Whirlings

Earthshine

Il nuovo album di questo combo accarezza le orecchie e l’anima con brani che spaziano fra sonorità anni sessanta, progressive-rock anni settanta e schitarrate pseudo-doom ben impostate.

Il postrock della band non è originale, ma è pensato con cognizione di causa, con la cura di chi conosce la materia, e gestito con personalità. Non c’è del virtuosismo esplicito, come avviene spesso nel genere progressive classico, però si percepisce una equilibrata attenzione tecnica. Il basso caldo è la vera essenza di questa musicalità, che regge la struttura ma è anche senso melodico; esso diviene l’elemento chiave di vari momenti comunicando con nettezza la sua necessaria essenza. Le chitarre giocano coi suoni morbidi ma anche con i riff distorti che in qualche modo si rifanno a Cream e Black Sabbath; non è un vero e proprio doom, ma ne è parente molto vicino.

“Vacuum”, nella sua anima psych rarefatta vive pienamente negli anni sessanta, ed anche se è l’unico brano cantato appare il meno incisivo per quanto interessante. Il migliore episodio è invece “REVERENCE” che nelle sue tre parti tende al crescendo emotivo, dapprima sognante , poi ritmato e alla fine duro con un assolo hard ben sostenuto. Altra bella prova è “#6” grazie alla delicatezza che viene mantenuta anche quando l’andamento si indurisce, regalando una purezza emozionale. Più ripetitivo “Good for health, Bad fo Education”, sebbene mantenga viva l’attenzione; e qui il basso abbandona un po’ della sua morbidezza per essere parzialmente più tonico, ma sempre fondamentale, anche contemporaneamente alla presenza dell’assolo chitarristico, il quale spezza la parziale staticità del pezzo. Lunga suite di oltre undici minuti l’ultima traccia “Lost in Whiteout” che inizia con una certa scorrevolezza, ma che, ad un certo punto, ben prima della metà della traccia, inizia un giro di note e accordi infinito, che ripete fino al limite, con pennellate dense sulla parete sonora, una crescente ossessività tormentata, che ne fa uno stoner terroso e debilitante; è l’unico momento dell’album a divenire irrespirabile, effetto positivamente riuscito.

Dopo l’ep del 2010 il gruppo italico ci prova con un full-lenght ed il risultato funziona. Sono solo cinque tracce ma tre sono lunghe, e l’insieme è molto ricco. La verve è molto vintage ma senza apparire copia di un modello superato. Non è prettamente genere Hard Rock, spesso preferendo un certo rock meno intransigente, ma comunque sempre lontano dalla commercialità. Sono musicisti delicati, in grado di creare tessuti accattivanti anche senza un cantante; ma sanno con raffinatezza accostare la loro anima ariosa con quella più pesante. La loro vena Prog si evince dalla ricerca di passaggi che prediligono spesso andamenti circolari e ripetuti, un po’ alla Camel, un po’ a ricordare  Philip Glass. La psichedelìa è presente ma non estrema, dato che il sound rimane molto materico, mantenendo le sue evanescenze ben circoscritte e definite. Non si denota mai un vero colpo di scena improvviso, ma sembra non essercene bisogno perché è così variegata la somma dei suoni che tutto attrae e tutto incuriosisce. Il lavoro regala una serie di soluzioni che appaiono suadenti.  Lavoro fatto bene, tecnica e cuore mescolati a realizzare un respiro ispirato. E’ fatto per chi sa lasciarsi andare ad un ascolto rilassato, senza fare altro se non chiudere gli occhi e lasiar andare le membra per farsi trasportare; il fruitore non può entrarci con altro metodo.

Roberto Sky Latini

Vacuum
Reverence
#6
Good for Health,
Bad for Education
Lost inWhiteout

Andrea Lolli – guitar
Mattia Lolli – guitar
Diego La Chioma – bass
Giulio Corona – drums