Yskelgroth
Bleeding of the Hideous
Il Black Metal che incontra il Death non è una operazione nuova, ma questa band spagnola è davvero in grado di sferzare l’ascoltatore con dosi massicce di oscurità feroce, dove il nero non è una sinuosa malevolenza atmosferica, bensì una cupa scudisciata continua di dolore netta e concreta; qui il buio non è un mistero ancestrale ma una definita certezza furente. Secondo album a distanza di quattordici anni dal precedente ‘Unholy primitive Nihilism’, a causa della chiusura della loro etichetta Regimental Nec. Ma il gruppo ritorna evidenziando una buona forma. Qui troviamo il cantante degli Unbounded Terror e il chitarrista dei Golghota che si sono uniti al batterista degli Heretic per una ricetta di fumosa e ardente brace metallica.
‘THE MORBID EARTH’ è un inizio-album davvero efficace, che colpisce duro ed elettrifica a sangue le orecchie. Non da meno è l’ottimo impatto di ‘PRONE TO GOBBLE LIFE, ma in questo caso più epico ed evocativo, leggermente meno irruento, per lasciare almeno uno spiraglio ad un certo tasso di atmosfera. ‘OMNICIDAL END’ è uno dei brani meno scatenati e funziona eccellentemente (non manca però di accelerazioni) anche grazie ad un sinfonismo elegante, ponendosi tra i migliori pezzi, a testimonianza che il gruppo è in grado di regalare molto più che un brutale assalto; è uno dei pezzi dove più si alternano growling e screaming. ‘PRIMAL EXPULSION’ è un rancido incedere che oscilla tra parti fibrillanti e parti pachidermiche, in un tira e molla che va dalla velocizzazione grintosa al muro cadenzato. Interessante l’epicità granitica di ‘PATH TO DEVOURMENT’ che si scatena sulfurea; l’aggiunta di una coloratura fatta di sinfonici echi rarefatti è realizzata in maniera minimale, lasciando che siano le riffiche granulose a parlare, come è avvenuto per tutto il disco. Un po’ vuota una canzone come ‘Aeons Empty’ che appare quale filler monotono, uno spunto interessante che non evolve, rimanendo embrione fine a se stesso. In altri episodi si uniscono azioni non efficacissime con passaggi invece pregnanti come succede in ‘Plagueridder’. Quindi non sempre un lavoro a fuoco, ma nella maggior parte dei momenti si fruiscono belle emozioni.La voce è un growl tenebroso, in alcuni casi accompagnato da uno screaming evocativo. Non sempre il cantato diventa valore aggiunto, mancando talvolta di accentazioni arricchenti, ma in linea di massima è gestito piuttosto bene. Tra le cose che hanno maggiore qualità, la chitarra è basilare e spesso vera star della strutturazione dei pattern. L’ispirazione è densa di sensibilità compositiva, così che la cattiveria prende una forma enfatica piuttosto che cruda. E’ un modo di scrivere attento a non soffocare né le varie parti strumentali né i vocalizzi, riuscendo a determinare variazioni percettive che diventano interessanti e molto intelligibili. Se in alcune sezioni si avesse cercato una maggiore profondità per la quale però si necessitava di un minutaggio un po’ meno breve, l’album avrebbe avuto forse un respiro più esaustivo. Il songwriting delle singole song possiede cambiamenti di ritmo e di umore, sezioni molto brevi ed essenziali che si succedono nervosamente. Un dinamismo quindi asciutto e ridotto all’osso, che mantiene tutte le canzoni in una forma non eccessivamente contorta, prediligendo efficaci colpi distruttivi, ma anche rinunciando ad offrire un panorama più evoluto. L’essenza è quella di abbattere piuttosto che avvolgere, pur lasciando che alcuni istanti siano pregni di suadenza. E’ una scelta comunque realizzata con cognizione di causa, apparentemente con la reale volontà di non volersi rendere difficili. In effetti le migliori tracce hanno la giusta potenza e un feeling significativo che raggiunge comunque il punto.
Roberto Sky Latini