Praying Mantis

Katharsis

La band britannica vive dai tempi della NWOBHM con l’album ‘Time tells no Lies’ del 1981, ma la sua vena non è mai stata pesantemente heavy, pur avendone al quel tempo un certo grado, prediligendo l’orecchiabilità molto commerciale, e rifacendosi agli anni settanta pur con una vena ottantiana.

La spinta tipicamente AoR di questo dodicesimo lavoro è netta, poco hard sebbene ne trapeli qua e là, e riecco appunto tanti anni ottanta, che allora dava un po’ di modernità ma che ora ne ha davvero poca. Fortuna che il suono brilla non stantio.‘CRY FOR THE NATIONS’ ha un ottimissimo appeal arioso alla Europe, suona tonica nella sua melodicità, e ha un carattere forte giocando su ritmo fluido e su una vocalizzazione molto sentita; purtroppo l’allungamento della voce nel ritornello è troppo deja vu ma il risultato è bello rotondo e possiede un bel tiro. ‘NO OMNIS MORIAR’ ha una leggerezza posta in senso dinamico e frizzante, qui forse uno dei momenti ritmici meno banali, e una percezione punteggiata di piccoli accenti  meglio condotti. In ‘LONG TIME CALLING’ si è ottenuta una scintillante anima rockeggiante, anche se l’inizio, poi ripetuto, delle chitarre doppie assomiglia troppo platealmente ai Boston.

SACRIFICE’ è una ballata che procede con una bella enfasi, e qui il riff strutturale dona una buona elettricità che fa bene da contraltare ai toni calmi della song. Incede bene ‘DON’T CALL US NOW’ con la sua cadenzata tonicità, e allontana certe cose melense che l’ascolto ha portato fino a questo punto del disco. Lo stesso fa nel finale ‘THE DEVIL NEVER CHANGES’ con una accelerata terminale che ancora di più infiamma gli animi; non è scatenamento puro ma dà la scossa giusta. Va detto che anche gli episdi migliori che ho elencato, hanno in sé difetti che sono legati all’essere rimasti in  standard prevedibili, se magari funziona il ritornello, le strofe hanno meno potenziale, e viceversa, oppure spunti si perdono nell’insieme, sfruttati male.

La produzione laccata funziona bene, anche se non è propriamente apprezzabile il suono della batteria, ma soprattutto è il drumming ad apparire povero e non sempre capace di contribuire dell’irrobustimento dei pezzi, insomma non ha molto dinamismo e si accontenta del minimo. Come essenza generale si può parlare di un modo di suonare che spesso nell’AoR manca, con un tocco di verve rockeggiante che qui è ben espresso. In realtà l’album non è riuscito totalmente a causa di certo songwriting varie volte scontato, se i suoni funzionano, il songwriting non in tutti i casi propone idee interessanti. Spesso anche gli assoli, non sempre, usano linee melodiche che riverberano nelle orecchie in maniera eccessivamente già sentita. Tutto sommato la maggior parte delle cose scorre, però la passione di un intenditore difficile che possa essere elicitata da un ascolto di questo tipo. A risentire il primo disco ancora oggi si percepiscono meno soluzioni prevedibili rispetto a quelle che si sentono in questo ultimo, e non può essere comprensibile in musicisti navigati come loro. Opera che li fa rimanere tra i minori. 

Roberto Sky Latini

Cry for the Nations
Closer to Heaven
Ain’t no Rock’n’Roll in Heaven
Non Omnis Moriar
Long Time Coming
Sacrifice
Wheels in Motion
Masquerade
Find our Way back Home
Don’t call Us now
The Devil never Changes

John Jaycee Cuijpers – vocals
Andy Burgess – guitar
Tino Troy – guitar
Chris Troy – bass
Hans in ‘t Zandt – drums