White Skull
Metal Never Rusts
Dopo l’ottimo lavoro del 2017, quel ‘Will of the Strong’ che vedeva la band in una delle loro migliori forme, oggi torna ancora l’ottimo con un prodotto macinatore di riff che tiene bene la strada grazie ad una verve tonica davvero notevole. Sembra impossibile che siano passati cinque anni, perché quel disco sembrava un rientro in carreggiata davvero carismatico. E tale undicesimo album sforna ancora puro Heavy Metal anche se rivestito di epicità a volte folk, a volte sinfonico, ma la classicità anni ottanta emerge in tutto il suo fulgore.Il Power d’attacco rappresentato dalla title-track ‘METAL NEVER RUSTS’ occupa il podio per una delle migliori song, riffing serrato che si alterna a suggestivi passaggi rallentati, fino ad un ritornello melodico e ad un titolo corale ad effetto, il tutto tenendo una tensione energica che colpisce dritta al petto. Leggero sinfonico respiro in ‘SKULL IN THE CLOSET’ che ricorda un po’ i Rhapsody Of Fire meno cervellotici, anche se la linea melodica è più Heavy, con la personale singolarità della cantante che vive di luce propria; il senso corale del titolo qui è più limpido e meno metallico ma sono momenti espressivi che aumentano la particolarità del pezzo.
Altra pietra rocciosa che impatta è l’altro Power-style di ‘BLACK SHIT’ la cui scrittura poteva diventare un brano alla Powerwolf/Sabaton senonchè l’arrangiamento ricalca la tradizione più antica dell’Heavy e non si modernizza in senso catchy come fanno quei due gruppi, così da risultare una canzone massiccia seppure compaia la morbidezza in parte della linea cantata, ma sono andamenti preziosi che mantengono alto il livello. Le canzoni più Power qui sono le migliori ed anche ‘AD MAIORA SEMPER’ ce lo ribadisce, quadrata e pesante come un bel pezzo degli Accept, e la voce si esterna quale uno dei momenti più aperti del cantato dell’album, con grande efficace feeling offerto all’ascoltatore; brano duro nella ritmica ma solare nello spirito, grazie anche alle tastiere luminose.
La compattezza alla Saxon di ‘PAY TO PLAY’, aumentata dalle strofe cantate vigorosamente, viene diminuita col ritornello ma poi diluita dalla citazione chitarristica de ‘Il Padrino’, curiosità perfettamente integrata e valoriale. La stranezza divertente di ‘JINGLE HELL’ è una straniante azzeccatissima pulsione teatrale che funziona egregiamente e che sta benissimo nel disco anche se esce un po’ fuori dalle righe stilistiche del lavoro; è un piccolo colpo di genio compositivo che rende frizzante la fruizione dell’album. La bella semi-ballata finale a due voci ‘Weathering the Storm’, crea una buonissima atmosfera, eppure in un contesto globale così ben riuscito, sembra non raggiungere l’acme delle altre; non è certo un filler grazie ad una densità emotiva comunque presente, per quanto non così personale. Il pianoforte che vi si trova funziona bene, magari però poteva svilupparsi maggiormente.
Disco migliore o in flessione rispetto a ‘Will of the Strong’? Dipende solo dai gusti. Quello che è certo è che ancora una volta il gruppo si conferma quale iconica entità italica tra coloro che trasudano maturità. Questo combo oggi ha voluto tenere un ritmo sostenuto per la maggior parte delle tracce e ciò è risultato positivo. Il dinamismo è ricco di sfaccettature espressive che permettono alla voce di uscire adeguatamente in diverse modalità. La singer era apparsa al suo meglio nel full-lenght precedente e qui conferma la sua migliorata abilità esecutiva. Si sente che in alcuni casi giunge ad un limite difficilmente superabile, dove sembra sforzarsi parecchio, ma l’intelligenza gestionale arriva dove non arriva l’ugola.
Anzi, sorprende sentirla cambiare da una impostazione roca ad una pulita e sinuosa, con alzate di tono anche significative; ma lo aveva già fatto in maniera eccellente cinque anni fa, oggi è solo una riaffermazione di ciò che lei è diventata. Gli assoli fischiano o si velocizzano con forza elettrica senza mancare anche di certe melodie ficcanti. Le tastiere non fanno virtuosismi particolari ma sono amabilissime nel loro compattare la struttura. L’insieme possiede una bella rotonda evocatività che rende tutto piuttosto epico. La musica di questa realtà è sempre stata quella che pretende ascoltatori che siano metallari veri, e la cosa vale ancora oggi, perché l’album non permette cadute alla moda o un annacquamento della pulsione rock che i White Skull hanno fatto sempre respirare.
Roberto Sky Latini
ROAR
www.whiteskull.band
Hammer On Thin Ice
Metal Never Rusts
Skull In The Closet
Black Ship
Heavily Mental
Scary Quiet (feat. Chris Boltendahl)
Ad Maiora Semper
Jingle Hell
Pay To Play
Weathering The Storm (feat. Tony Fontò; Valentino Francavilla; Jo Raddi)
Federica Sister De Boni – vocals
Tony Mad Fontò – guitar
Valentino Francavilla – guitar
Alexandros Muscio – keyboards
Jo Raddi – bass
Alex Mantiero – drums