David Bowie

The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars

David Bowie ha composto ben 26 full-lenght da studio (l’ultimo postumo), ma è il quinto album ad innalzarlo davvero sulla vetta dei grandi, affermando una iconicità sua propria. Con questo disco egli mutua se stesso sotto forma di alieno (in realtà sarebbe un terrestre in contatto con messaggi alieni), conformazione glam che poi abbandonerà per altre estetiche, ma è la musica a vincere senza difetti.

Un’opera che sta tra i dieci migliori album rock di quell’anno, per forza e passione, un anno che ha visto dischi eccezionali come ‘Machine Head’ dei Deep;Thick as a Brick’ dei Jethro e ‘Close to the Edge’ degli Yes, ma al loro pari sta ‘Ziggy Stardust’ (è con questa abbreviazione che di solito viene chiamato il disco), divenendo anche uno dei migliori prodotti, forse il migliore, di Bowie stesso.

Il primo lato sceglie una partenza morbida,  e ‘FIVE YEARS’ suona malinconica, ma enfatica, tonica nella sua interpretazione. Brano più ruffiano e accattivante si ha con la soffice ma anche elettrica ‘SOUL LOVE’ che è una perla concettuale, dalla melodia suadente e dolce ma con una chitarra che alza la tonicità ed un sassofono che accompagna come contraltare morbido e fascinoso la struttura, riuscendo a creare magia atmosferica. L’altalena fra chitarra acustica e chitarra elettrica è una modalità che si presenta più volte, come nella sognante ‘MOONAGE DAYDREAM’ che vede una vocalità appassionata, e poi un assolo insofferente.

L’ariosità di ‘STARMAN’ è avvolgente e i violini non sembrano ammorbidire il senso rock di una song che ammalia e irretisce, dove l’orecchiabilità è tutt’altro che mero prodotto commerciale, il ritornello e la linea che canta “là là” (parte che era inizialmente della chitarra) sono la felice consistenza di una gemma preziosa. Il lato termina con una densa cover, ‘It ain’t easy’, che suona di rock vecchio stampo ma che Bowie gestisce magnificamente con una voce da sudista, senza rovinare una canzone già bella di suo nella versione di Davies,  musicista di Country.

Il secondo lato usa il pianoforte per la ballata ‘LADY STARDUST’ e un’altra magia si materializza nelle orecchie, una delle migliori melodie del disco. Con ‘STAR’ invece si utilizza il feeling rock’n’roll più semplice, ma la costruzione, oltre alle sovraincisioni vocali (anche se la maggior parte delle parti vocali di tutto l’album furono registrate in presa diretta), testimoniano che di grezzo c’è ben poco. La dinamica ‘HANG ON TO YORSELF’, con tanto di basso ficcante, usa un giro classico del rock’n’roll anni cinquanta per una canzone che rievoca davvero quel periodo, ma con l’intelligenza di chi ha capito a posteriori la storia della musica. Quando arriva ‘ZIGGY STARDUST’ torna la sofficità, anche se la chitarra elettrica continua a inserirsi in mezzo alla ritmica acustica,  però è il basso a guidare la struttura, fino a quando il momento distorto prende il sopravvento, ma sono anche quegli “oh”, gli “nnnh”, gli “yeah” e le accentazioni acute di fine frase a offrire il lato caratteriale  di un cantante che sembra voler dare sempre qualcosa di più. Naturalmente è la song più dura, l’hard-rock’n’roll di SUFFRAGGETTE CITY”, a divenire un irresistibile attacco di fremito muscolare, dove l’ “Hey Man” permea la song di grilletto d’accensione. La chiusura di questa avventura qualitativa è data da ‘ROCK’ROLL SUICIDE’, il pezzo più introspettivo del lotto, un po’ da crooner, in cui si inietta una tristezza che in un certo qual modo rimane come eco nel fruitore dopo che la puntina lascia i solchi (al tempo del vinile), sebbene il testo ripeta: “Esaltati con me che non sei solo” .

Il lavoro dura quasi 39 minuti, consistente per l’epoca, eppure non si diluisce in nessuna parte che ogni song appare necessaria e pregnante. E’ un album fortemente rock’n’roll, a volte di tipo Garage, in un certo senso anche precursore del punk. Conoscendo un Bowie elegante che dal ’76  diventa a tutti gli effetti un ‘Duca Bianco’ (e così lo continuarono a chiamare fino ad oggi) fa effetto sentirlo rockeggiare in quel giugno del 1972, pure l’eleganza già si sente nettamente. Truccato da extraterrestre e soffice in molti episodi del disco, è però rude in altri. Per ogni canzone di questo lavoro, l’aggettivo ‘Bello’, che in fondo nell’arte non significa nulla, va giustamente usato tanta è l’attrazione che esse danno.

Vengono spesso usati i cori che affrescano con classe tutti i momenti più importanti. Grande cura in questo lavoro, soprattutto salvaguardando le sensazioni percettive che il songwriting offre,  che fa risaltare l’essenza profonda di ogni song: operazione che solo un grande artista può riuscire a fare. L’arrangiamento è ricco, nessun vuoto e anzi una miriade di piccole preziosità costellano l’insieme. L’artista non ha finito qui i doni che farà al mondo della musica, ma questo fu uno degli apici, un punto fermo che fa parte del panorama rock come elemento fondamentale della sua evoluzione; riunendo tecnica e pathos in un unicum perfetto, intoccabilmente definitivo. Un disco che spiega come si declinano insieme poetica sonora ed energia graffiante. Un voto da dieci e lode che non può essere in alcun modo messo in discussione dai gusti. Sono passati cinquant’anni, ma il suo potenziale di trasmissione evocativa è rimasto inalterato.

Roberto Sky Latini

RCA Victor
www.davidbowie.com

Lato A
Five Years 
Soul Love
Moonage Daydream
Starman
It Ain’t Easy (cover Ron Davies)

Lato B
Lady Stardust
Star 
Hang On to Yourself
Ziggy Stardust
Suffragette City
Rock ‘n’ Roll Suicide

David Bowie – vocals / acoustic and electric guitar /sax
Mick Ronson – electric guitar /piano / synth
Trevor Bolder – bass
Mick Woodmansey – drums

Dana Gillespie – cori (in It Ain’t Easy)