Visigoth

The Revenant King

La band statunitense ha esordito con un demo nel 2010, ma solo oggi, 2015, approda al suo primo full-lenght. Il suono non è moderno, anzi, la produzione è tipica degli anni ’80.

Ma l’attitudine lo è, vivendo il passato con la consapevolezza moderna di chi si avvicina ai miti in modo maturo, esprimendo una impostazione che sa come evitare le trappole vintage; senza ingenuità. Non vi sono novità stilistiche, partendo da una atmosfera N.W.O.B.H.M. con vocalizzazioni alla Angel Witch e schitarrate alla Iron Maiden, passando per l’epicità ritmica dei Manowar;(la copertina  ricorda dannatamente quella del primo album  dei Cirith Ungol N.D.R.) eppure l’approccio è quello di mimetizzare così bene la cosa, da non far sembrare i Visigoth nessuno dei gruppi citati. Inutile raccontare in quali composizioni si possono sentire questa o quella ispirazione, poiché esse sono ben mescolate. Il genere suonato è soprattutto un Epic Metal con caratteristiche dell’Heavy classico, e niente di contemporaneo .

Ogni brano è costruito con grande attenzione, senza sbavature, creando linee melodiche curate e che la voce riesce a gestire bene senza bisogno di virtuosismi. Il difetto di essere prolissi nelle tracce (nessun brano sta sotto i 5 minuti) scompare dopo più di un ascolto, in quanto tutto fila liscio, senza indecisioni. Vi sono cambi di ritmo e ponti soft, velocizzazioni e rallentamenti, e mai un calo di tono. La batteria è veramente abile e tosta, riuscendo a sottolineare i vari passaggi sonori. Gli assoli di chitarra sono delimitati in punti specifici delle song, non diventando mai troppo esuberanti; si predilige invece la chitarra ritmica con riffing serrato, e i riff circoscrivono il cantato che è alla base del songwriting. Stranamente la varietà singola dei pezzi fa assomigliare un po’ alcuni brani fra loro ai primi ascolti, però, come ho già detto riguardo alla lunghezza dei brani, anche questo ostacolo cade proseguendo nella fruizione. Possiamo parlare di un viaggio interessante, in grado di soddisfare chi ama la tradizione di un sound che ormai ha trent’anni.

I pezzi forti sono tre. “THE REVENANT KING”, lunga ben 8 minuti, con la sua linea melodica che viene voglia di cantare. La seconda traccia “DUNGEON MASTER”, un veloce Power Metal spezzato da un ponte centrale soft molto atmosferico. E infine la lunga (quasi 10 minuti) traccia finale “FROM THE ARCANE MISTS OF PROPHECY” che vuole chiudere con spirito ancor più evocativo un album che per tutta la sua durata non ha fatto che trasmettere la stessa positiva epicità. Non sono presenti filler, e molti passaggi gustosi sono disseminati qua e là dentro un contenuto suadente e compatto.La cover dei Manilla Road, “Necropolis”, è ben gestita, anche se il brano non mi è mai sembrato tra le cose migliori dei Manilla, quindi scelta non così straordinaria.

Un bel disco attraente. E’ fatto per chi non ama gli effetti pirotecnici della moderna tecnologia. Se vogliamo, il sound è standard ma non la sensibilità compositiva che supera la media. Si sente che la gestione musicale è operata con la cura dell’appassionato. Un tipo di lavoro che entra anche nel cuore, a patto di non cercare l’originalità, ma solo la buona musica.

Roberto Sky Latini

The Revenant King
Dungeon Master
Mammoth Rider
Blood Sacrifice
Iron Brotherhood
Necropolis (ManillaRoad cover)
Vengeance
Creature of Desire
From the Arcane Mists of Prophecy

Jake Rogers – vocals
Jamison Palmer – guitars
Leeland Campana – guitars
Matt Brotherton – bass
Mikey T. – drums