Sons Of Arrakis

Volume I

Dal Canada arriva questo nuovo gruppo che suona un torrido Stoner molto debitore dei Black Sabbath periodo Ozzy. Però questa loro ispirazione primaria non diventa mai una banale riproposizione del vecchio sound, è anzi vissuta e scritta in modo intelligente e maturo, sebbene ci sia un alto tasso vintage. Particolare il fatto che l’etichetta per la quale pubblicano sia del Kazakistan, ma ormai tutto il mondo è paese. Il tema concettuale dei testi è fantascientifico, riferito alla storica saga di ‘Dune’, e quello che emerge dalle atmosfere è terreno di sabbia e rocce che scottano.La bravura della band nel concepire l’album si denota anche da come viene gestito l’intro-outro ‘Shai-Hulud’, per niente stupido o noioso. Alla fine sono però le singole canzoni a farsi valere in modo naturale. Il fatto che non esistano riempitivi pone tutte le tracce in una certa parità valoriale. ‘THE BLACK MIRROR’ è abbastanza solare, nella semplicità vive un dinamismo pimpante. Il doom di ‘TEMPLE OF THE DESERT’ suona come una giornata afosa, ma la voce viene accompagnata da vocalizzazioni ariose che danno fascino all’insieme.

Tali controvoci sono una delle peculiarità della band, gestite con sensibilità ideativa, anche la sentita ‘OMNISCENT MESSIAH’ ne fa importante ricorso, e poi sul finale immette la classica riffica di ‘Children of the Grave’ dei Black Sabbath, che però sa trovare una diversa interpretazione di se stessa. Se i Black sabbath sono la base, a volte inserendo dei giri di note che sembrano vere e proprie citazioni, ma che poi evolvono diversamente dall’originale sabbathiano con grande abile lucida variazione sul tema, diverse altre sono le ispirazioni che vengono alla luce, ma integrate come solo un gruppo moderno sa fare, cioè un gruppo che ha studiato bene la materia. Per esempio ‘Complete Obliteration’ porta su una strada semi-grunge. Si sente anche la NWOBHM, per esempio in ‘LONESOME PREACHER’, che degli anni ottanta inglesi contiene molto. Quali siano gli episodi migliorano lo decidono i gusti visto che in nessuno dei casi presenti si può parlare di prodotto scadente.

Il rifframa è circolare ma confezionato per essere al servizio della canzone, mai fine a se stesso, e nemmeno scontato eccetto quando fa chiaramente il verso a certe forme famose. Esso è sempre fascinoso e crea un fluido scorrimento di ogni singola traccia. L’attenzione per i riff è maggiore che per gli assoli, e ciò in una dinamica costruttiva, evitando di girare a vuoto. Sembra posta in secondo piano la voce, anche dal punto di vista del volume, invece essa è accattivante e sinuosa, ed elabora delle belle linee melodiche che completano ottimamente il quadro espressivo, che se fossero più in primo piano avrebbero dato una impatto più tonico. Piuttosto che scegliere un sound psichedelico, ciò che emerge è un groove  piuttosto concreto, dinamico e scorrevole, ma poco propenso a suggestioni troppo rarefatte, prediligendo note dirette e toniche; nessuna divagazione. Il fatto di non aver inventato nulla, non toglie che questi musicisti siano però in grado di rendere attrenti e frizzanti le loro composizioni. E alla fine ciò è qualità a tutti gli effetti.

Roberto Sky Latini

Shai-Hulud (instrumental)
The Black Mirror
Complete Obliteration
Temple of the Desert
Omniscient Messiah
Lonesome Preacher
Abomination
Shai-Hulud (Sequel)  (instrumental)

Frédéric Couture – vocals / rhythm guitar
Francis Duchesne – lead guitar / keyboards
Vick Trigger – bass
Eliot Landry – drums