Manuel Agnelli

Ama il Prossimo tuo come Te stesso

Dopo sette anni di assenza discografica degli Afterhours abbiamo tra le mani il primo disco solista del cantante Agnelli e proviamo a capire quanto rock ci sia nella sua ultima espressività. Se cioè si possa sentire non musica superficiale che il mainstream ci propina, ma di nuovo una vibrazione genuina e intelligente. Possiamo dire che in effetti il disco non segue la strada della banale leggerezza e, che sì, è rock. Non quello irruente e istintivo, ma quello più introverso e meditato, quasi un registro da crooner cantautorale. Lui ha cantato, ma anche suonato, e questo disco è davvero una sua personale espressione artistica.

Accompagnata dal pianoforte, ‘TRA MILLE ANNI MILLE ANNI FA’ è alla lontana qualcosa che possiamo paragonare a certe a cose del Banco; si tratta di una bella melodia suadente in cui s’infiltrano incrostazioni sonore davvero particolari realizzate con gli strumenti ad arco. Un ottimo pezzo che una volta sarebbe stato un singolo di successo. La batteria positivamente ingombrante di ‘SIGNORINA MANI AVANTI’ sorregge un’ossessivo andamento scuro che poi si distorce in un riffing sporco, e il cantato avvolge l’ascoltatore con note basse e alte, con inoltre un assolo realizzato con belle dissonanze che vibrano toniche. Agnelli tenta anche azioni peculiari come il pianoforte incalzante di ‘PROCI’ che usa ancora anche alcune dissonanze, stavolta più leggere ma comunque presenti, e la differenziazione netta tra il ritornello aperto e la durezza delle strofe è una contrapposizione riuscita appieno. Il riffing denso di ‘Severodonestk’ non è molto originale, e anche le strofe, un po’ anni settanta, non sono superbe, però il ritornello inietta un bel senso di corale partecipazione utile in sede live. ‘Milano con la Peste’ diventa meno rock, con un parziale attaccamento alla musica italiana tradizionale, pure scorre con amabile suggestione. Il senso orchestrale alla Bennato si affaccia in  ‘Pam Pum Pam’, brano per niente rock che però possiede il feeling per attrarre grazie al suo pathos enfatico.

Molto interessanti si fanno alcuni tra i vari arrangiamenti, e nella semplicità si trovano però atmosfere accattivanti in senso serioso e crudo. Più volte vengono immessi inserti striduli o dissonanti che creano un corposo effetto intrigante, ed è una delle genialità particolari che aumentano il valore di questa opera. Le vocalizzazioni presenti non sono tecnicissime, ma l’ugola di Agnelli sa interpretare un senso di malinconia o di disillusione in maniera efficace. Anche quando le canzoni diventano meno stranianti, la voce rimane a cantare una melodia di stampo prettamente rock. Spesso la linea cantata segue la linea costruita con la chitarra o il pianoforte, così semplificando, e se alcune volte sembra giusto, altre volte sembra troppo semplicistico. E’ però il segno che Agnelli non cerca l’effetto virtuoso dello strumento, ma il passo incalzante dell’ossessione, mantenendo la forma strutturale asciutta, senza svolazzi solisti o decorazioni. La forma è basilare, piena di effetti che però ne fanno sostanza, per una estetica che evita suoni superflui, mantenendosi su quelli necessari all’anima della canzone. Questo non significa che l’insieme strumentale sia povero, anzi, ma nulla vive in maniera autonoma, tutto è collegato e intersecato.

E il fatto di metterci suoni variegati con modalità che non appaiono quelle comuni, anche talvolta con modi vocali non consueti, è un valore aggiunto che si apprezza appieno. Naturalmente la voce è la linea che realizza il filo sonoro, ma le varie trovate degli strumenti si fanno interlocutori diretti e fondanti della sostanza composta. In qualche caso sembra mancare un elemento in più che ne arricchisca l’evoluzione, in alcuni passaggi ci si aspettano bridge o assoli per approfondire il senso del brano, quindi il risultato talvolta è parziale. Ecco, Agnelli non ha cercato l’apertura al mercato, è musica dallo spirito non commerciale, ma diventa musica con un potenziale di vendita grazie solo al valore delle linee melodiche che sono tutte azzeccate e funzionanti. Egli comanda anche negli Afterhours dato che ne è il leader, ma qui è al livello del suo gruppo o no? La questione si gioca probabilmente semplicemente sui gusti di chi ascolta. Diciamo che i lavori degli Afterhours non sono propriamente opere d’arte complete, nel senso che ogni full-lenght porta dentro canzoni belle tanto quanto canzoni pallose, perché il combo italiano non sa scrivere song di medio valore: o tanto, o tanto poco. Qui invece sembra che non ci siano filler, potendo trovare sempre tracce fruibili con piacere, senza mai annoiarsi.

Non è che il livello sia sempre lo stesso, ma evita le canzoni inutili. Per quello che riguarda i testi l’impressione è quella di chi usa parole non sempre scorrevoli, dove anche il significato viene a usare passaggi poco poetici, o comunque poco intriganti. Non è una cosa che emerge sempre, perché in effetti in altri momenti ci sono invece ottime intuizioni letterarie. A ciò si aggiunge che anche la metrica talvolta intoppi. Piccoli difetti che comunque non rovinano il sound. Un sound non monolitico, dove scorrono effluvi New Wave anni ottanta, piccoli sguardi punk, irriverenze cantautorali, per un  disco con la giusta dose di rock, anche quando la mescola ad input di musica leggera. E’ insomma rock all’italiana, come lo è quello degli Afterhours, certamente con ispirazioni più ampie, ma che si lega alla tradizione che l’Italia ha costruito per anni. Agnelli è ormai è un compositore maggiorenne, un uomo che sa come essere artista e non solo cantastorie.

Roberto Sky Latini

Tra mille anni mille anni fa
Signorina mani avanti
Proci
Milano con la peste
Lo sposo sulla torta
Severodonetsk
Guerra e Pop-Corn
Pam Pum Pam
La profondità degli abissi
Ama il prossimo tuo come te stesso

Manuel Agnelli – vocals / instruments
Vaselyn Kandinsky – vocals (in ‘La Torta dello Sposo’)
Frankie – guitar (Little Pieces Of Marmelade)
Lorenzo Olgiati – bass (Afterhouse)
DD – drums (Little Pieces Of Marmalade)
Fabio Rondanini – drums
Rodrigo D’Erasmo – violin