carico di fermento in ogni sua singola esposizione armonico-melodica. Certamente la melodia è il piatto forte di questo disco e in questo, altra parte del leone, è lasciata ai soli di Cody Ford, mai così belli ed ispirati: probabilmente un po’ troppo gilmouriani ma di grande classe ed effetto.

Non so dire se i Soen saranno in grado di fare meglio di questo Memorial, perché comunque l’impresa è ardua, so però che le potenzialità ci sono tutte e la nuova release le mette in mostra da subito, mantenendole per quasi tutta la durata del disco; dico quasi tutta per il semplice fatto che la prima ballad, Hollow, in cui vediamo come ospite la nostra meravigliosa Elisa, non è all’altezza del resto della scrittura, risultando in fin dei conti un po’ banalotta. Questo si ripercuote anche nelle parti vocali, molto molto standard, nelle quali Elisa riesce comunque a spiccare grazie alla sua splendida voce e alle sue capacità: questo, se vogliamo, è l’unico neo di un disco magistrale, un disco grazie al quale so che quel tassello posizionato nel puzzle è perfettamente al suo posto.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

Silver Lining
www.soenmusic.com

Sincere
Unbreakable
Violence
Fortress
Hollowed (feat. Elisa)
Memorial
Incendiary
Tragedian
Icon
Vitals

Joel Ekelöf – vocals
Martin Lopez – drums
Lars Enok Åhlund – keyboards and guitar
Cody Ford Lead – guitar
Oleksii “Zlatoyar” Kobel – bass

special guest:

Elisa  – cello & vocals on “Hallowed”