Bloodywood
Rakshak
Groove bramoso e affamato, esso si esprime con greve animosità. Il riffing ribassato colpisce allo stomaco e la batteria pesta duro, una ribollente insofferenza che si infiamma.
Un po’ alla Rage Against The Machine, un po’ alla Linkin’Park, questa band indiana imperversa dall’inizio alla fine come una inarrestabile valanga, cattiva ed intransigente, sebbene in alcuni episodi rallenti la virulenza. Si percepisce il folk della loro terra, ma anche tanta scuola occidentale all’americana. Solo al secondo album e pure lontano dal primo che era del 2017 (cinque anni fa), ma quello non è da prendere molto in considerazione visto che è una raccolta di cover in cui si fa il verso a brani pop. Questo è invece un vero e proprio esordio ma non sembra di ascoltare pivellini poichè spirito e tecnica sono ineccepibili. Il panorama del bosco metallico ci offre ancora un’autoproduzione superlativa, e forse non ci sarebbe più da sorprendersi, siamo in tempi in cui la tecnologia si trova a bassi costi; ma naturalmente bisogna saperla maneggiare, come in effetti hanno saputo fare questi guerrieri del cross-over.
‘GADDAAR’ è pura pesantezza, e il rappato non si cimenta in elucubrazioni accattivanti, anzi ci mette del suo per diventare disturbante e irriverente. ‘AAJ’ sembra più ruffiano, ma sono solo momenti, perché invece si rivela un martello schiacciante. ‘ZANJEERO SE’ è una mezza ballata, ma la tonicità rimane in essa per esprimere una passionalità forte. ‘Dana-dan’ è interessante perché si sposta verso il lato System Of A Down, e la rabbia davvero qui si fa accentata. La canzone commerciale c’è, ma non è certo una banalità, si tratta di ‘Jee Vereey’ che usa un afflato molto folk.
In vari momenti si ascolta pura acredine con tanto di attitudine alla critica sociale. Si tratta di NuMetal d’attacco, non di quello piacione e accondiscendente. Non è commerciale, neanche quando si fa più orecchiabile. Il rap che sfornano non è sorridente, e comunque arrivano anche parti di cantato melodico che sanno essere raffinate, pure sospirate. Alcuni elementi elettronici ne allontanano idee datate e ne fanno fluttuare i suoni quando serve. Così c’è anche il pianoforte che sa appoggiare i cambiamenti sonori dell’album. Si fa molto uso del flauto che non è però un semplice elemento decorativo, quanto invece essenziale come la chitarra e la voce, rendendo meno claustrofobiche le sezioni compresse, e rendendo meno stucchevoli i lati morbidi. E seppure in maniera meno vistosa, c’è pure un minimo di chitarra solista che quando è presente addensa le arie. Esistono attimi di rappato fastidioso, troppo pop o troppo ‘hip-hop’ per chi non ama il genere, ma sono così poco in evidenza che scompaiono nell’ottima trama generale. Non tutto è esaltante, ma i riff sono sempre eruttanti, e mantengono ben teso il songwriting anche quando c’è un cedimento vocale. Se da una parte non c’è nulla di nuovo sotto il sole, il fatto che stia sotto il sole asiatico rende l’ascolto innovativo per le svisate folkeggianti che non sono quelle europee e nemmeno quelle mediorientali. Un album che sa come si gestisce il genere senza esclusioni di colpi.
Roberto Sky Latini
Autoprodotto
www.bloodywood.net
www.facebook.com/bloodywood.delhi
Gaddaar
Aaj
Zanjeero Se (guest: Archy Jay – vocals)
Machi Bashad
Dana-dan
Jee Veerey
Endurant
Yaad
Bsdk.exe
Chakh le
Jayant Bhadula – vocals
Raoul Kerr – vocals
Karan Katiyar – guitar / flute
sottotitolo