Otus
Torch
Esiste un modo per poter portare alla completa comprensione e possessione del proprio Io, quell’Io che troppo spesso ci troviamo ad ascoltare solo nei momenti bui o quando tutto ci sembra perduto, perché lui, a prescindere da ciò che noi facciamo, ingloba ogni esperienza, ogni parte del nostro vissuto e ne fa un’altra struttura del nostro essere, una condizione che ci permetterebbe di poter comprendere molto di più di ciò che siamo e molto di più del nostro vissuto e delle nostre reazioni.
Tutto questo e anche altro è alla base del concept che i romani Otus portano avanti in questa loro seconda prova in studio: Torch. Qui è piuttosto chiaro che la torcia sia il mezzo che abbiamo per andare a scandagliare il nostro Io, riunirlo alle nostre sensibilità fisiche, mentali e spirituali, attraverso l’estensione sensoriale. La torcia è il faro che saprà farci da guida, a patto di saper realmente ascoltare noi stessi, in questo labirinto fatto di chiaro-scuri, di spigolosità e armonia, di discese, salite e piccoli tratti pianeggianti: tutto questo va compreso, analizzato e metabolizzato per arrivare alla piena coscienza del Se. Qualcuno, partendo dalle varie filosofie orientali che mirano a scandagliare l’animo umano per trovare un equilibrio con se stessi, con la natura e con il cosmo, ha definito questa ricerca La Quarta Via. Fu George Gurdjieff a parlare di questa necessità, intesa in senso di bisogno, in cui è necessario riuscire ad utilizzare tutte e tre le componenti (corpo, mente e spirito) di cui siamo fatti in maniera simultanea, per giungere alla completa consapevolezza. Il concept in cui si sono imbarcati gli Otus è piuttosto arduo, anche se penso che la musica sia forse la forma d’arte migliore per riuscire ad esprimere completamente il senso profondo di ciò che anche un tema così complesso, possa offrire.
Come già detto la band è al suo secondo lavoro in studio, forti di un precedente, targato 2016, che aveva raccolto i favori della critica italiana e non e anche in questo caso non deludono affatto, anzi se possibile, riescono ad incrementare quel suono e quella capacità di scrittura che aveva dato lustro alla prima release. Il territorio in cui si muovono i Nostri è quello del post-metal e dello sludge, per cui chi voglia approcciarsi all’ascolto non si aspetti delicate carezze o sognanti nenie, perché qui a farla da padrone è la pesantezza, cui si inseriscono sicuramente momenti più onirici, che servono a rendere bene il concetto di introspezione, ma sappiamo tutti che il viaggio dentro se stessi è spesso carico di sofferenze e di lotte intestine brutali, come sono brutali le verità che ci troviamo ad affrontare guardando nel nostro specchio interiore.
Le composizioni sono costruite in maniera ineccepibile e si dipanano in un elevato minutaggio, intersecando alla perfezione i momenti piú post-metal con quelli sludge, andando a creare così un equilibrio prezioso capace di portare gli Otus in una dimensione superiore rispetto alla media. Si sente che la strutturazione delle singole canzoni e tutto il concept del disco è molto ragionato e ben indirizzato per raggiungere lo scopo ultimo: accompagnare chi ascolta dentro se stesso. Molti i chiaro-scuri che si alternano all’interno dei brani, capaci di essere ora estremamente evocativi e ora di essere atterranti per quanto è elevato il grado di pesantezza sonora, una pesantezza che non è mai lasciata al caso o all’istinto ma controllata per la necessità di rappresentare ciò che deve nel combattere i demoni che si agitano dentro di noi.
Nonostante il genere particolarmente inflazionato, i ragazzi romani riescono a fare trasparire la propria personalità grazie ad una solida conoscenza del genere e delle dinamiche che in esso intercorrono e grazie ad una importante capacità di scrittura che, nonostante mostri palesemente richiami ai mostri sacri del genere (Cult Of Luna, Isis e Pelican su tutti), non risulta mai essere un mero derivato di quanto detto dalle su citate band. La capacità degli Otus va anche oltre lo schematismo di genere, andando ad affondare parte delle sue radici nella scena dark-progressive italiana, con echi che rimandano a gruppi come Goblin o Jacula o Antonius Rex; ed è proprio questo che rende particolari le composizioni, donando loro una fluidità progressiva che scandisce la continua trasformazione dell’individuo. No, non c’è staticità in Torch, nonostante il tutto si giochi su mid-tempos quando non addirittura totalmente low, arrivando in territori caro ai signori dello sludge, gli EyeHateGod, perché anche i momenti più statici godono di una certa fluidità di fondo, come se volessero rappresentare la necessità degli uomini di guardare sempre avanti.
In questo disco ogni cosa è assolutamente al suo posto, ogni cosa contribuisce a rendere chiaro il viaggio, così come ogni cosa si muove per seguire la nostra interpretazione e la lezione che avremo appreso durante il nostro cammino.
Consiglio vivamente Torch a chiunque abbia a cuore il proprio Io e propria la necessità di essere un unicum con il tutto.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri
Time To Kill Records
www.otusband.com
In Tenebris
Through The Flesh
The Vessel
Apnea
Ex Tenebris I
Ex Tenebris II
Fabrizio Aromolo – vocals and synth
Daniele Antolini- bass
Fabio Listrani- guitar
Brunomaria Cosenza – guitar
eopoldo Russo Ceccotti – drums