Marduk

Memento Mori

Parto con una premessa: di solito quando scrivo una recensione tendo a valutare solamente il lavoro che ho in ascolto, senza dover necessariamente ripercorre la discografia passata del singolo artista o della band in esame. Questo perché penso che sia giusto e corretto dare una valutazione del prodotto scevra da ogni influenza, così da poter offrire una valutazione che sia il più oggettiva possibile ma anche perché solitamente un disco, fotografa ciò che gli artisti hanno da dire in quel preciso momento.

Capitano, però, situazioni in cui non è possibile prescindere troppo dal passato, dato che non è raro, soprattutto ai giorni nostri, che un artista o una band vada a ripescare dal proprio passato; non dico che si viri verso il palio, però accade che, per un motivo o per un altro, il mood attuale vada a collimare con un mood di quanto già detto. Questa non è necessariamente una cosa negativa, dato che il tutto poi va valutato in funzione di ciò che si ascolta, infatti non sono rare le occasioni in cui mi sono trovato a recensire dischi che strizzavano entrambi gli occhi a quanto già fatto ma comunque le composizioni risultavano di ottima fattura, così come mi sono capitati dischi che si riducessero quasi al mero plagio.

La premessa si rende necessaria dato che il nuovo lavoro in studio dei Marduk, Memento Mori, cerca di andare a pescare dal glorioso passato della band e ampi sono i riferimenti a quella pietra miliare che risponde al nome di Panzer Division Marduk, ma tutto questo senza perdere di vista le ultime release, soprattutto quel Rom 5:12. Insomma gli svedesoni cercano di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, offrendo ai fan un lavoro parzialmente retrò ma che abbia le dinamiche e le intenzioni delle composizioni più recenti e, purtroppo, qui arrivano le dolenti note dato che ci troviamo dinnanzi ad un disco che sa di inconcluso: un classico wanna be.

Memento Mori è un disco che rasenta la perfezione sotto ogni punto di vista, un disco talmente tanto perfetto da risultare noioso, scontato e oltremodo banale: i riff sono talmente tanto fatti con lo stampino che danno noia sin dal primo ascolto ma soprattutto nonostante siano fatti bene, sono di una banalità atroce andando a giocare sempre e solo su salti di ottave e trasposizione di un semitono o di un tono e mezzo, riproponendo il riff esattamente come era nell’ esposizione primaria senza variazioni di sorta; ferali cattivi e anche marci se vogliamo ma restano pur sempre un compitino fatto a tavolino per andare a ripescare i vecchi fan che li hanno abbandonati e tenersi quelli nuovi, perché davvero il platter strizza l’occhio ad entrambe le ere Marduk: quella fino a Panzer Division e quella post Panzer Division:

il risultato è un disco che non sa essere né carne né pesce ma soprattutto non riesce ad evocare minimamente la cattiveria e la malvagità che sprigionavano i lavori della band fino al tanto decantato Panzer. Qui troverete tutto quello che un fan sfegatato degli Svedesi può attendersi da loro: troverete marciume, morte, distruzione, odio, melodie glaciali, innesti atonali e cacofonici, insomma troverete le porte dell’ inferno spalancate e pronte a vomitare fuori tutta la malvagità che abita il sud del paradiso, quello che però non troverete è l’attitudine, non un riff che sia in grado di continuare a fare la storia del black metal così come accadeva in Those Of The Unlight, Nightwing, Opus Nocturne e nel già ampiamente citato Panzer Division Marduk; non è rimasto nulla di quella urgenza di spingere fuori il male messo in musica, è rimasta solo la forma e nessuna sostanza, perché i Marduk hanno imparato a fare business, hanno imparato che possono continuare ad andare avanti sfornando riff che lasciano assaporare ciò che hanno costruito, salvo poi rendersi conto che si sta masticando un boccone amaro, che è Marduk solo in apparenza.

Capiamoci, non stiamo parlando di un disco mediocre, soprattutto se si analizza la produzione, che risulta perfetta per quel che i Nostri vogliono esprimere e non stiamo parlando nemmeno di un disco in cui i riff sono brutti o senza senso: stiamo però parlando di una bella confezione, ma tutto quello che dentro vi si può trovare è solo apparenza, voluminosa e meravigliosa apparenza, una facciata tirata a nuovo che ricorda gli splendori di un tempo, salvo poi varcare la soglia e trovare tutto in disfacimento.Memento Mori offende la memoria, offende le capacità stesse della band di saper essere un unicum sempre e comunque in un panorama ampiamente inflazionato come lo è quello del black metal, non riesce a spaventare nessuno, non riesce ad essere maligno, è solo inutilmente violento e in grado di alternare questa violenza con momenti più atmosferici e doomy, così da prendere a riferimento l’ultima parte della produzione, così da accontentare chiunque; chiunque non sia un reale fan dei Marduk, chiunque sappia accontentarsi del compitino svolto alla perfezione e confezionato alla perfezione.

Non voglio fare l’esegesi dei Marduk, sto semplicemente valutando un disco e lo sto facendo abbracciando i loro stessi canoni: con uno sguardo volto al passato, un girarsi indietro che ha a che fare con la velocità, con riff assassini, con suoni glaciali ma gonfi, con partiture cadenzate e cariche di effluvi solforosi dove la cattiveria ammanta tutto, quasi a voler innalzare un altare al signore degli inferi; vista così sembrerebbe un disco che non ha nulla da invidiare a quanto detto anni addietro, mentre è proprio lì che sta l’inghippo, perché ogni cosa suona violenta ma c’è una totale mancanza di cattiveria, una totale mancanza di ciò che dovrebbero essere i Marduk: un disco a cui manca completamente la spina dorsale in grado di vivere solo in funzione dei vaghi ricordi di ciò che è stato, ma la cosa che più mi infastidisce è: che bisogno hanno i Marduk di fare il vero (e non in pochi momenti) ai Funeral Mist, tenendo conto che le due band hanno in comune il solo fatto che Mortuus sia dietro al microfono di entrambi? È una cosa di cui non mi faccio davvero capace, perché se è vero che si può sempre imparare da chiunque, imparare non vuol dire copiare; sarebbe stato bello se avessero preso alcune eccezionali intuizioni dei Funeral Mist e le avessero fatte proprie dando così vita ad un riffing particolareggiato ed elaborato secondo altre visioni, mentre si può constatare come le intuizioni siano rimaste chiuse nel cassetto e la trasposizione del riffing dai Funeral Mist ai Marduk sia rappresentata da una concatenazione di maschere per confondere una ripresa quasi pari pari della costruzione dei riff.

Sono fortemente deluso da questo Memento Mori, il quale nonostante appaia un disco Marduk al cento per cento, nella realtà non lo è affatto, essendo tutto mestiere e zero attitudine, per cui chi è fan dei Nostri se ne tenga alla larga, chi invece è semplicemente uno che li apprezza, sarà ben lieto di tale uscita, che, ribadisco, non è brutta, anzi: semplicemente non ha nulla di ciò che dovrebbero avere gli Svedesi.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

 

Century Media
www.marduk.nu

Memento Mori
Heart of the Funeral
Blood of the Funeral
Shovel Beats Sceptre
Charlatan
Coffin Carol
Marching Bones
Year of the Maggot
Red Tree of Blood
As We Are

Daniel “Mortuus” Rostèn – vocals
Morgan Steinmeyer Hakansson – guitar
Devo Andersson – bass
Simon Schilling – drums