Angelus Apatrida
Aftermath
Il delirio della pandemia, con tutte le sue conseguenze e tutti i suoi interrogativi e diffidenze, sembra essere ormai alle spalle e tutto sommato non può che essere un bene, certo restano tutti gli strascichi e insieme ad essi tutta una serie di riflessioni e situazioni che a volte sono migliori di prima, altre volte sono peggiori del tempo precedente, però c’è sicuramente una riflessione importante da fare: molte sono le band che non sono rimaste con le mani in mano e, pur di non perdere il giro, si sono date da fare nella composizione sapendo che il tempo si sarebbe dilatato e che fosse necessario rallentare e sedimentare, riflettere ed elaborare.
Il 2023 è un anno abbastanza stratosferico dal punto di vista delle uscite, anche da parte di band o singoli artisti dai quali non ci si sarebbe aspettato nulla di che. Questo mi porta a pensare che forse il business della musica dovrebbe riflettere molto su questa cosa, rendendosi conto che la tranquillità e la possibilità di agire e riflettere con calma e senza pressioni di sorta, riesca a dare dei frutti decisamente migliori rispetto alle aspettative.Il lavoro di cui mi trovo a parlare è uno di quei dischi di cui sopra: uscito a soli due anni di distanza dal precedente, porta con sé una maturità e una riflessione che probabilmente, in altri momenti, avrebbero richiesto svariati anni per riuscire ad essere così maledettamente puntuali e precise.
La band che mi accingo a recensire è attiva da ben 25 anni e questo è il loro ottavo album in studio: disco che rappresenta un po’ la summa degli ultimi tre album: gli Angelus Apatrida sono tornati e lo hanno fatto alla grande con il loro nuovissimo Aftermath: ottava fatica in studio per gli Iberici, un disco che non lesina violenza e momenti più rilassati, in cui a farla da padrone è la trama chitarristica la quale, come sempre, non si risparmia mai inanellando una serie di riff davvero granitici e carezzevoli e, a differenza del precedente omonimo, portatore di una rabbia controllata e veicolata in un ragionamento più profondo: l’istinto e la ferocia hanno lasciato ampio spazio al ragionamento e alla riflessione, ma questo non deve indurre a pensare che ci si trovi di fronte ad un album per mammolette dato che gli intenti bellicosi che hanno caratterizzato la carriera dei Nostri non sono affatto scemati, sono solo stati trasposti su un piano differente, pertanto non si fanno prigionieri e le chitarre insieme alla sezione ritmica tendono all’accerchiamento in una manovra a tenaglia e man mano che le tracce scorrono il cerchio si stringe, quasi come uno scorsoio che inesorabilmente si chiude sotto il peso del corpo che penzola.
Aftermath ci presenta tutte la caratteristiche che hanno reso gli Angelus Apatrida un punto di riferimento per il thrash delle nuove generazioni e, nonostante la forte derivazione da casa Testament, i ragazzi sanno davvero il fatto loro, riuscendo a non essere mai scontati e banali e riuscendo ad imprimere una propria personalità in un riffing forsennato e lì dove ci si aspetterebbe che possano cadere nel già sentito, arriva il colpo di coda capace di rimestare le carte, ora sfociando verso un momento più morbido che prende in prestito intuizioni dal metal classico, ora andando a strizzare l’occhio verso il mondo hardcore più metallizzato e ora tirando in ballo i momenti più catchy tanto cari a certo groove-metal.
Probabilmente la parola d’ordine per entrare in questo nuovo platter è alternanza e mesh-up, perché queste sono le caratteristiche principali di Aftermath: dove l’alternanza è data dal continuo rincorrersi di parti più tirate e groovy con parti decisamente più distese e melodiche, mentre il mesh-up lo si può notare analizzando il riffing, sicuramente prepotentemente Thrash, ma in grado di gestire alla perfezione la porzione americana con quella europea e in grado di rigenerarsi prendendo in prestito armonie e melodie dal metal classico e un certo groove dal mondo hardcore e questo lo si può notare dalle ospitate presenti sul disco: si va, infatti, da Jamey Jasta degli Hatebreed, Todd La Torre dei Queensryche, Pablo Garcia dei powermetallers WarCry e Sho-Hai, famosissimo rapper di Saragozza. Sicuramente si tutto si staglia l’ombra dei Testament, di cui la band è fan accanita e non ne ha mai fatto mistero, però il bello degli Angelus Apatrida è che non si limitano alla squallida imitazione del quintetto californiano, no, loro i Testament li hanno interiorizzati talmente tanto che riescono a tenerli dentro pur non scadendo nella mera copia carbone e nello scimmiottarli.
Aftermath è un disco che riporta nuovamente gli Iberici sul trono della cosiddetta new wave of thrash metal e non c’è nessuno dubbio che questo scettro sia nelle giuste mani dato che in questo disco potrete trovare veramente di tutto: violenza, concretezza, groove, epicità, melodia e un intreccio di riff da togliere il fiato, ritornelli che fanno presa sin dal primo ascolto e, al di là delle aspettative, tanta personalità.
Come ho già detto più su, Aftermath non ha cedimenti, è un disco compatto, granitico e carico di rabbia ragionata e di momenti di distensione utili a lasciare uno spazio di riflessione: qui, esattamente come in passato, non si fanno sconti a nessuno, soprattutto a quella feccia che governa il mondo e decide le sorti di ognuno di noi, solo che in questo album la critica viene da un lungo ragionamento, dal confronto di tanti dati con i tasselli che vengono messi insieme uno alla volta, posizionati con la giusta calma e con un ottimale punto di osservazione, così da colpire esattamente dove si deve e dove è necessario: certo un disco non cambierà il mondo (la fantasia al potere ha fallito miseramente, fagocitata dai verdi dollaroni che hanno innaffiato il mercato), ma potrà servire da monito a qualche coscienza più attiva, facendo sì che almeno ci si renda conto del proprio essere e della propria condizione e degli strumenti che si possono avere e mettere in campo per migliorarsi e magari migliorare anche un piccolo pezzo intorno a noi, tanto il resto sarà spazzato via lo stesso e tutta la rabbia, tutta la delusione e la frustrazione vengono dal fatto che potremmo fare qualcosa, ma, esattamente come accadde oltre 40 anni fa, non facciamo nulla perché fagocitati dal sistema e alienati dall’effimero, pertanto gli Angelus Apatrida sono qui a ricordarci che ci vuole concretezza, ci vuole rabbia e orgoglio ma ci vuole anche la testa e vi assicuro che in questo Aftermath di testa ce n’è tanta ed è in grado di gestire perfettamente tutta la rabbia, l’odio e il rancore.
Un disco che dovrebbe essere negli scaffali di chiunque si definisca metallaro o che comunque ami il metal, perché qui siamo ben oltre il mero thrash metal, c’è davvero tanta carne al fuoco e potete stare certi che non brucerà in una nuvola di fumo, ma sarà capace di sfamare la vostra sete di musica e la vostra voglia di rompervi l’osso del collo nel fare headbanging.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri
Century Media Records
www.facebook.com/angelusapatrida
Scavenger
Cold
Snob (feat. Jamey Jasta)
Fire Eyes (feat. Pablo García)
Rats
To Whom It May Concern
Gernika
I Am Hatred
What Kills Us All (feat. Sho-Hai)
Vultures And Butterflies (feat. Todd La Torre)
José J. Izquierdo – bass
Víctor Valera – drums
Guillermo Lzquierdo – guitars, vocals
*David G. Álvarez – guitars