Mother Mary

Mood Awakening

Nel 2011 una band italiana esordisce con un bel suono americano, il 2014 li vede tornare meno timidi e più maturi.

In realtà la cifra stilistica è la stessa, ma i brani sono qualche gradino più su, più belle, e rimangono con maggiore presa nella testa. La crescita li ha portati ad avere un sound maggiormente corposo. Tutti i reparti salgono di podio contemporaneamente, migliorando sia la sezione ritmica che la verve solista, che la ricercatezza melodica; un complimento specifico va fatto alla batteria ben tesa e di carattere. Il lato Grunge alla Nirvana  è sfumato; infatti l’afflato non è disperato, ma caldo e avvolgente. Di italiano qualcosa ci ricorda Ligabue (la parte migliore), ma è solo una impressione appena accennata, ed è una fortuna che sia così, perché la voce di Filippo Spanò è nettamente migliore. Invece c’è molto di americano anche cantautorale e country, sebbene sia ben netta la distorsione della maggior parte dei pezzi. In alcuni frangenti si viene a contatto con l’Hard Rock, ma non come nel brano “Temptation” del primo album che aveva il guitar-sound alla Ted Nugent. Direi che si è più legati al proto hard di fine anni ’60.

Orientaleggiante la chitarra di “LEGION” che immette subito nell’essenza della band, ottimo pezzo che incarna la filosofia del gruppo. Il suo sinuoso cantato appare ammaliante come pure la chitarra solista posta nella zona meno distorta. Lo stesso avviene in “SWAMP FEVER” che pare partire più dura ma che tende anch’essa a gestire fluidamente la linea vocale; risulta un brano polveroso quasi da desert-rock, con un assolo liquido che dispiace sia troppo corto. “BAD WORLD” è invece una ballata country-folk arricchita da due momenti ritmici diversi e realizzata con il gusto di chi comprende lo spirito USA; una voce super-rotonda e piena, chitarra acustica ritmica e feeling intrigante, quegli “oohoooh” hanno rischiato la Ligabuizzazione, ma si è scampato il pericolo. E l’album termina con l’episodio più duro “AWAY FROM LIFE”, che poteva essere composto dai Foo Fighter, una song dal riff pressante con rallentamenti, che chiude in bellezza un lavoro che testimonia la capacità dei musicisti di trattare la materia.

Parlare di brani minori non significa parlare di filler, anzi tutti i pezzi sono validi momenti di piacere. La sentita “27”, semplice e lineare eppure vibrante. “Crowbar” contiene un pizzico di malinconia alla Pink Floyd ( nel suono del cantato della parte di “I see far, too far…..”) e umoralità western, più che nel pezzo successivo “John Wayne”, questi invece dinamicamente costruito su una chitarra ritmica acustica. Forse il brano meno valido potrebbe essere considerato “Devil’s Haircut” in quanto parzialmente scontato.

C’è un senso globale di ipnosi che mantiene fissi al centro dell’ascolto. Non sono presenti impatti d’attacco frontale. Si predilige una circolarità che abbraccia l’ascoltatore con una trama che viene arricchita di cori morbidi e di inserti strumentali. Il rock dei MMM appare verace, scorre senza intoppi, ma non è plasticosamente levigato. Invece il senso di orecchiabilità entra positivamente nelle viscere senza quasi che uno se ne accorga.   Nella scia di Alice in Chains; Smashing Pumpkins e Pearl jam, questa band possiede una espressività intrigante che appare già consapevole della propria forza creatrice.

Roberto Sky Latini

Autoproduzione
www.mothermarymood.com

Legion
Swamp Fever
Bad World
27
Devil’s Haircut
Crowbar
John Wayne
Away from life

Filippo Spanò – vocals
Lorenzo Spanò – guitars
Marco Formosa – guitars
Marco Mantini – bass
Alessandro Beltrame – drums