Jag Panzer

The Hallowed

Il moniker degli statunitensi Jag Panzer è sinonimo di heavy metal classico, ma di stampo introspettivo.

La loro musica è colorata di tanta americanità che mette insieme l’epicità che cavalca sia escrescenze alla Manowar, sia singulti alla Virgin Steele, condendola con la classe emotiva dei Savatage. Ma un po’ di inglesismo c’è, spalmando alcuni riff-rama che sono chiaramente debitori dei Judas Priest ma di quelli più scuri ed atmosferici, e in fondo c’è anche della NWOBHM. Ma non poteva essere che così, visto che la band esordì con un ep nel 1983; siamo all’undicesimo lavoro e si onora la tradizione che proviene da quell’epoca.

Ma attenzione: la riuscita non ha nulla di vintage. La band presenta un concept post-apocalittico, raccontato attraverso lo sguardo degli animali, di cui i Jag hanno realizzato anche un fumetto, e il sound diventa una immersione narrativa il cui eco viene reso caldo in un unicum che tende a trasportare l’ascoltatore dentro un viaggio pieno di feeling.‘PREY’ è un pezzo corale davvero ficcante con la sua foga virile che incalza l’ascoltatore.

Forse il miglior pezzo dell’opera è ‘STRONGER THAN YOU KNOW’; essa è qualcosa che ricorda appunto i Judas, ma è anche uno degli episodi più intriganti nel suo dipanarsi darkeggiante, e la guitar, che non si dà pace per tutto lo scorrere del brano, fischia e nitrisce imbizzarrendosi con grande funzionalità per ampliare l’atmosfera sinistra esplicata. ‘ONWARD WE TOIL’ fa venire in mente un po’ gli Iced Earth, ma quelli migliori e più  ficcanti dall’epica rotonda e non quella rozza.

La cavalcata di ‘EDGE OF THE KNIFE’ è debitrice dei Manowar, cantato compreso, ma è uno dei momenti più efficaci del disco. ‘LAST RITES’ è una piccola gemma che nel suo essere suite di quasi dieci minuti  è in grado di portarti davvero in quel mondo futuro e misterioso; l’intro è delizioso e particolare, ma tutta la traccia riesce a farsi stimolante, una fumosa aria quasi sacrale gestita con estrema classe e dalla maestosità cullante. La qualità generale è alta, ma ciò non evita al gruppo di farsi in alcuni casi derivativi, come avviene fortemente in ‘Ties that Bind’ che tocca in buona parte ‘Revelations’  degli Iron Maiden del 1983.

Oppure le tastiere dell’inizio di ‘Renewed Flame’ che non sono certo originali.  Anche in altri parti troviamo inserti già sentiti, ma sono solo piccoli inciampi che non rovinano l’ascolto, poiché ben inseriti nel contesto. Il cantante sa usare linee vocali che hanno uno stile unico, con tonalità alta cesella passaggi molto espressivi, mai banali. E’ certamente un pregio indispensabile, che dà carattere alla riconoscibilità valoriale del combo, ma la chitarra si fa anch’essa necessaria, non solo nei riff o negli assoli, ma corroborando ogni traccia anche con inserti ulteriori. E non mancano gli assoli a doppia chitarra.

Questi musicisti non si accontentano di trovare buoni fraseggi, li curano scegliendo bene la forma dei passaggi all’interno della song, e così l’andamento scorre sinuoso, avvolgendo il fruitore con una certa malìa. Si traccia una linea descrittiva che non cerca assalti arrembanti, quanto invece una raffinatezza che, senza rinunciare alla durezza heavy, possa differenziare notevolmente le tracce fra di loro. Il lato melodico non appanna l’elettricità presente nelle composizioni.

Il carattere dell’ugola è molto caricata ma non diventa mai kitsch come quella di certi gruppi rusticamente epici, proprio la vicinanza a Judas e Savatage stempera questo lato che sennò virerebbe verso il fumettistico. Invece la band rimane elegante ed umorale, e posata, per quanto questo tipo di metal lo permetta.

L’anzianità si capisce dalla perfezione con cui sono state cucite le varie parti, in perfetto equilibrio e abilmente arrangiate; e così i J.Panzer entrano nel raggruppamento di quelle band di una certa età che ancora riescono a scrivere dischi qualitativissimi (compresi i Raven di quest’anno). E’ un disco che più si ascolta più cattura, e alla fine ciò che viene toccata non è la parte dura del fruitore, ma lo spirito che necessita del piacere avvolgente, di quello che con le sue spire stringe l’ascoltatore. Dopo di che viene proprio da dire che il disco è “bello”.

Roberto Sky Latini

Bound As One
Prey
Ties That Bind
Stronger Than You Know
Onward We Toil
Edge Of A Knife
Dark Descent
Weather The Storm
Renewed Flame
Last Rites

Harry Conklin – vocals
Mark Briody – guitar
Ken Rodarte – guitar
John Tetley – bass
Rikard Stjernquist – drums