HateSphere
Hatred Reborn
Ci sono nomi che appena nominati lasciano trasparire un immaginario, altri, nonostante siano comunque nomi noti, non aprono particolari scenari o ricordi, eppure in un certo qual modo hanno segnato un epoca attraverso la propria musica: è il caso degli HateSphere, band danese attiva da ben 23 anni e con un palmares di tutto rispetto, soprattutto se si tengono conto dei dischi messi in cantiere nei primissimi anni 2000.
Nonostante le loro genuine capacità e degli ottimi album di sano thrash-death come scuola svedese comanda, sono sempre stati relegati un po’ in seconda fila, quando avrebbero potuto benissimo giocarsela con altre band alla pari, ma purtroppo nella vita conta, e tanto, soprattutto il culo.Nonostante una serie di vicissitudini e cambi di formazione infiniti gli HateSphere sono ancora qui, padroni del proprio suono e della propria voglia di scorticare e scalfire ancora qualche ossa e a dimostrarlo ci pensa il nuovo arrivato: Hatred Reborn, disco che esce a cinque anni di distanza dal precedente Reduced To Flesh e che ne segue la scia pur risultando un tantino più ostico ad opera di un riffingcisamente meno easy listening e più oscuro. Come ho già detto in apertura, gli HateSphere fanno parte, purtroppo, di quelle band che hanno risentito, in termini di esposizione mediatica e di conseguenza di vendite, della caduta nel dimenticatoio del genere thrash-death tanto in voga agli albori del 2000 e questo ha provocato una serie di vicissitudini le quali hanno stravolto non solo la formazione, ma sono andati ad erodere anche il feeling creativo: la mazzata più grande è stata quando lo storico cantante, Jacob Bredahl, ha abbandonato la band nel 2007, da lì in poi le cose non sono più state le stesse: nonostante l’impegno dei Danesi, in particolar modo del chitarrista/fondatore Pepe, qualcosa sembrerebbe essersi rotto e la qualità della proposta musicale ne ha risentito parecchio; parliamo sempre di un livello che si attesta ben sopra la sufficienza ma se prima si poteva parlare di livelli ottimi, adesso direi che si può arrivare ad un discreto.
Hatred Reborn è un disco che non vuole fare nessun prigioniero, è un imponente macigno lasciato libero di rotolare all’impazzata lungo un crinale, con l’unico intento di distruggere tutto ciò che incontra durante il suo percorso e se l’intento è questo, direi che la band ha centrato in pieno il suo obiettivo, infatti nonostante i ritmi non particolarmente elevati delle canzoni che compongono il disco, è la pesantezza a farla da padrone e in alcuni casi la monoliticità che riescono ad annichilire: il genere proposto è sempre di matrice thrash-death con ampi rimandi alla scuola di Gothenburg, infatti Pepe si lancia spesso in intrecci melodici in grado di rompere quella monoliticità delle composizioni le quali, altrimenti, rischierebbero di cadere nella monotonia, procurando in chi ascolta una certa perdita di attenzione: Pepe è un compositore navigato e sa perfettamente dove e come inserire i momenti melodici per spezzare il ritmo e permettere di riprendere fiato, così come sa perfettamente quando è il momento di pestare duro o giocare con il groove, groove di cui Hatred Reborn è pieno, tanto che in alcuni momenti gli HateSphere parrebbero fare il verso ai Pantera di Fare Beyond Driven: no, non sto parlando di scimmiottare i Pantera, parlo del fatto che le impostazioni ritmiche del riffing rimanda a quanto potuto ascoltare in quel grande classico del groove-metal.
I quattro danesi, nonostante gli anni di presenza nella grande famiglia del metallo, vogliono dimostrare di avere ancora un animo giovane e devo dire che in questo li aiuta l’inserimento della nuova ugola, capace di eruttare growling profondi e ben assestati su ogni brano: Mathias Uldall proviene da una band metalcore danese e, nonostante questo, riesce a districarsi alla perfezione sulle ritmiche thrash-death del combo, dando però quel tocco di modernità, che non guasta affatto in questo caso, proveniente dal suo background musicale, la commistione tra metriche tipicamente thrash e metalcore riesce a dare alla parte vocale una freschezza nell’approccio che è molto interessante e questo ha sicuramente influenzato il riffing e il drumming, in alcuni momenti forsennati mentre in altri, a dire il vero nella maggior parte dei casi, con spettacolari rallentamenti e linee melodiche interessanti e un beat abbastanza fuori dagli schemi rispetto al classico stile thrash-death. Ogni cosa sembrerebbe, quindi, essere al suo posto ma il fatidico “però” è dietro l’angolo ed infatti, nonostante tutto l’impegno di questo mondo, le capacità tecniche e compositive messe in piena luce e in grande spolvero, Hatred Reborn perde qualcosa perché molti riff, nonostante siano ben inseriti e strutturati, non hanno il giusto mordente e forse nemmeno il giusto spazio: in alcuni frangenti si ha come la sensazione che manchi qualcosa, che manchi uno sviluppo di un riff che potenzialmente poteva essere davvero un cosiddetto “killer- riff”, di quelli che ti fanno piegare l’osso del collo fino a sentire una marea di crack; non parlo di riff brutti, attenzione, parlo di possibilità di offrire loro un’evoluzione e un’esposizione maggiori e differenti: non sto nemmeno dicendo che siano messi nel posto sbagliato, anzi, è ciò che ne consegue che a mio modo di vedere è sbagliato perché non riesce a dare la giusta importanza ad un riff o una linea melodica o una ritmica, che vengono lasciati lì quasi solo accennati.
Il disco è altamente godibile, non lasciatevi spaventare da queste precisazioni, perché in realtà non sono critiche nel senso stretto, quanto dei semplici suggerimenti che si spera i Danesi mettano in pratica nel prossimo disco: non può non essere godibile un disco degli HateSphere, loro sono una di quelle poche band che riescono anche dove non tutto sembra combaciare al meglio, nei loro album si sente tutta la passione, tutta la necessità di buttare fuori le loro cariche negative e anche la sensibilità di voler convogliare in musica, anziché in altro, l’odio del mondo.
Nuovamente ben tornati HateSphere, ho davvero molto apprezzato questo Hatred Reborn e spero di poter ascoltare presto del nuovo materiale perché la verità è che il mondo ha bisogno di voi e della vostra sana e dissacrante/divertente attitudine perché è questa che rende il tutto, anche tematiche pesanti come quelle affrontate nel disco, decisamente più leggere, offrendo uno spazio di riflessione, ma non una costrizione bensì uno spazio in cui la critica può essere più oggettiva perché ponderata con coscienza.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri
Scarlet Records
www.hatesphere.com
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Peter Lyse Karmark – guitars
Mike Park Nielsen – drums
Jimmy Nedergaard – bass
Kaspar Kirkegaard – guitars
Mathias Uldall – vocals