ADE

Rise of Empire

È sempre molto bello poter parlare di underground italiano, soprattutto se parliamo di death metal e ancora di più se è di quello fatto a dovere, capace di elevare il Bel Paese anche in questo campo. E sì, perché, oggettivamente, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno in ambito metal, anche per quel che riguarda una delle sue falangi più estreme: il death metal.Gruppi come Hideous Divinity, Antropofagus, Devangelic, Hierophant (anche se per loro la definizione death metal è un po’ limitante), Fleshgod Apocalypse e Hour Of Penance, tanto per fare alcuni nomi di punta, rappresentano sicuramente realtà di grande qualità e spessore che nulla hanno da invidiare a gruppi esteri, più blasonati solo perché provenienti da paesi in cui il metal è ampiamente sdoganato.Quindi oggi mi accingo a recensire un disco di una band appartenente a tale schiera di campioni tricolore, oggi è la volta dei capitolini ADE, con i quali mi scuso e faccio mea culpa per il ritardo con cui esce la recensione. Il disco in esame è una dichiarazione di intenti già dal titolo ed è un platter che non ha intenzione di fare prigionieri: Rise Of The Empire, questo il titolo del disco in esame e sicuramente non vi lascerà indifferenti.

Gli ADE tornano sul mercato dopo tre anni dal precedente Carthago Delenda Est, datato 2016 mentre questo Rise Of The Empire è del 2019 e ci presenta una band rivoluzionata per i quattro quinti, dato che a tenere le redini degli ADE è rimasto solo il mastermind Fabio Palazzola, il quale, nonostante siano 12 anni che sforna riffoni brutali per gli ADE, non perde un colpo e anche in questo platter riesce ad essere estremamente brutale, chirurgico e atmosferico; il tutto ovviamente grazie al supporto dei nuovi compagni di avventura, che non si fanno affatto pregare nel seguire Fabio nelle sue divagazioni brutali.Per chi non conosce gli ADE, oltre ad essere il caso che rimedi il prima possibile, è necessario precisare che il gruppo nasce con il progetto di decantare lodi e disgrazie della Roma che fu, pertanto ci si trova di fronte, sicuramente ad un riffing tipicamente death metal, ma ad esso si accompagnano inserti orchestrali e di strumenti antichi, per ricalcare le musiche del periodo storico di riferimento, sembra pertanto, di assistere ad uno di quei colossal storici che venivano rilasciati da case cinematografiche come la Titanus, le cui colonne sonore erano spettacolari, solo che invece delle scene, vi ritroverete un brutale growl a decantare le varie gesta.

Facile intuire dal titolo del disco, che il concept sia incentrato sulla figura di Giulio Cesare, uno dei personaggi più affascinanti di tutta la storia dell’antica Roma e la musica non si lascia affatto sfuggire le varie sfumature di Cesare, essendo ora brutale, ora riflessiva e ora quasi mistica, perché in realtà è tutto questo che rappresenta il primo Imperator. Rise Of The Empire si presenta in una veste decisamente differente dal suo predecessore Carthago Delenda Est, che lasciava alla parte della musica “antica” maggiore spazio, mentre in Rise questa parte gioca un ruolo un po’ secondario, entrando in scena sempre in punta di piedi, senza per questo, però, risultare meno incisiva. Qui a farla da padrona sono i riff brutali e altamente ispirati di Fabio, che godono di ottimo risalto grazie alla produzione dei 16th Cellar Studio di Stefano Morabito, che ha fatto davvero un lavoro eccellente dietro la consolle, riuscendo a fornire al disco tutto un’aria incredibile. Death metal di stampo moderno, altamente tecnico ma altamente efficace e, nonostante in più di un momento ricordi i Nile, piuttosto personale, così come personali e sicuramente posti al punto giusto, sono gli arrangiamenti legati alla porzione più cinematografica del disco; un lavoro certosino fatto di incastri e contrappunti che si vanno ad aggiungere ai vari intro o outtro dei brani e alle melodie che coadiuvano le chitarre nel dipanarsi delle canzoni.

Come ho già detto questo Rise Of The Empire è nato per non fare prigionieri, è un disco diretto, esattamente come era il carattere di Cesare, un disco sfrontato ma non arrogante, che ha dalla sua l’esperienza di chi sa esattamente cosa sta facendo e che risultati vuole ottenere e, pur restando umile, da pienamente il senso di essere padrone della situazione. Il riffing è davvero un assalto all’arma bianca in cui la lama viene affondata fino all’elsa senza guardare in faccia a nessuno, gli unici attimi di sollievo si hanno nel momento in cui questa lama viene sfilata, ma è l’attimo in cui l’assalitore vuole godersi la completa distruzione della propria vittima, godersi quello sguardo morente e annichilito nell’esatto momento in cui pare avere sollievo perché la lama sta uscendo dal proprio corpo, rifugiandosi nella vaga speranza di poter sopravvivere, ma osservando la faccia compiaciuta del suo aggressore, sa perfettamente che la vita lo sta abbandonando. I nuovi compagni di avventura di Fabio sfoderano una prestazione eccelsa, ad iniziare dal batterista che riesce a sottolineare, con il suo abile drumming, ogni cambio di atmosfera e di beat, cui fa da contraltare il growling assassino e feroce di Diocleziano, capace di essere evocativo anche nei momenti meno concitati.

Questo quarto disco degli ADE è un disco che non solo ci presenta una band in grandissima forma, in barba a tutte le vicissitudini, ma è un disco maturo, capace di dire esattamente ciò che deve e di farlo nel modo migliore e più diretto possibile, non ci sono inutili fronzoli o filler, ogni cosa è lì per essere ascoltata e inserita all’interno del puzzle, soprattutto se si tiene conto della complessità di un uomo e delle sfaccettature della sua personalità.Death metal moderno, come non ne ascoltavo da tempo, capace di essere fresco, catchy quando deve, ferale e mastodontico quando serve. Posso riscontrare davvero pochissime sbavature in questo lavoro degli ADE, cui non posso che inchinarmi per aver portato avanti un concept così complesso, ma per averlo fatto in una maniera davvero molto abile e interessante.Amanti del death metal, sia canonico sia sperimentale, fatevi avanti perché qui c’è davvero tanto pane per i vostri denti e, sinceramente, ne consiglio l’ascolto anche a chi non è proprio avvezzo a certe sonorità, perché gli spunti sono davvero tanti e tutti molto interessanti, perché non vi è solo death metal dentro questo dischetto, ci sono rimandi al metal classico e in alcuni momenti c’è anche un accenno di hard rock, il tutto raccolto in momenti orchestrali molto molto interessanti, scritti ed inseriti davvero bene.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

Extreme metal music
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Forge The Myth
Empire
The Gallic Hourglass
Chains Of Alesia
Once The Die Is Cast
Gold Roots Of War
Ptolemy Has To Fall
Suppress The Riot
Veni Vidi Vici
The Blithe Ignorance
Imperator

Fabivs – guitar
Cornelivs – bass
Decivs – drums
Nero – guitars
Diocletians – vocals