Intervista ai Vanexa

Intervista a Sergio Pagnacco e Pier Gonella per l’uscita del magnifico nuovo album dei Vanexa (a cura di Roberto Sky Latini (16.12.2021)

Intervistare due miti del metallo italiano mi fa un certo effetto in quanto fan. Entrambi appaiono affabili e desiderosi di raccontare un album che ha davvero tutto per funzionare.

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Sono passati 40 anni dal vostro esordio. In totale pochi album, solo 5. C’è una continuità o sono dei salti che cambiano la forma musicale?

Pagnacco: Diciamo che noi siam partiti facendo metal fine anni settanta. Poi abbiamo avuto la fortuna e la forza di registrare un album per intero. Questo album, nonostante fosse stato fatto e fosse pronto prima, uscì intorno al maggio dell’83. Poi il secondo album, per i grandi casini che son successi in sala di registrazione, o per il manager che ha truffato a destra e a manca, ha avuto un ritardo nell’uscita perché sarebbe stato pronto nell’84 invece dell’88 come è stato. Però noi in quel periodo pensavamo che il metal giustamente potesse essere la musica più innovativa del momento perché il Punk stava morendo, o comunque per noi era morto, e abbiamo cavalcato l’onda di questo genere musicale. Per noi alla fine degli ottanta il metal era già morto, che aveva già resistito fin troppo; successivamente abbiamo constatato, con l’evoluzione in sottogeneri, che il tutto è progredito e nel 2021 escono ancora album metal. Ma abituati a come era prima, che tutti i generi avevano una manciata di pochi anni di sopravvivenza, avevamo pensato che sarebbe successa la stessa cosa col metal. Nel finire degli anni ottanta non avevamo più nulla da dire e abbiamo fatto uno stop; poi abbiamo ripreso a registrare quando nella formazione entrò Roberto Tiranti che era solamente un diciassettenne, ci seguiva con suo papà spessissimo, quindi conosceva le nostre canzoni, e un giorno provammo insieme a lui. Il padre insisteva che le avrebbe cantate bene, ed effettivamente quando lo sentimmo pensammo di dar vita ai Vanexa.2, quindi cambiare un pochettino lo stile, diventare più anni novanta proprio per far sì di dare una chance a Roberto nel disco con noi.

Pier Gonella è entrato tardi, ma aveva dieci anni nell’83.

Gonella: La cosa più alternativa che facevo a quel tempo forse erano le impennate in bicicletta. Come tutte le band più importanti in cui ho suonato ho cominciato sempre come fan. Conoscevo i Vanexa da fan, poi nel 2003 quando entrai con Labyrinth me ne parlò lo stesso Roberto, finchè nel 2009, che io ero uscito da Labyrinth, fu lo stesso Roberto a mettermi in contatto.
Pagnacco: Quel giorno eravamo assieme. Te questa cosa forse non la sai Pier;
dicevamo: “Cazzo, qui ci vuol la seconda chitarra” e Roberto: “guarda, telefono a Pier e te la trovo immediatamente”. E ha telefonato a te davanti a noi.

Gonella: Che forte! [ride n.d.r.]
La sezione ritmica è la sola parte della band che è rimasta la stessa dell’esordio, mentre voci e chitarre sono cambiate. Pensate che la cosa vi abbia snaturato o invece potenziato?

Pagnacco: Per me li ha assolutamente ampliati. Perché, al di là che il chitarrista storico è mancato poco tempo fa [“Roby” Merlone – 2 agosto 2019 n.d.r.], lui aveva deciso di non suonare più. S’era dedicato molto alla moto con cui aveva avuto anche degli incidenti importanti. Era un ragazzo molto passionale e non faceva le cose per caso. E’ sempre stato impallato con le moto, però quando ha avuto la possibilità di seguire questa passione effettivamente ad un certo livello, vi si è dedicato anima e corpo come lui sapeva fare. Comunque quando avevamo smesso di suonare come Vanexa, io e Silvano continuammo in altri progetti; io poi successivamente sono entrato anche nei Labyrinth. Quando sempre Roberto volle ripartire con la band, propose Pier per la seconda chitarra che ovviamente conoscevamo “benissimissimo”, non tanto di persona ma alla grande come musicista, uno dei migliori chitarristi, quindi non abbiamo dubitato nemmeno una frazione di secondo nel farlo entrare in formazione, e si è inserito immediatamente. L’altro chitarrista che è Artan Selishta era già con noi in un’altra formazione che non era Vanexa, lui conosceva benissimo Pier, abbiamo pensato che una formazione con due chitarre così fosse ben impiantata. Poi ovviamente abbiamo cercato il cantante.

The Last In Bkack
My Grave
Earthquake
Earthquake
Ashes And Ruins
No Salvation
Perfect!
Armless
Strange
Dead Man Walking
Like A Mirage
I Don’t Care
Hiroshima

Andrea “Ranfa” Ranfagni – voce
Artan “Tani” Selishta – chitarra
Pier Gonella – chitarra
Sergio “Dr. Schafausen” Pagnacco – basso
Silvano “Syl” Bottari – batteria

Vanexa discografia:
Vanexa (1983)
Back from the Ruins (1988)
Against the Sun (1994)
Too Heavy to fly (2016)
The Last in Black (2021)

Tra questo disco ed il precedente, pur essendoci sempre la stessa formazione, sento un netto salto stilistico. ‘Too Heavy to Fly’ è più Hard &Heavy classico e diretto, mentre questo contiene maggiore tasso progressive.

Gonella: Secondo me questo disco è venuto fuori in maniera abbastanza naturale. Il motivo per cui siamo lenti nel fare di dischi è anche perché cerchiamo un po’ di farli alla vecchia maniera, senza essere troppo schiavi del computer con l’invio dei file via email. Con Vanexa si lavora il più possibile in vecchia scuola, per cui ci sono periodi in cui ci si vede di più o di meno; momenti in cui si discute in senso artistico, e il fatto di suonare tanto assieme porta a creare dei brani in effetti diversi rispetto al brano di metal classico. Poi a mio avviso tanti elementi prog sono nati da idee musicali di “Tani” Selishta, a cui noi siamo andati dietro. Mi sembra che anche Silvano ultimamente, e Sergio, avevano voglia di sperimentare in senso ritmico, quindi il brano metal barra punk cominciava a stare stretto. Non è che abbiamo deciso di andare più verso il prog, semplicemente sono venuti fuori dei brani più particolari e poi la composizione è andata lunga, durante tutto il lockdown eravamo dietro ai suoni, abbiamo ragionato su ciò che era venuto fuori e per forza di cose li abbiamo molto elaborati.

Quindi molta spontaneità ma anche una elaborazione di testa successiva.

Gonella:Si, ma anche i brani che potrebbero apparire scontati come il lento ‘Perfect!’ li abbiamo fatti più volte. Ci sono state parti di brani fatti senza metronomo, poi le abbiamo rifatte con il metronomo. Tanti brani sono stati rivisti in maniera sostanziale, anche il missaggio è stato lunghissimo sebbene in parte anche perché diluito nel tempo. Si, quindi in effetti ci abbiamo studiato tanto e il fatto di non avere scadenze senza il pensiero di dover consegnare in una certa data, ci ha portati in questa direzione. A volte eravamo un po’ stanchi in quanto quando lavori tanto sugli stessi brani rischi di crearti problemi da solo, col senno di poi è però stato bello ragionare in maniera assolutamente libera. Siamo andati liberi al 100%  e alla fine ci fa piacere che in molte recensioni si siano accorti di questa cosa. A volte in effetti, aiutandosi con la tecnologia si finisce per fare i dischi di fretta, ma questo con Vanexa per fortuna non succederà mai.

Pagnacco: riallacciandomi al discorso di Pier, la tipologia di canzone come ‘My Grave’ è proprio nata con un riff in cantina, con le entrate di basso e batteria, pian pianino cresciuta, cresciuta, poi ovviamente con i mezzi attuali puoi capire cosa potrebbe funzionare peggio o meglio. Ti puoi permettere il lusso di fare delle sperimentazioni e registrarle, invece prima non potevi perché uno studio di registrazione ti costava 100.000 lire all’ora. Andavi lì, la canzone la conoscevi a menadito, facevi il più presto possibile punto e basta.

Anche la voce mi sembra molto più curata e variegata rispetto al disco precedente che già era ottima. Soprattutto è aumentato il tasso di emozionalità.

Pagnacco: come per la canzone, la stessa identica cosa per la voce. Subito parte la linea, poi parte la seconda linea, poi si prova una linea anziché un’altra. Poi si fanno controcanti e cori. Alla fine viene fuori la produzione della voce ad un livello tale che anche una persona che non è del campo si rende conto che c’è qualcosa di valore. Il messaggio che arriva è quello giusto.

Qual è la differenza di lavorazione allora col disco di cinque anni fa?

Pagnacco: semplicemente siamo cresciuti perché tutti e cinque ci siamo conosciuti meglio. Faccio un esempio da pseudo-musicista perché non sono un musicista: se te cominci a scrivere tre-quattro canzoni, e magari non hai un cantante, magari sbagli una tonalità. Lo stesso vale per la chitarra senza la presenza degli altri. Questo è stato l’evoluzione del disco precedente. Visto che spessissimo il terzo album della band è il top sia a livello creativo artistico, sia a livello di produzione, probabilmente il prossimo sarà ancora meglio di questo.

Difficile superarsi dopo uno bello come questo.

Pagnacco: Conoscersi bene tutti e cinque, significa capire i pregi e difetti. Io so quello che potrebbe fare arrabbiare Pier, anche se è impossibile riuscirci, o quello che potrebbe accontentare “Tani”. Conoscendosi bene si lavora bene, e certe cose le eviti o trovi scorciatoie. Alla fine, grazie a questo, il risultato esce col miglior risultato possibile.

Per le chitarre, come sono stati divisi i compiti fra i due musicisti?

Gonella: Di solito dipende da chi ha avuto l’idea principale del brano, tutti quelli dove abbiamo suonato assieme, come diceva Sergio, che sono nati in sala prove, uno arrivava col riff portante e l’altro ci si attaccava dietro con una sorta di accompagnamento ma sempre in maniera molto serena. Tra chitarristi può esserci un po’ di concorrenza, invece devo dire che con “Tani” si fa proprio una bella squadra, per cui ci si corregge, tra l’altro abbiamo un modo di suonare diverso, per cui tante volte lo stesso riff, la stessa parte, ce la scambiamo. Le acustiche le faccio suonare solo a lui perché è il numero uno, anche per come le registra, certi riff magari più grintosi li suono io come chitarra principale. La cosa divertente, anche interessante, è che io e lui abbiamo uno stile molto diverso, io da solo sarei forse un po’ troppo grezzo, lui da solo è un po’ più progressive, ma assieme ci compensiamo. Quindi la scelta alla fine nasce molto spontanea, e poi in studio abbiamo lavorato risuonando certe parti e infatti nel disco ci sono un sacco di sovraincisioni, di abbellimenti, che abbiamo pensato col tempo. Dal vivo non c’è una chitarra principale ed una secondaria, ma il riff principale poi si porta all’unisono.

Sento una certa variabilità anche sulla sezione ritmica. ‘My Grave’ ricorda l’attitudine Power dei Deep Purple come ‘Fireball’ o ‘Higway Star’. Mentre in quelle Prog la ritmica cambia del tutto impostazione.

Gonella: Nei brani come in ‘My Grave’ basso e batteria vanno più dritti perché è l’esigenza del brano  dalla ritmica potente che hai proprio in faccia, altri brani invece diventano una ritmica più particolare. Lì, secondo me, è stato uno sforzo di Silvano, a cui è andato dietro anche Sergio, dove si aveva proprio voglia di uscire dai tempi classici dei Vanexa che comunque è una scuola che rimane in alto, ma dopo mille anni di esperienza con anche altri progetti oltre Vanexa, andando avanti a suonare si ha anche voglia di diversificare un pochettino le cose. Soprattutto “Tani”, che ha dato tanto in questo album, arrivava con delle idee un po’ diverse dal riff portante tipicamente metal, spesso con tanti arpeggi, lì Silvano e Sergio hanno avuto la possibilità di cercare cose differenti.

Pagnacco: Io e Silvano suoniamo insieme da quarant’anni; quando parte un fill di batteria, so già dove va a parare. C’è che “Tani” fa dei legati particolari che noi cerchiamo di seguire con le nostre potenzialità. Io ho fatto proprio da collante tra batteria e “Tani”, e poi ovviamente Pier. Le ritmiche non sono complicatissime, io ho cercato di suonare come si suona in una band rock, strizzando un po’ l’occhio al Prog, ma non troppo. Il Prog che te senti è perché ci abbiamo impiegato tanto, perché il Rock è spontaneità, se ci pensi di più diventa Prog [ride n.d.r.]. Se delle cose escono fuori Prog, non è che puoi fare il basso alla Lemmy, e devi per forza seguire ciò che esce fuori in quel momento.

In ogni caso la sonorità da impatto diretto, da Heavy classico, c’è, non è tutto Prog. Per esempio la già citata ‘My Grave’, ma anche ‘Hiroshima’ che avevate pubblicato nel 1988. Le due più prog sono ‘Armless’ ed ‘Earthquake’, ma poi vengono fuori anche pezzi dal ritornello accattivante da concerto pur dentro canzoni eleganti, come ‘Dr. Strange’; ‘No Salvation’ e ‘Like a Mirage’.

Pagnacco: ‘Armless’ è sperimentale, una cosa fuori dal normale. Una band metal in tutto il mondo non so se l’abbia mai fatta. ‘Armless’ è il connubio delle culture completamente differenti che ha Artan Selishta che arriva dai Balcani, da Tirana, e noi. Lui c’ha tutte queste scale particolari che solamente lui conosce, e i musicisti di quella zona. Quindi non c’entra niente con l’occidentalità che ha Pier Gonella il quale ha riff molto più graffianti.

Alcune canzoni del disco precedente avevano dei momenti con caratteristiche prog ma erano brevi, come in embrione. Possiamo dire che ora avete finalmente sviluppato appieno quella vostra potenzialità?

Pagnacco: Hai detto giusto te, praticamente erano in stato embrionale, ma, come dicevo, ci conoscevamo ancora poco. Le sonorità, gli accordi,  le tonalità, i cori, questo disco è stato un miglioramento della nostra musicalità. C’era ‘Paradox’ dall’altra parte, in ‘Too Heavy To fly’, e quindi qualcosa già ci stava. Ma qui non avendo dei contratti da rispettare; facciamo un disco e lo facciamo uscire quando veramente siamo convinti che il disco sia pronto. Pier è un santo, perché comunque abbiamo registrato tutto quanto da lui e abbiamo rifatto le cose mille volte, riuscivamo a vedere e sentire dei cavilli che probabilmente sentivamo solamente noi  e che invece nessun ascoltatore sarebbe riuscito a sentire. Alla fine con pazienza, ce l’abbiamo fatta, poi vabbè il covid ha rallentato sennò sarebbe uscito un anno e mezzo fa, perché avevamo già qualche canzone pronta come ‘My Grave’ ed ‘Armless’.

Gonella: Si, si possono considerare tanti brani di questo disco una evoluzione partita dal disco precedente. Ci sono brani che hanno un ritornello più immediato, più facile nel senso buono, e dove alla fine anche volutamente, anche con l’aiuto di “Tani”, per esempio sulle armonizzazioni della voce, abbiamo puntato ad avere più impatto, mentre quando parti con la sperimentazione ti lasci andare. Tutto in maniera molto serena.

Siete quindi andati avanti in maniera molto libera. Avete mai pensato, durante i lavori, che qualche fan avrebbe potuto criticare queste scelte?

Gonella: Devo dire che un po’ ce l’avevo questa paura. Ti butti in una situazione di novità e ti metti in gioco in una maniera tale che puoi dover affrontare i pregiudizi. Quando ho visto tutte queste recensioni così positive, ho pensato che all’inizio forse un fan può storcere il naso, ma poi alla fine può arrivare a farselo piacere. Nel disco traspare il fatto di averci messo il cuore sopra. In conclusione potrei dire che “siamo dalla parte della ragione”, però il timore io ce l’avevo. Ora ho sentito tante persone apprezzarlo. Che dicano che il loro brano preferito sia ‘My Grave’, anche se riporta un po’ alla vecchia scuola, come anche il pezzo ‘The Last in Black’, è normale, ma temevo per i brani più lunghi come ‘Armless’. Invece sono stati molto accettati. Forse in giro c’è anche la voglia di ascoltare qualcosa di diverso. Mi sembra che i fan non si siano lamentati [ride n.d.r.]. Ogni tanto senti delle discussioni dietro ai Metallica, dietro agli Iron Maiden, si cade anche in esagerazioni. Ricordo che io ho fatto con altre band album che non mi sembravano così diversi dai precedenti poi sono stati giudicati sperimentali, d’atmosfera. Non sai mai come una cosa verrà giudicata, anche se ti fai l’idea che il disco abbia una certa caratteristica, poi la gente dà una risposta diversa.

Pagnacco: Io penso che un pezzo come ‘Armless’ sia ad un livello tale che anche chi non apprezza questo genere si rende conto dello studio che c’è stato. E’ un pezzo che fa bella figura. Ti dico che il batterista della PFM, Gualdi, che ha vinto come miglior batterista [nel premio del 2010 messo in palio dalla rivista InSound n.d.r.], voleva suonare ‘Armless’ al Chiabrera, il teatro qui a Savona, perché ha sentito il pezzo e si sarebbe divertito ad eseguirlo, se l’è anche studiato; cazzo, a tutti i costi lo voleva suonare. Significa che anche il professionista che sta suonando progressive riconosce che questo è un pezzo coi controcazzi! E’ un pezzo che oltre che nel metal può essere apprezzato a trecentosessanta gradi. Anche se non piacesse, non si potrà mai dire che è un pezzo che fa cagare.

Qual è il significato del video di ‘My Grave’?

Pagnacco: Vuol dire che praticamente coi videogioco perdi la realtà e magari succede qualcosa di violento in casa senza che tu te ne accorga. E’ un monito. Noi siamo sempre stati sociali nei testi. Abbiamo sempre cercato di dir la nostra perché arriviamo dal metal anni settanta/ottanta, il proto-punk che avevano testi molto sociali, e di conseguenza siamo molto affezionati a questa tipologia di tematiche. Nel nostro piccolo vogliamo sempre dir la nostra.

E di cosa parla ‘Dr Strange’?

Gonella: Riprende un tema dei fumetti. Su questo sono un po’ ignorante. Si parla di un personaggio dei fumetti, è un testo che ha scritto “Ranfa” per conto suo, poi l’ha rivisto assieme a Silvano. Mi sembra di ricordare che la maggior parte dei testi vengono scritti da loro due. Testo quindi dedicato ai fumetti, come sul disco precedente c’era il discorso su Tarantino. Non mi ricordo, ho dei ricordi da fan, si era detto che Tarantino aveva un cd dei Vanexa, qualcosa del genere.

Pagnacco: Riguardo a ‘Dr. Strange’, praticamente siamo amanti dei fumetti, anche se io sono Bonelliano. Oggi ho comprato Zagor quando si incontra con Tex Willer [sorriso di soddisfazione n.d.r.]; si incontrano per la prima volta nella storia del fumetto italiano. Ad Andrea “Ranfa”, che disegna anche, piace Marvel e i comic americani, quindi ha pensato di fare un testo sul Dr. Strange. Visto che Silvano comunque ha un passato su fumetti analoghi della Marvel, ha messo anche lui mano al testo.

Una piccola nota vorrei farla. Quando Ranfagni canta il ritornello Dr. Strange allunga la vocale e suona bene, ma sembra che dica “Stranger”.

Gonella: Forse è una sorta di “Yeah” finale. Lui ha un modo spesso quasi esagerato di interpretare il testo e l’inglese. Ricordo che alla prima consegna che avevamo fatto del master a Black Widow, Pino di Black Widow ci ha detto che avrebbe voluto rivedere delle parole proprio perchè c’era qualche ambiguità. Infatti qualche frase l’abbiamo proprio rivista. Si in effetti sembra di sentire “Dr Stranger”, poi bisogna vedere bene, perché Andrea potrebbe aver dato un diverso significato, questo non lo so.

Le ballate sono una delle cose più difficili da realizzare, ma la canzone soft ‘Perfect!, è davvero riuscita. La prima parte estremamente soffusa a me ha ricordato molto la maniera atmosferica della PFM di ‘Dove Stai…dove sei’. Ma bello che poi si increspi.

Gonella: musicalmente è nata quasi tutta da una idea di “Tani”, sua tutta la parte acustica. Dove inizia la parte distorta, la seconda, quella più heavy, l’idea è stata di Silvano. E’ un brano dedicato alla moglie di Silvano che è mancata per malattia, infatti lui da sempre ci teneva proprio a realizzare una prima parte che fosse il più poetica possibile e una seconda parte che fosse più granitica perché più rabbiosa. Per l’arrangiamento della voce ha fatto molto Silvano che voleva certe espressioni, chiedeva una certa vocalizzazione da “Ranfa” e quindi lo ha guidato molto; e anche a me disse “qua devi fare l’assolo e l’assolo deve essere molto incacchiato, molto nervoso”. Anche se la scrittura vede molto “Tani”, in un certo senso è più un’opera di Silvano, il quale ha dettato le regole e noi le abbiamo messe in bella copia.

Avete curato tutte le parti strumentali dedicandogli anche un bello spazio. Vi siete sfogati.

Gonella: ci sono quei due/tre brani dove stava bene sfogarsi un po’ e non abbiam voluto porci dei limiti. Abbiamo anche dei brani dove il ritornello rimane in testa, ma in altri ci siamo dati strumentalmente una libertà che è libertà artistica. A me colpiscono brani che il titolo del disco precedente descrive con ‘Too Heavy to Fly’: “Troppo pesanti per volare”, nel senso che siamo troppo metal per diventare commerciali, per vendere. E questo è un concetto che a me ha sempre affascinato. Abbiamo messo una “X” all’impacchettare i brani e siamo andati avanti come ci piaceva, poi a seconda delle parti, tante sono nate da “Tani”, poi una parte di Silvano, poi è arrivato un giorno in studio Sergio a risuonare tutti i bassi con un suono più particolare che ci ha portato a rielaborare ulteriormente il materiale.

Pagnacco: Penso che ‘My Grave’  sia il brano che racchiuda un po’ tutto. Perché è arrabbiato, poi c’è la parte d’atmosfera, è un po’ il brano simbolo. In generale siamo stati liberi, come dice Pier, e non abbiamo fatto caso al mainstream, a quello che sono i limiti di tempo, perché magari in radio il brano non te lo trasmettono, o alla forma. Abbiamo suonato a ruota libera perché tanto è inutile scendere a compromessi che alla fine, se devi volare, rifacendoci a “Too Heavy to Fly”, se devi decollare, decolli; e se non decolli, pazienza, ma per lo meno non ti sei venduto. ‘Armless’ e ‘Perfect!’ son due brani a sé, cioè pezzi che avrebbero potuto suonare anche band non metal, ma ci si rende conto che il gruppo che li sta suonando siamo sempre noi, che comunque lo stampo è quello. Io spero di progredire ancora col terzo disco, che abbia un equilibrio maggiore, con pezzi anch’essi tali da farci uscire dall’anonimato. Una volta abbiam suonato insieme ai Quartz [gruppo heavy metal inglese; periodo anni settanta/ottanta n.d.r.], che ci hanno raccontato un sacco di aneddoti, coi Black Sabbath, cose di sto genere, e il cantante si stupiva del fatto che noi potessimo essere cinque disperati, nel senso che avendoci sentito dal vivo, si chiedeva come mai non facessimo parte del business; per loro sembrava che avessimo le carte in regole e avevano quello stupore del “come mai non ci siete”. Il business in Italia lo fai solamente con un certo tipo di musica, sennò devi cambiare aria.

La bella copertina di una donna mezza scheletro che significa?

Pagnacco: Questa copertina cerca di richiamare il titolo dell’album ‘The Last in Black’. Quindi abbiamo usato tanto nero. Ci è sembrato bello il discorso di avere un’immagine femminile truccata con il teschio, soggetto che noi abbiamo sempre avuto nelle nostre copertine o nei nostri loghi. La parte dark, cattiva e misteriosa, e la parte affascinante, elegante. La copertina racchiude i due stili musicali che abbiamo registrato.

A livello di visibilità, come pensate che andrà questo disco nel mercato internazionale?

Gonella: come andrà non lo so. So che ogni tanto arriva qualche mezza proposta dall’Europa di date e festivalini, che poi con la faccenda solita del covid non si portano a termine, ma sembra che qualche cosina si muova tutto sommato. Vedendo come è stato recepito in Italia, mi auguro che si crei una visibilità. Sono uscite delle recensioni molto belle dall’estero, anche se spesso si tende a stroncare. Non si riesce a capire bene, ma la speranza di essere seguiti c’è, e nel contesto a mio avviso il disco è molto concorrenziale, ad un ottimo livello, sia per produzione che per contenuti. Si ha la speranza di riportare i Vanexa in serie A.

Tu vieni da Labyrinth; Necrodeath, e tra l’altro ora esce il tuo disco dei Mastercastle. Cosa hai portato nei Vanexa?

Gonella: Mastercastle esce il 10 gennaio ([l’intervista era precedente n.d.r.]. La domanda che spesso mi fanno è se ci sei o ci fai. Come mi pongo tra i vari generi. Nei Vanexa ho portato tutte le mie cose. Necrodeath è la band dove suono di più dal vivo e vengo etichettato principalmente come chitarrista di quel gruppo. Sono molto diplomatico, a livello artistico ho il mio dark-side di Slayer, Venom e quant’altro, ma tale e quale è il mio aspetto più solare con Deep Purple e Scorpions che rimangono le band del mio cuore. Quindi Vanexa; Mastercastle; Labyrinth rispecchiano la mia parte più melodica. Se vedi differente il mio approccio tra i gruppi, è perché mi pongo nella maniera adeguata a ciò che ho davanti. Sono entrato nei Labyrinth sostituendo un musicista, per cui entri in una band di un certo tipo, che comunque mi è sempre piaciuta, e pensi in ragione di quella realtà; cerchi di non imporre un tuo stile. In Mastercastle sono quello che tiene un po’ di più le redini, ci metto un po’ di più del mio e sfrutto un po’ di più il mio aspetto solista, anche con brani strumentali. Di Vanexa ho sempre amato la vecchia scuola, il fatto che sia una band di metal classico, per cui gli assoli sono belli. Con “Tani” facciamo degli scambi molto belli, ma non diventano mai esagerazioni alla Malmsteen. In Vanexa c’è la giusta via di mezzo, anche perché mi confronto con un altro musicista eccezionale quale è “Tani”, con un altro tipo di stile. Le idee che porti nel gruppo le misuri già per quel contesto. A seconda di chi ho a che fare viene naturale propormi in un modo piuttosto che in un altro.

A proposito di “vecchio stile”, il basso di Sergio non ha alcune caratteristiche blues?

Pagnacco: Anche io ho suonato nei Labyrinth e in quella tipologia non riesci ad esprimerti come vorresti, perché magari ti ingabbi in una velocità tale che non ha neanche senso fare certe figate perché la figata è nella velocità. Al di là del gusto hai due chitarristi che fanno solo quello, mentre nella “vecchia scuola” quindi Blues, Geezer Butler, Steve Harris, cioè con bassisti di questo calibro, tu ti gusti proprio il basso, anche nei lenti. Geezer Butler faceva delle cose stupende, senza toccare il top dei bassisti che per me è Chris Squire che su certe cose è inarrivabile e che per arrivare a quelle cose devi averci un gusto particolare. In certe canzoni, il basso suonato nei Vanexa porta ad esprimerti un pochettino meglio. Andare a sposare coi chitarristi certi fraseggi, certe sonorità che si vanno ad armonizzare insieme, ti permette di sperimentare qualcosa. Non è solo velocità.

Tutti fate dischi sempre più belli, sempre con più attenzione e cura, ma non guadagnate niente. che lo fate a fare?

Gonella: Volevamo fare la stessa domanda che magari ci aiutavi a trovare la risposta. Non lo so. A tutti quelli che ci chiedono perché non ti trovi un lavoro serio rispondiamo che lo stiamo cercando [ride n.d.r.]. E’ la passione, ma è un’arma a doppio taglio. Devo dire, senza fare l’esperto, che il poco che ho fiutato, le situazioni che mi sono capitate a livello grosso, sia dal vivo, a contatto con manager grossi, in situazioni dove puoi vedere come si muovono le band grandi, mi hanno fatto scendere un po’ il sogno. Ho visto che quando entri in un circuito grosso, comunque i maledetti soldi portano a creare una apparenza passionale e poi dietro vedi litigare; si tratta di tante band che si scannano. Forse per giustificare me psicologicamente del guadagno sempre scarso, dico che da una parte è meglio così perché se vuoi fare un disco in libertà lo fai, e stare sempre a discutere dietro ai soldi diventa troppo delicato. La passione fa parte dell’essere musicista, tra l’altro, come abbiamo detto fino ad ora, con Vanexa c’è veramente tanta libertà, ma anche tante discussioni dietro ai brani. Non litigate ma discussioni accese perché tutti ci tengono a tirar fuori il meglio. Poi quando mi trovo il disco finito, mi rendo conto che in un’altra situazione non sarebbe possibile fare un lavoro così bello, diventerebbe una situazione lavorativa. Se c’è la passione ti diverti a tirare fuori la tua personalità. E poi quello che deve succedere succede.

Pagnacco: Ti racconto la storia brevemente. Io ho capito, che il metal non poteva darmi da mangiare, a 23 anni. Questo nel momento che i Vanexa stavano andando per televisione, cioè a Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, a Telemontecarlo. I Vanexa andavano e avevano presentato ‘Metal City Rocker’ in tv, addirittura in diretta. Ti fermava la gente. Ma mi son reso conto che questo settore non faceva per me. Meglio che suoni quello che vuoi, quindi libero come musicista, ma la libertà ha un prezzo, ed il prezzo era quello di andare a lavorare per tirare fuori la pagnotta, perché se io avessi fatto solamente il musicista mi sarei dovuto vendere, facevi la cover, facevi il pezzo commerciale o suonavi la musica leggera, cose che assolutamente non mi piacevano e quindi avrei interrotto un sogno. Ho preferito far rimanere tale il sogno, schiavo nella vita ma libero come musicista. Ho fatto il disco solista, ho fatto quello che ho voluto fare, non mi interessa fare quello che vogliono sentire gli altri. Faccio quello che mi piace come Vanexa, ovviamente se sei in un gruppo devi scendere ad un minimo di compromessi, finisce la tua libertà quando inizia quella di un altro, però la libertà che inizia non è di “un altro” a caso, è quella di Pier, è quella di “Tani”, è quella di Silvano o è quella di “Ranfa”, quindi va benissimo. Ma se fossi in una band che non è fatta di miei amici, e non è fatta di musica che mi piace, allora è logico che entrano in gioco i soldi. Pier invece ha sposato una formula adatta, in quanto lui comunque è un musicista, non lo dice mai però è diplomato al conservatorio, per cui è un musicista a trecentosessanta gradi; ovviamente molto intelligentemente  fa la musica che gli piace con Necrodeath eccetera, non è che va a fare il liscio, e poi insegna, scuola di musica, fa i suoi video, lavora nelle colonne sonore, e tante altre cose che gli portano un introito sempre da musicista.

Ribadendo che io il disco in vinile dell’83 ce l’ho, comprato al tempo, faccio notare che a Certaldo, dove voi eravate headliner, c’ero. Mi ricordo le litigate tra punk e metallari, cosa che oggi non avverrebbe più..

Pagnacco:  C’erano le risse. C’era un gruppo di motociclisti genovesi, Demon Eyes si chiamavano, e ci seguivano. C’era un certo Pino “Lo Svizzero”, che adesso è deceduto, con un’aquila tatuata in fronte, si era menato con questi qua fuori dal teatro tenda. Erano arrivati i carabinieri a cercarlo, e noi lo avevamo nascosto dietro le quinte [ride n.d.r.]

Mi ricordo che noi metallari di Terni ci movemmo con grande euforia per venire a Certaldo. Era un periodo in cui i metallari erano pochi al tempo se ti ricordi.

Pagnacco: Eravamo pochi ma eravamo tutti! Era una fratellanza.

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Devo dire che questa intervista non sembra esaustiva, ho come l’impressione che avrei potuto chiedere molto altro, ma ho dovuto bloccarla per motivi di spazio. Ho anche però la sensazione che intervisteremo nuovamente questi mostri sacri del metallo nostrano.