Judas Priest

Screaming for Vengeance

I britannici Judas Priest si formarono nel 1969 ed esordirono nel 1974.  Quindi il gruppo è già “vecchio” anagraficamente quando esce ‘Screaming for Vengeance’ nel 1982. La loro carriera però è stata sempre una evoluzione innovativa e un passo avanti a tutti, così da apparire sempre giovani e attuali, mai vintage, mai passatisti, mai superati. Questo almeno fino al 1990 con l’album anch’esso da tutti osannato e diventato metro di paragone che fu ‘Painkiller’. E’ in questa atmosfera artisticamente dinamica che Halford diventa il “Dio del Metallo” e la band la bandiera iconica per eccellenza del genere Heavy metal, e ben prima che arrivi il 1990, tanto è vero che altri loro album sono considerati iconici. Lo schema dei Judas sembra quello di rinnovarsi senza sosta, in alcuni casi a due a due, due album alla volta, per esempio nello scalino stilistico formato da ‘Stained Class’ e ‘Killing Machine’ (entrambi del ’78) in un unicum heavy cattivo e diretto, con meno fronzoli rispetto al passato. E qualche anno dopo  con la nuova coppia di lavori formata da ‘Screaming for Vengeance’ (17 luglio 1982) e ‘Defenders of the Faith’ (1984) che si assomigliano, associabili anche per la grafica delle copertine, sottolineatura ulteriore di tale similarità. ‘Screaming…’ fece un salto di qualità notevole rispetto al periodo appena trascorso. Con questi due album l’Heavy Metal trova l’essenza centrale, marchio stampato a lettere di fuoco ed esempio per tutti, ormai indiscutibile. Se riprendiamo ‘Painkiller’ solo la title-track è il vero passo ulteriore, perché invece le altre song sono concettualmente riconducibili ai due album appena citati; anzi, forse ‘Ram it Down’ è più sperimentale di ‘Painkiller’. L’arrivo di ‘Screamin’…’ s’impone alla scena. Il full-lenght è una roccia ferma, incrollabile, su cui il metal trova un nuovo punto di partenza, un inamovibile esempio da seguire, netto e definito. C’è qualcosa di commerciale come si era respirato nei tempi addietro, ma c’è anche la nuova e plateale durezza, non slegata dai dischi precedenti, ma comunque più fresca e moderna.

I due brani commerciali, che nella loro aria hanno un effetto enfatico, gestito senza cedere un attimo ad accattivanti ruffianerie, si lega in modo naturale alla verve strettamente metallara. Entrambi i momenti fanno finta di essere ballate nel loro inizio soft, ma non è così, evitandoci un ascolto troppo serioso o troppo leggero. ‘Take these Chains’ vive di ritmo con una orecchiabilità che pretende comportamento rocking and rolling, mentre ‘Fever’ è più algida, dal tocco più gentile, ma anche  tonico. Non tutto è perfettamente originale, per esempio il riff secco di ‘DEVIL’S CHILD’ insieme alla ritmica cadenzata basso/batteria, fa un po’ il verso al sound degli Ac/Dc ma la linea melodica è molto più intensa di quella della band australiana, e l’ugola che gioca in duetto coi cori è un punto intrigante, senza contare il ponte melodico che la voce canta a tonalità alta, momento intenso; alla fine diventa un brano che la band personalizza come al solito. ‘BLOODSTONE’ è un episodio rotondo adattissimo a scuotere il capo in sede live, che poteva stare anche in ‘Point Of Entry’, essendo abbastanza arioso. ‘Pain and Pleasure’ è forse il pezzo meno carismatico, ma la sua essenza ritmata a middle-time possiede una pesantezza atmosferica che è caratteristica del lato meno immediato della band, però sempre graffiante, soprattutto per una vocalità che non cede, giocando ipertroficamente con una variabilità espressiva piuttosto ricca; è considerabile brano meno importante dell’album solo perchè ‘Screamin’ ha una media valoriale alta.

Ma i pezzi da novanta sono quelli che sono diventati dei “classici”. Prima di tutto i due momenti, collegati, che aprono la scorribanda, e cioè l’intro strumentale ‘The Hellion’ che si lega alla virile ‘ELECTRIC EYE’, un pezzo Heavy al 100%, veloce, non velocissimo, ma pieno di eleganza, con la voce che inizia a tonalità bassa e maschia, per alzarsi poi nella solita bellezza più acuta e vincente dell’ugola tipica di Halford, senza contare il bellissimo assolo, uno dei più belli della band, come spesso avviene, diviso in due, una prima parte più acida ed una seconda più melodica, e poi si riprende con un ponte vocale stupendamente epico; esso è forse uno dei brani più importanti artisticamente dell’intera carriera del gruppo. ‘RIDING ON THE WIND’ è l’altro caposaldo del lavoro; un frenetico brano che appare arrembante ed invasivo, anche se la ritmica è poco più che cadenzata, e tutto è cantato su note molto alte, e dimostra come la cattiveria non sia figlia del tempi veloci o del growling, ma sia determinata dalla giusta dose di vari elementi che diventano incombenti ed aggressivi, senza bisogno di estremizzare i suoni, ma solo di miscelarli a dovere. ‘YOU’VE GOT ANOTHER THING COMING’ è invece qualcosa di ballabile che i Judas non avevano mai fatto in questa maniera; il pezzo è cadenzato e giusto per oscillare col corpo, ma si presta anche ad una interpretazione fisica tutta pose adatta all’immaginario metal, e questo avviene perché oltre al riffing asciutto c’è una teatralità che Halford esprime in maniera istrionica e sopra le righe, calcando  le accentazioni e quindi caratterizzando in maniera esuberante la linea melodica che diventa opportunità scenica. Tutta a parte la novità della title-track ‘Screaming for Vengeance’, uno speed originale e più innovativo delle altre tracce presenti, che forse può essere visto in analogia alla song ‘Painkiller’, cioè un episodio che tende all’estremismo; qui però si avverte una deficit di scorrevolezza che la rende meno efficace, difetto che ‘Painkiller’ non possiede; in ogni caso testimonia la voglia di arrivare a limiti ancora non raggiunti dal metal in quel periodo storico (il thrash ancora non è nato).

Il suono delle chitarre è spesso trattato in modo da suonare diversamente dal passato, ancora una volta elemento di rinnovamento e diversità. La voce di questo lavoro cerca una interpretazione carica, molto di scena, per così dire, parecchio insinuante e da poser, in senso positivo, aumentando l’estica a cui Halford ci ha già abituato, ma che qui sembra maturata ulteriormente. Rob viaggia con assoluta padronanza del cantato, agendo con durezza ma anche con estrema raffinatezza, modulandosi a volte in maniera da ampliare le linee melodiche senza che appaia mai come uno sforzo. L’album in realtà usa poca velocità, eppure il drumming non sembra mai evanescente, donando sempre corposità. L’epoca della N.W.O.B.H.M. è stata coniata anche dai Judas Priest, ed in maniera forte dato che il contributo è stato di ben cinque album, da ‘Stained Class’ del ’78. Questo è l’ultimo a segnare quella rivoluzione, e lo segna come punto definitivo: l’Heavy Metal è questo, e i Judas ne sono gli Dei principali dal punto di vista formale, anche se gli Iron Maiden vendono di più. L’album che verrà nel 1984, in realtà sarà più bello di questo, ma è una aggiunta, un perfezionamento, non una innovazione. Sarà ‘Turbo’ del 1986 a vederli modificarsi ancora, per ora essi si affermano come l’emblema per eccellenza della musica dura. E l’affermano quarant’anni fa, per cui oggi festeggiamo un disco irripetibile, bello oltre che personalissimo, uno spirito rockeggiante che ha deciso sin dall’inizio quale forma doveva avere l’Heavy Metal classico. L’inizio fu quello del 1976 con il secondo lavoro ‘Sad Wings of Destiny’, il 1982 fu solo la conferma definitiva, perfezionata, di qualcosa che avevano già inventato. Festeggiando ‘Screamin’ festeggiamo l’intera band, che fu la prima ad imprimere questo cambiamento nell’Hard Rock, merito al quale noi metallari ci dobbiamo inchinare. L’Heavy Metal sono loro!

skylatinorum

Columbia Records
www.judaspriest.com

Side A
The Hellion
Electric Eye
Riding on the Wind
Bloodstone
(Take These) Chains
Pain and Pleasure

Side B
Screaming for Vengeance
You’ve Got Another Thing Comin’
Fever
Devil’s Child

Side B
Screaming for Vengeance
You’ve Got Another Thing Comin’
Fever
Devil’s Child