Answer
Sundowners
Un viaggio nel tempo rock, arrivando a ritroso fino ai primi settanta col nuovo album degli irlandesi del nord, Answer. Alcune cose sembrano uscite da ‘Sticky Fingers’ dei Rolling Stones del 1971, oppure dalle cose meno dure dei Led Zeppelin.
Il metal è assente completamente, e addirittura spesso non c’è nemmeno l’hard-rock. Ma è un lavoro verace, di quelli sanguigni, che rispetta e ama i suoni americani di quel periodo antico, legato al blues e alla tradizione. Questi musicisti non sembrano affatto europei, e interpretano l’America meglio di certi personaggi autoctoni. L’ultimo e sesto full-lenght ‘Solas’ era uscito nell’ormai distante 2016, ma fortunatamente non è stata che una pausa, e adesso abbiamo un bel prodotto fra le orecchie.La prima traccia afferma subito che la modernità concettuale è bandita. La title-track ‘Sundownwers’ affonda nelle radici di un suono sudista, avvolgente, denso, davvero di vecchissimo stampo; la sua ritmica martella in senso tribale e la voce trattata esprime volute evocative, è un tipo di canzone che anche i Led hanno cantato. Il brano più intrigante dell’album è ‘BLOOD BROTHER’ con la sua rockeggiante verve virile; uno stomp che s’infila intrigante nelle membra e fa muovere il corpo, e il titolo viene da cantarlo e affermarlo partecipando all’andamento ritmico, così tanto da risultare perfetto in sede live. L’altro ottimo momento è quello dell’incisiva ‘ALL TOGETHER’ che si basa su una tempo cadenzato ed un ritmo ballabile, ma incentrato parecchio sulla voce che tiene in possesso la tensione compositiva.
E ancora ficcante l’hard solare di ‘LIVIN’ ON THE LINE’ con la sua azzeccata alternanza tra strofe tirate e ritornello melodico, sostenuta da una struttura vivace e compatta, allegra nel suo esternarsi e abbellita da un ottimo assolo. Il senso hard di ‘California Rust’ e di ‘Want You to love Me’ scorre fluido con quelle melodie orecchiabili ma non troppo catchy; nella prima una chitarra snella guida parte della struttura e nella seconda il riff grasso alla Zed Zeppelin addensa la percezione ruvida. ‘Oh Cherry’ vive di un’anima alla Grand Funk Railroad, frizzante e dalla frenesia saltellante, ariosa e aperta. La ballata ‘No Salvation’ è invece un afflato country-blues come i Rolling lo esprimevano nei primi anni settanta con sentimento, anche se un pizzico di Bon Jovi è possibile sentircelo. Percepiamo anche una dose di Lynyrd Skynyrd dentro ‘Cold Heart’ dal basso martellante e dal riffing classico. Nella sua riffica grumosa ‘Get Back on it’ in realtà esce un po’ dall’essenza rock, rimanendo però nei ’70 con un tipico modo di cantare che era soul-funky, arie che anche gli Aerosmith toccavano nel periodo del loro esordio. Si finisce con una soft-song, l’acustica ‘Always alright’che ancora una volta fa venire in mente i Lynyrd Skynyrd e non solo, idealmente ponte tra il passato e il presente, perché questo tipo di canzoni sono sempre state scritte in America fino ad oggi, terminando in questo caso con un crescendo in stile gospel. Gli assoli sono pochi, vogliono essere solo un’ampliamento dell’atmosfera e non cercano virtuosismi che ne facciano personaggi principali. L’ugola appena appena roca è in grado di donare tonico feeling e umori interiori. Il sound è in alcuni tratti viscoso, in altri più scorrevole e accattivante, ma in nessun caso abbassando il livello compositivo, e mantenendo ogni volta uno spirito ficcante, legato a doppia mandata al passato lontano. Le tastiere sono ridotte all’essenziale ma nettamente presenti, utilissime.
Si percepisce la parentela con lo Street-Metal nato con gli Aerosmith, ma il passo per entrarvi non è fatto, rimanendo indietro al momento storico appena precedente, non volendo mescolarsi in alcun modo con i tempi attuali, ma sottolineando la preziosità di quelle luci passatiste piuttosto affascinanti. Si respira tanta classe e tanta voglia di suoni primitivi, i quali sono pregni di calore e di umanità.
Roberto Sky Latini