Deep Purple
Burn
Il 15 febbraio 1974 esce il disco che fa prendere via alla formazione “Mark III” quella con alla voce il maschio alfa David Coverdale. L’uomo dalla voce calda e sexy, del tutta diversa da quella più roca e acuta di Ian Gillan del “Mark II”. Album di alto livello, con un solo filler.
Brani migliori. I Deep Purple avevano già dato il via nel 1971 con ‘Fireball’ e nel 1972 con ‘Highway Star’ all’estetica Power di brani veloci e potenti, che poi ispireranno il Power-metal successivo. Nel 1974 quel genere viene espresso con la title-track ‘BURN’, un pezzo d’assalto davvero frizzante che naturalmente si contorna di una parte solista neoclassica tipica della chitarra di Blackmore e quella tastieristica di Lord, ma dove la doppia voce Coverdale/Hughes è in grado di ampliare il quadro sonoro in maniera da un lato bollente e dall’altra tagliente. L’hammond morbido colora di boogie ‘MIGHT JUST TAKE YOUR LIFE’, un tipo di musica prevalente nella stilistica futura di Coverdale che verrà cantata con i Whitesnake quando egli lascerà i Deep; si tratta di un brano che avanza in scioltezza con grande classe hard rock, ottimo per essere il singolo che infatti fu. Ritmica importante che la sei-corde e le pelli imbastiscono per costruire ‘YOU FOOL NO ONE’, una song che mescola bene funk e rock, adeguatamente gestendovi le armonie vocali, e come al solito elegante il diversement solista di Blackmore.
Notevolmente di spessore il bluesy-rock enfatico di ‘WHAT’S GOIN’ ON HERE’, uno dei momenti migliori dell’album, con la sua spinta boogie irresistibile per muoversi e contorcersi; un pezzo che funziona magistralmente in ogni sua sezione, costruzione perfetta ed equilibratissima, ogni stacco e ogni inserto, ogni passaggio, si fanno sangue per l’ascoltatore che può vivere visceralmente il pezzo; il pianoforte lo rende antico e la chitarra lo modernizza, e quando si passa all’assolo, tra chitarra e piano, esso potrebbe durare ore se non fosse che il vinile ha bisogno di accorciare, e si fa stupenda forma estetica; è una canzone che potrebbe essere usata didatticamente per insegnare il genere, tanto risulta superlativa e perfetta. Un altro superbrano è ‘MISTREATED’, concepito per essere un masterpiece ricco e succoso, da studio dura 7.25 minuti, ma dal vivo può diventare un mostro ridondante, verrà proposta nei concerti dei Deep ma poi anche dei Whitesnake; si tratta di un middle-time ossessivo dove la profondità della voce di Coverdale ha modo di esprimersi al meglio con passionale sudore, enfatizzando anche i suoi enfatici respiri al microfono, e dove la chitarra porta nota per nota l’ascoltatore in una cullante avvolgenza epidermica; è virtuosismo non legato alla velocità ma alla sensibilità che porta alla globale raffinatezza delle volute create.Brani minori. ‘Lay down, stay down’ è un pseudo funky-rock’n’roll, ma scritto per essere moderno considerando l’anno; è frizzante e la parte solista, che potrebbe trasformarsi in jazz, è come pensata per avere la possibilità di diventare una lunga session dal vivo tipica di quel periodo. ‘Sail away’ non scorre molto fluidamente, ma a contrapporsi all’accentato andamento riffico, ci pensa la parte cantata piuttosto variegata e screziata di un senso blues molto sentito; è un brano permeato di fascino.
L’unico pezzo non perfettamente centrato, con una idea più alla Wakeman che alla Lord, è l’inutile ‘A 200’ che sembra una traccia riempitivo non ben sviluppata, inconsistente.Un’opera magistrale che supera la simil-crisi che sembrava avesse toccato l’ispirazione artistica del precedente full-lenght ‘Who do We think We are’ (1973) dove non tutto è messo a fuoco come di dovere, in una essenza sottotono che ci aveva perso in dinamismo. Qui invece i musicisti si rialzano superbamente e il risultato rimane un apice artistico anche per Coverdale coi Deep, sebbene il valore del cantante permane intatto pure successivamente. Per questo e anche per il fatto che è il primo lavoro di Coverdale con la band, è d’uopo celebrare questo cinquantennale. All’interno però troviamo un altro musicista di spessore che è Hughes, eccellente come bassista, come cantante e come compositore, cioè un artista a tutto tondo in grado di vitaminizzare qualsiasi materiale egli tocchi. Non vi erano crediti a lui riconosciuti, ma in realtà partecipò alla stesura di quasi tutte le tracce, ed oggi glielo viene riconosciuto. Davvero un capitolo centrale dell’hard rock e del metal.
Roberto Sky Latini
Purple Records / EMI
www.deeppurple.com
Side A
Burn
Might just take your Life
Lay down, stay down
Sail away
Side B
You Fool no One
What’s going on Here
Mistreated
A 200
David Coverdale – vocals
Glenn Hughes – vocals / bass
Ritchie Blackmore – guitar
Jon Lord – keyboards
Ian Paice – drums