Machine Head

Of Kingdome and crown

La recensione potrebbe partire e finire così: i Machine Head sono tornati e sono tornati alla grande, poiché questo disco riscatta Robb Flynn e soci da anni di uscite senza mordente e senza ispirazione. Ma, ovviamente, non finirà affatto così dato che i ragazzoni americani questa volta di carne al fuoco ne hanno parecchia.

I Machine Head tornano con un disco finalmente degno del proprio nome, un disco che non fa rimpiangere i tempi andati, certo sicuramente non parliamo dei tempi di Burn My Eyes e The More Things Change, mettiamoci in testa che due dischi come quelli non torneranno mai più, un po’ perché manca quella sorta di rabbia giovanile e un po’ perché si è perso anche quell’istinto tipico di quando non sei altamente immerso nel mondo del music business e non devi rendere conto a nessuno. Of Kingdom and Crown suona davvero bene, con un riffing sempre fresco e altamente ficcante, capace di entrarti in testa sin dal primo ascolto, un primo ascolto che può dare solo un’idea molto apparente di ciò che in realtà nasconde il disco, che alterna momenti di modernità a momenti in cui è la vecchia scuola (non ci dimentichiamo che il buon Rob viene dai Vio-Lence, storica formazione thrash metal), il buon vecchio Thrash Metal, rivisto in toni moderni, a farla da padrone e riesce a donare ai brani una varietà molto molto interessante.

I brani, in linea generale, risultano piuttosto lunghi, tant’è che in apertura è posto il brano più lungo di tutta la scaletta, superando i dieci minuti; ma questo non è necessariamente un difetto, infatti Flynn e soci riescono a tenere sempre alta la tensione e l’attenzione grazie a dei riff davvero molto molto interessanti, complessi ma di facile assimilazione, andando ad esporre un senso melodico che, nonostante si fosse già visto in dischi precedenti, mai come questa volta riesce ad essere ben centrato e ben strutturato. Insomma Of Kingdom and Crown è davvero un signor disco ed è accompagnato da una produzione davvero impeccabile, il che permette di godere non solo dei singoli strumenti, perfettamente distinguibili, ma di creare un’amalgama davvero dirompente, capace di fare muovere la testa anche al più apatico degli ascoltatori. C’è una bella profondità di suono capace di offrire la completa dimensione sonora e la complessità sonora che compongono il disco, che, ripeto, nonostante sia di facile assimilazione, non è per nulla semplice nel riffing, che non solo si presenta, come ho già detto, ben strutturato ma soprattutto ben stratificato, dando ad ogni strumento la giusta importanza e le giuste frequenze, il che permette di non appannare il suono e attufarne la brillantezza sonora, capace quindi di sprigionare tutta la potenza e violenza necessaria.

I Machine Head hanno dato alla luce un disco che fa della varietà il suo punto di forza, infatti le atmosfere sono piuttosto variegate, passando da momenti più concitati e feroci a momenti più tranquilli e melodici, il che è sottolineato anche dai cambi di toni nella voce di Robb Flynn, il quale passa dal suo solito grugnito a dei passaggi in pulito, in alcuni casi anche pesantemente effettuato. Of Kingdom and Crown si pone all’interno della modernità, andando ad essere inserito pienamente nel calderone metal-core, perché alla fine è di questo che si tratta: una forte ispirazione sicuramente viene dai Lamb Of God e dal loro modo di esprimersi all’interno del genere e parzialmente il riffing è ispirato a gruppi come Killswitch Engage, il tutto però senza dimenticare di essere comunque i Machine Head e di aver dato vita alla storia di un genere, infatti nei brani non è raro riuscire a riconoscere qualche riff che rimanda ai bei tempi che furono.

Di acqua, di album e di live ne sono passati parecchi sotto il ponte dei Nostri e, tra cadute di stile piuttosto pesanti e riprese, i Machine Head si presentano oggi ancora in grande forma, ma questo non può non fare partire dei paragoni con gli anni passati e con i dischi passati, soprattutto per quel che concerne i due capolavori della band, rispondenti al nome di Burn My Eyes e The More Things Change, con i quali, assieme ad altri gruppi come i Pantera, hanno dato vita ad un genere: il groove metal o new Thrash, come qualcuno, in maniera più appropriata, ama chiamare la musica proposta. Questa cosa fa necessariamente fare un’analisi di ciò che è il percorso di Robb Flynn e dei vari soci che si sono avvicendati accanto a lui, un sentiero, sicuramente ben battuto, dato che le idee il mastermind le ha sempre avute abbastanza chiare ed ha sempre saputo come tirarle fuori, ma un sentiero che è lastricato non solo di troppi cambi di genere, il che di per sé non sarebbe necessariamente un male, se non fosse che questi cambi fossero dettati dal seguire le mode del momento: si parte da The Burning Red, che personalmente reputo un grandissimo disco, in cui si cerca di fare il verso al Nu-Metal per finire a questo Of Kingdom and Crown in cui si fa il verso all’ingombrante presenza, sui mercati, del metal-core in tutte le sue accezioni; sì perché all’interno del disco potrete trovare anche derivazioni dal death-core di gruppi come gli All Shall Perish, Heaven Shall Burn, Walls Of Jericho e Chimaira, il tutto ovviamente rivisto con le sensibilità dei Nostri, ma i rimandi sono piuttosto chiari e palesi.

Ed è proprio questo a lasciare un bel po’ perplessi, perché i Machine Head dimostrano di avere ancora tutte le carte in regola per poter dare del filo da torcere a chiunque e questo disco lo dimostra, parlando in senso lato, ma se si scende nel dettaglio e attraversando la storia della band, ci si accorge che da pionieri, sono passati ad epigoni e pur avendo sfornato un disco di ottima fattura, si vede e si sente che il risultato è altamente derivativo e, purtroppo, non parliamo di sola ispirazione, parliamo di voler necessariamente inseguire la corrente più forte in modo quasi disperato e morboso, quasi dovessero mantenersi a galla, e questo fa davvero male. Sono stati loro tra i primi a mischiare l’hardcore con il metal, andando oltre ciò che avevano fatto gruppi come Biohazard o Madball e The More Things Change è lì a conferma di ciò che hanno saputo fare e dare. Oggi come oggi ci ritroviamo un gruppo che insegue. Certo si deve riconoscere a Robb Flynn la capacità di fiutare l’aria e di riuscire comunque a sfornare dei bei dischi, ma questi non sono i Machine Head, sono una band di mestieranti che si accontenta di accodarsi, mentre una volta fiutavano sì l’aria, ma erano capaci di anticipare ciò che il vento avrebbe portato. No, non voglio piangere sul latte versato, perché comunque riescono a tirare fuori dei gran bei dischi, voglio solo tirare giù uno spunto di riflessione su ciò che erano e ciò che sono oggi i Machine Head. Continuano ad essere un gran bel gruppo, Robb Flynn ha ancora parecchie frecce da scoccare, ma restano, nonostante tutto, una copia di ciò che è il contingente, accontentandosi di mettersi in fila, piuttosto di rappresentare l’avanguardia.

Of Kingdom and Crown è un bel disco, sicuramente il migliore da tanto tempo e ovviamente va giudicato per quello che è, pertanto mi sento di consigliarlo vivamente a chiunque voglia approcciare ad un disco vario, scritto e registrato bene, con tanto groove, tante belle melodie e tanta aggressività. Spero che si siano levati definitivamente le ombre di dischi terribili come Unto The Locust, Bloodstone And Diamonds e Catharsis.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

Nuclear Blast Records
www.machinehead1.com

Slaughter the Martyr
Choke on the Ashes of Your Hate
Become the Firestorm
Overdose
My hands Are Empty
Unhallowed
Assimilate
Kill Thy Enemies
No Gods, No Masters
Bloodshot
Rotten
Terminus
Arrows in Words from the Sky

Robb Flynn – lead vocals, rhythm guitar
Wacław Kiełtyka – lead guitar, backing vocals
Jared MacEachern – bass, backing vocals
Matt Alston – drums, percussion