Profanity

Fragments of Solace

La colata lavica del sound dei Profanity è ipertecnica nonostante la ferocia che impatta in modo diretto. Una trama scura e violenta che però esprime abilità strutturale, agendo anche tramite un virtuosismo ben concepito.

Nel 2020 questi tedeschi non si sono risparmiati nella ricerca di una simil-sperimentazione attiva, però non sempre stanno abbastanza attenti a evitare l’artificio di troppo. Infatti questo quarto full-lenght dal 1997, pur avendo una notevole generale bontà descrittiva, non manca di qualche arzigogolo in alcuni episodi, ma di norma la band è in grado di gestirsi in maniera intelligente. Nota: ad una autoproduzione così di qualità vanno assolutamente fatti  i complimenti.

Il primo pezzo dell’album, ‘DISPUTED TERRITORY’, è cattivo, ma la parte strumentale è piena di gustosa pastosità, e l’anima si dipana con lucida efferatezza. La densa ‘PROGENITOR OF THE BLAZE’ fa venire fuori il lato prog del combo, e qui se la voce ha davvero poco impatto, la parte strumentale si cimenta in originali passaggi dalla pregnanza interessante. La lunga ‘RECKLESS SOUL’ risulta essere il momento più divertente del disco con la sua ecletticità strumentale molto progressive, che non ha paura di giocare sulle molteplici variazioni sul tema, diminuendo forse il peso Death della song, ma facendo bene il suo lavoro espressivo che colpisce per le soluzioni ideative. Tra le cose meno riuscite sta il brano ‘Where forever Star’ che presenta una iniziale sezione strumentale morbida, sempre in stile Death, ma poco efficace come poco efficace è l’intera canzone, anche se il senso d’insieme è raffinato; non un totale filler, ma certamente un brano minore anche per divagazioni eccessive che sembrano più esercizi stilistici che contenutistici, e questa caduta di sostanza è un rischio sempre presente nel loro suonare.

La cattiveria della band non emerge solo grazie alla voce, il cui growl cavernoso compatta la brutalità, ma anche per le svisate taglienti della chitarra e per la dinamicità del drumming. Pure questo lato è creato con ampia abilità tecnica; tale tecnicismo non sbrodola quasi mai fuori dallo schema canzone, anzi ne sottolinea l’essenza. Nei pochi casi in cui i tecnicismi debordano si perde il filo della composizione e ciò fa perdere feeling all’ascolto. In alcuni casi il Growl dà valore aggiunto, altre volte no, essendo la maggior parte delle volte piatta e statica, quindi solitamente risulta poco impressionante; esso si accende con maggior effetto quando inserisce il grugnito, lo fa raramente e però sceglie i momenti giusti. In effetti non è il cantato la cosa più valoriale del gruppo, lo sono invece tutte le elucubrazioni degli strumenti che si intersecano con insistenza. Tra gli strumenti, oltre alla chitarra schizoide, va considerata importante l’incisione che il basso fa tra le maglie, talvolta increspandosi da solo dentro pause brevi. L’attitudine progressive non è sempre evidente, ma in diversi pezzi essa si prende il suo deciso spazio apponendo un carattere frizzante alle tracce. Alcuni virtuosismi sono fini a se stessi, ostentano una certa freddezza e tergiversano avvolgendosi poco costruttivamente, ma altre volte hanno appeal, e di ottimo sapore. Non tutto l’album rimane allo stesso livello quindi, anche come songwriting, comunque si tratta di una opera che possiede momenti alti che passano da connotazioni cerebrali a movimenti istintivi in maniera alternata. Stupenda anche la copertina di Federico Musetti.

Roberto Sky Latini

Self production
www.profanity.de

Disputed Territory
Progenitor Of The Blaze
Reckless Souls
Where Forever Starts
Towards The Sun
Ceremony Of The Rotten
The Autopsy

Thomas Sartor – vocals / guitar
Lukas Haidinger – vocals / bass
Armin Hassmann – drums