Screamer

Kingmaker

L’Heavy Metal classico sembra non voler mai morire, del resto è la base originaria di qualsiasi metal, ma si può renderlo moderno o lasciarlo vintage.  La band svedese di questo disco sceglie la seconda modalità, sia concettualmente che formalmente.

Siamo al quinto disco e si riesce ad essere ineccepibili, ma talvolta la personalità latita e si costruisce un songwriting tanto piacevole quanto derivativo. L’ispirazione si radica su ciò che era la NWOBHM di quegli stoici primi anni ottanta, capendolo e gestendolo bene ma senza aggiungervi nulla. E’ quel lato heavy che si legava più alla morbidezza dei Tygers of Pan-Tang che alle sferzate dei Saxon. Se vogliamo è quel sound tra assalto e orecchiabilità su cui giocano da sempre in maniera variegata i danesi Pretty Maids.‘KINGMAKER’ apre l’album con un certo carisma, utilizzando un ritmo cadenzato che fa muovere il corpo e si ascolta una buona spinta vocale.

Altro episodio positivo è l’incalzante ‘CHASING THE RAINBOW’ dove la tastiera dallo stampo hard rock condisce l’essenza ottantiana con colori settanta. Una miccia power come la serrata ‘BURN IT DOWN’ risulta ficcante e adrenalinica, grazie anche al coretto in acuto; la propulsione si smorza nel ponte rallentato che utilizza un riff  debole quando sarebbe stato meglio infilarci un tagliente assolo iperbolico, che sì avrebbe dato un senso poco originale al pezzo, ma visto che esso è già non innovativo, tanto valeva farlo e ne avrebbe sicuramente giovato. Ballabile diventa la band con ‘RENEGADE’ e sa afferrare l’ascoltatore nella sua scorrevolezza gentile alla Bon Jovi ma abbastanza tonica da evitare di farsi Pop-Metal. La minore ‘Rise above’va nominata per far capire chiaramente come si sia ancorati alla primigenia verve heavy, tanto da rendere la song dannatamente già sentita in ogni sua parte.

Il gruppo mantiene rispetto al passato tono riffico e drumming saltellante, ma una certa maggiorazione di melodia aumenta l’effetto accattivante, e il cantato scorre fluido, anche se nell’insieme dell’arrangiamento si perde un po’ di durezza.  Parallelamente la produzione tecnica ha poco di moderno, limando i picchi aggressivi. Lo stile usato, considerando riffica e linee vocali standard, è vissuto con una prestazione senza sbavature eccetto che nel comparto assoli di chitarra, pochi e iper-canonici, oltre che per la maggior parte poveri. Sembra di stare al cospetto di un chitarrista un po’ scarso oltre che a corto di idee. Per chi quell’era lontana non l’ha vissuta non c’è l’effetto sorpresa, magari fa venire nostalgia, ma allora è meglio ascoltare i lavori del periodo senza mettersi all’ascolto di questo. In realtà la presenza di quattro belle canzoni lo salva rendendolo qualcosina più che sufficiente. Se anche i pezzi minori funzionano è proprio perché ricalcano pedissequamente uno dei lati buoni di quella musica, con la pecca di non volersi, o non sapersi, gettare nella mischia esecutiva del virtuosismo, e nemmeno tra gli spunti compositivi di maggior pregnanza. Compito ben svolto che può attrarre chi ancora non conosce il passato, ma quasi inutile per l’ascoltatore navigato. Volendo prendere un esempio di gruppo che vuole percorrere l’Heavy tradizionale, che sia anche compaesano degli Screamer e attivo dallo stesso anno, più o meno, gli Enforcer funzionano molto meglio, sia per scrittura che per interpretazione.

Roberto Sky Latini

Kingmaker
Rise above
The Traveler
Hellfire
Chasing the Rainbow
Ashes and Fire
Burn it Down
Fall of a common Man
Sounds of the Night
Renegade

Andreas Wikström – vocals
Jon Morheim – guitars
Dejan Rosić – guitars
Fredrik Svensson Carlström – bass
Henrik Petersson – drums