Accept
Humanoid
L’Arte con la A maiuscola è tale anche quando non innova ma si permette di scrivere ottime canzoni interpretando al meglio una tradizione già consolidata. I migliori gruppi sanno farlo e vanno ben oltre il “mestiere”. Così è per gli Accept. Questi divini tedeschi non ne sbagliano una; da quando è entrato nella formazione il cantante Tornillo nel 2010 con il lavoro ‘Blood of the Nations’, non c’è mai stata una flessione compositiva, ogni opera è risultata di valore, compreso questo sesto con lui (diciassettesimo per il combo). E qui forse va anche meglio rispetto al penultimo ‘Too mean to die’.Pensando al 2024 come alla zampata tripla del terzetto storico dell’Heavy con Judas e Saxon, gli Accept si pongono in classifica probabilmente meno in alto dei Priest, ma nettamente meglio dei Saxon. Con queste tre uscite baldanzose è un anno piacevolissimo per i metallari legati alla tradizione.I pezzi massicci sono più d’uno, di certo l’apripista ‘DIVING INTO SIN’ è un brano compatto ed integralista, conformato per essere esuberante e diretto evitando di farsi banale; un bella powersong dove il ritornello vive di afflato virile e dove l’assolo elettricamente vibra in maniera affascinante.
La sonorità esplicitamente acceptiana aumenta nella dinamica e tonica ‘FRANKESTAIN’ che irretisce con riffing e refrain acidamente accattivanti. ‘MAN UP’ incalza con un ritmo cadenzato, nello stile tipico degli Accept meno irruenti già eseguito negli anni ottanta con successo, e la cosa funziona ancora oggi permeando di colore leggermente scuro la traccia, lasciando l’ascoltatore a muovere il capo per seguire l’avanzata, per poi uscire dall’angolo sornione ed incendiarsi nella fase solista.Il carattere più divertente è incarnato dalla frizzante ‘NOBODY GETS OUT ALIVE’, perfetta per far dimenare allegramente i fan ai concerti; episodio semplice, esso entra subito in testa con la sua verve rock’n’roll, rimanendo perfettamente heavy. Il power più veloce di questo disco è un bell’epico sussulto che ‘SOUTHSIDE OF HELL’ sa esprimere con sicura efficacia, nella classica forma che rutilante batte in testa, condito inoltre da un assolo neoclassico di cui Hoffmann è maestro.
Da segnalare la cover particolare che la band ha sfornato; particolare perché stravolge non un brano rock ma uno funky/soul che nella versione degli Accept appare tutt’altro, riuscendo a diventare uno dei momenti migliori dell’album, dirigendosi più verso l’hard-rock anni settanta che verso il metal e diventa così un piccolo colpo di genio stilistico dove si sente anche un’anima blues. Io non sono un amante del funky, e men che meno del soul, ma va detto che la versione originale di ‘Hard Times’ possiede un feeling attraente, mellifluo, grazie soprattutto ad una liquida chitarra molto intrigante, e anche se gli Accept non l’hanno ripresa. La versione coverizzata è però magnifica, e ne amplia il respiro in senso formale; senza contare che la vena interpretativa del singer è calda e suggestiva, facendo capire che nelle sue corde c’è molto di più che il solo metal. Non certo riempitivo, ma forse meno azzeccata, la ballata ‘Ravages of Time’ che riesce comunque a farsi piacere perché ricorda l’estetica degli Scorpions.
Non mancano parti riffiche scontate come per esempio nell’Ac/Dciana ‘Straight up Jack’ che comunque non è un filler grazie sia alla linea melodica che all’energia che sprigiona. Gli Ac/Dc si percepiscono in diversi punti del full-lenght, ma non è mai un difetto. Le chitarre, che siano soliste o ritmiche, sono sempre perfette nel legare la struttura, e sanno anche emozionare. Si tratta di sano e corroborante heavy metal che non esce dalle righe neanche un attimo se non con la cover, ma in tal caso aggiungendo sostanza e non certo abbassando il tasso di bellezza sonora. Proprio qui sta il punto di forza e non la debolezza, nella gestione spontanea e passionale di un dna che non viene mai meno; espressione ed estensione di se stessi. Siamo di fronte ad un teutonico maestro che insegna alle giovani generazioni “come si fa” e che rende onore all’aggettivo “verace”, perchè questo nuovo capitolo è la durezza di quello spirito rock Judaspristiano che inventò il genere… reso più quadrato ma sempre vicino all’heavy originario: ricordiamoci che il gruppo esordì nel 1979. Tutto bello, tutto scorre, tecnica e pregnanza vanno a braccetto ancora una volta, ed il risultato è iperconvincente!
Roberto Sky Latini