Soilwork

Overgivenheten

Stavo ascoltando questo album per scriverne la recensione, quando è arrivata la notizia della morte, a 47 anni soltanto, del chitarrista David Andersson, anche membro dei Night Flight Orchestra. E così poi nello scrivere mi faceva strano percepire la chitarra, come se fosse ancora vivo, perché essa qui comunica e descrive, con grande sensibilità, in maniera vitale, atmosfere e stati d’animo. Il Melodic Death Metal degli svedesi Soilwork in questo disco è molto ibridato col metalcore, ma in modo estremamente raffinato. Il cantato pulito fa sempre la metà del lavoro con la parte feroce del growling, in un equilibrio perfetto, forse che rende telefonate le alternanze ma che riesce sempre a mantenere alto il livello compositivo. Siamo al dodicesimo full-lenght dall’esordio del 1998, e la maturità, rimasta ispirata, si percepisce nettamente dal risultato. Una maturità che David ora porta via con sé. E guardando la copertina con il passeraceo morto, leggendone il titolo che in svedese significa “abbandono”, il suo decesso fa ancora più strano.

La partenza vede uno dei pezzi migliori, la titletrack ‘OVERGIVENHETEN’, colpire con pugno di ferro nonostante la solita melodia pulita. La cattiveria aumenta con ‘ELECTRIC AGAIN’, anche aumentando la velocità ad un certo punto nell’assolo; mentre nella sezione pulita del ritornello assomiglia moltissimo all’espressività dei finnici Barren Earth, ampliando ariosamente l’atmosfera con grande sensibilità, aiutandosi con violini dal delicato appeal. Il calore scuro viene emanato dalla malevola ‘THE GODLESS UNIVERSE’, dove però i ritornelli estesi posseggono virtuosismo e magia. Anche ‘HARVEST SPINE’ spacca il culo con una bella rotonda aggressività, unendo ritmo cadenzato a musicalità variegata e infilando un assolo acido che sembra schizzare come una scheggia elettrica.  ‘NOUS SOMMES LA GUERRE’ è un bel momento cadenzato con una linea melodica tra le più leggiadre, senza estremismo vocale, ispirata nelle strofe alla New Wave anni ottanta, e che lascia spazio all’assolo che si esprime elegantemente sopra un bel giro riffico. Il lato orecchiabile, commerciale in senso lato, che ricorda gli americani Avenged Sevenfold, è ‘DEATH, I HEAR YOU CALLING’, semplice ma irresistibile con la sua cadenza ballabile, pezzo sicuramente in scaletta nei loro futuri concerti, da scandire a pugno alzato.

Il finale è affidato al pezzo più lungo del lotto (oltre sette minuti), ‘ON THE WINGS OF A GODDESS THROUGH FLAMING SHEETS OF RAIN’ dove si assaggia una struttura meglio incentrata su una attitudine prog, tornando a ricordare i Barren Earth; qui la possanza è circondata da un afflato più atmosferico dove le chitarre si fanno ancora più centrali oltre ad eseguire un parte solista di evidente regale classicismo, e con la batteria non manca un aumento di schizofrenia con davvero furenti progressioni, e la vocalità trova tanti momenti differenti per comunicare col fruitore. Non sono assenti i brani minori, per esempio nella melodia AoR stile Asia, dentro un arrangiamento moderno come ‘Valleys of Glom’, strano da sentire senza che però stoni. Leggermente canonica e prevedibile ‘Is it in Your Darkness’ anche se arrangiata per colpire e affondare. Il gruppo è comunque riuscito a non infilare filler, anche se un pezzo come ‘Vultures’ è solo piacevole ma niente di più, se non fosse per il bell’assolo liquido.

Tra i migliori brani minori sta l’ottima sequenza che realizza il riffing di ‘Golgata’, che ha begli spunti e dove troviamo uno dei migliori assoli suonati. Le  due brevi tracce strumentali sono invece realmente inutili, oltre che fiacche, era meglio integrarle in qualche composizione, oppure evitarle del tutto, ma non inficiano il valore di un album ricco d’intensità, è come se non pesassero sull’intero, visto che sono solo accenni. Soprattutto ‘Morgongava/Stormfagel’ sembra di averla sentita da qualche altra parte, musica leggera inconsistente.Le ritmiche forsennate sono martellamenti talvolta incessanti, che sorreggono con incisività quasi tutte le song, senza di esse la compattezza viene ulteriormente condensata, ed è necessaria a compensare l’orecchiabilità delle melodie cantate. Se l’ugola è un esempio di estrema classe, le chitarre trovano con attenzione accordi che non siano sempre scontati. Ma va considerata anche la positiva presenza delle azzeccate tastiere. Ottimo disco, probabilmente uno dei migliori della loro carriera. Possiamo considerarla una bella sorpresa. Solo che adesso, nel riascoltare tale lavoro, rispetto a pochi giorni fa, monta la malinconia.

Roberto Sky Latini

Nuclear Blast
www.soilwork.org

Overgivenheten
Nous sommes la guerre
Electric again
Valleys of Glom
Is it in yiour Darkness
Vultures
Morgongava/Stormfagel
Death, I hear You calling
This Godless Universe
Dreams of Nowhere
The Everlasting Flame
Golgata
Harvest Spine
On the Wings of a Goddess through flaming Sheets of Rain

Bjiorn “Speed” Strid – vocals
Sylvain Coudret – guitar
David Andersson – guitar (RIP 2022)
Sven Karlsson – keyboards
Rasmus Ehrnborn – bass
Bastian Thusgaard – drums