Gonella: Si, si possono considerare tanti brani di questo disco una evoluzione partita dal disco precedente. Ci sono brani che hanno un ritornello più immediato, più facile nel senso buono, e dove alla fine anche volutamente, anche con l’aiuto di “Tani”, per esempio sulle armonizzazioni della voce, abbiamo puntato ad avere più impatto, mentre quando parti con la sperimentazione ti lasci andare. Tutto in maniera molto serena.
Siete quindi andati avanti in maniera molto libera. Avete mai pensato, durante i lavori, che qualche fan avrebbe potuto criticare queste scelte?
Gonella: Devo dire che un po’ ce l’avevo questa paura. Ti butti in una situazione di novità e ti metti in gioco in una maniera tale che puoi dover affrontare i pregiudizi. Quando ho visto tutte queste recensioni così positive, ho pensato che all’inizio forse un fan può storcere il naso, ma poi alla fine può arrivare a farselo piacere. Nel disco traspare il fatto di averci messo il cuore sopra. In conclusione potrei dire che “siamo dalla parte della ragione”, però il timore io ce l’avevo. Ora ho sentito tante persone apprezzarlo. Che dicano che il loro brano preferito sia ‘My Grave’, anche se riporta un po’ alla vecchia scuola, come anche il pezzo ‘The Last in Black’, è normale, ma temevo per i brani più lunghi come ‘Armless’. Invece sono stati molto accettati. Forse in giro c’è anche la voglia di ascoltare qualcosa di diverso. Mi sembra che i fan non si siano lamentati [ride n.d.r.]. Ogni tanto senti delle discussioni dietro ai Metallica, dietro agli Iron Maiden, si cade anche in esagerazioni. Ricordo che io ho fatto con altre band album che non mi sembravano così diversi dai precedenti poi sono stati giudicati sperimentali, d’atmosfera. Non sai mai come una cosa verrà giudicata, anche se ti fai l’idea che il disco abbia una certa caratteristica, poi la gente dà una risposta diversa.
Pagnacco: Io penso che un pezzo come ‘Armless’ sia ad un livello tale che anche chi non apprezza questo genere si rende conto dello studio che c’è stato. E’ un pezzo che fa bella figura. Ti dico che il batterista della PFM, Gualdi, che ha vinto come miglior batterista [nel premio del 2010 messo in palio dalla rivista InSound n.d.r.], voleva suonare ‘Armless’ al Chiabrera, il teatro qui a Savona, perché ha sentito il pezzo e si sarebbe divertito ad eseguirlo, se l’è anche studiato; cazzo, a tutti i costi lo voleva suonare. Significa che anche il professionista che sta suonando progressive riconosce che questo è un pezzo coi controcazzi! E’ un pezzo che oltre che nel metal può essere apprezzato a trecentosessanta gradi. Anche se non piacesse, non si potrà mai dire che è un pezzo che fa cagare.
Qual è il significato del video di ‘My Grave’?
Pagnacco: Vuol dire che praticamente coi videogioco perdi la realtà e magari succede qualcosa di violento in casa senza che tu te ne accorga. E’ un monito. Noi siamo sempre stati sociali nei testi. Abbiamo sempre cercato di dir la nostra perché arriviamo dal metal anni settanta/ottanta, il proto-punk che avevano testi molto sociali, e di conseguenza siamo molto affezionati a questa tipologia di tematiche. Nel nostro piccolo vogliamo sempre dir la nostra.
E di cosa parla ‘Dr Strange’?
Gonella: Riprende un tema dei fumetti. Su questo sono un po’ ignorante. Si parla di un personaggio dei fumetti, è un testo che ha scritto “Ranfa” per conto suo, poi l’ha rivisto assieme a Silvano. Mi sembra di ricordare che la maggior parte dei testi vengono scritti da loro due. Testo quindi dedicato ai fumetti, come sul disco precedente c’era il discorso su Tarantino. Non mi ricordo, ho dei ricordi da fan, si era detto che Tarantino aveva un cd dei Vanexa, qualcosa del genere.
Pagnacco: Riguardo a ‘Dr. Strange’, praticamente siamo amanti dei fumetti, anche se io sono Bonelliano. Oggi ho comprato Zagor quando si incontra con Tex Willer [sorriso di soddisfazione n.d.r.]; si incontrano per la prima volta nella storia del fumetto italiano. Ad Andrea “Ranfa”, che disegna anche, piace Marvel e i comic americani, quindi ha pensato di fare un testo sul Dr. Strange. Visto che Silvano comunque ha un passato su fumetti analoghi della Marvel, ha messo anche lui mano al testo.
Una piccola nota vorrei farla. Quando Ranfagni canta il ritornello Dr. Strange allunga la vocale e suona bene, ma sembra che dica “Stranger”.
Gonella: Forse è una sorta di “Yeah” finale. Lui ha un modo spesso quasi esagerato di interpretare il testo e l’inglese. Ricordo che alla prima consegna che avevamo fatto del master a Black Widow, Pino di Black Widow ci ha detto che avrebbe voluto rivedere delle parole proprio perchè c’era qualche ambiguità. Infatti qualche frase l’abbiamo proprio rivista. Si in effetti sembra di sentire “Dr Stranger”, poi bisogna vedere bene, perché Andrea potrebbe aver dato un diverso significato, questo non lo so.
Le ballate sono una delle cose più difficili da realizzare, ma la canzone soft ‘Perfect!, è davvero riuscita. La prima parte estremamente soffusa a me ha ricordato molto la maniera atmosferica della PFM di ‘Dove Stai…dove sei’. Ma bello che poi si increspi.
Gonella: musicalmente è nata quasi tutta da una idea di “Tani”, sua tutta la parte acustica. Dove inizia la parte distorta, la seconda, quella più heavy, l’idea è stata di Silvano. E’ un brano dedicato alla moglie di Silvano che è mancata per malattia, infatti lui da sempre ci teneva proprio a realizzare una prima parte che fosse il più poetica possibile e una seconda parte che fosse più granitica perché più rabbiosa. Per l’arrangiamento della voce ha fatto molto Silvano che voleva certe espressioni, chiedeva una certa vocalizzazione da “Ranfa” e quindi lo ha guidato molto; e anche a me disse “qua devi fare l’assolo e l’assolo deve essere molto incacchiato, molto nervoso”. Anche se la scrittura vede molto “Tani”, in un certo senso è più un’opera di Silvano, il quale ha dettato le regole e noi le abbiamo messe in bella copia.
Avete curato tutte le parti strumentali dedicandogli anche un bello spazio. Vi siete sfogati.
Gonella: ci sono quei due/tre brani dove stava bene sfogarsi un po’ e non abbiam voluto porci dei limiti. Abbiamo anche dei brani dove il ritornello rimane in testa, ma in altri ci siamo dati strumentalmente una libertà che è libertà artistica. A me colpiscono brani che il titolo del disco precedente descrive con ‘Too Heavy to Fly’: “Troppo pesanti per volare”, nel senso che siamo troppo metal per diventare commerciali, per vendere. E questo è un concetto che a me ha sempre affascinato. Abbiamo messo una “X” all’impacchettare i brani e siamo andati avanti come ci piaceva, poi a seconda delle parti, tante sono nate da “Tani”, poi una parte di Silvano, poi è arrivato un giorno in studio Sergio a risuonare tutti i bassi con un suono più particolare che ci ha portato a rielaborare ulteriormente il materiale.
Pagnacco: Penso che ‘My Grave’ sia il brano che racchiuda un po’ tutto. Perché è arrabbiato, poi c’è la parte d’atmosfera, è un po’ il brano simbolo. In generale siamo stati liberi, come dice Pier, e non abbiamo fatto caso al mainstream, a quello che sono i limiti di tempo, perché magari in radio il brano non te lo trasmettono, o alla forma. Abbiamo suonato a ruota libera perché tanto è inutile scendere a compromessi che alla fine, se devi volare, rifacendoci a “Too Heavy to Fly”, se devi decollare, decolli; e se non decolli, pazienza, ma per lo meno non ti sei venduto. ‘Armless’ e ‘Perfect!’ son due brani a sé, cioè pezzi che avrebbero potuto suonare anche band non metal, ma ci si rende conto che il gruppo che li sta suonando siamo sempre noi, che comunque lo stampo è quello. Io spero di progredire ancora col terzo disco, che abbia un equilibrio maggiore, con pezzi anch’essi tali da farci uscire dall’anonimato. Una volta abbiam suonato insieme ai Quartz [gruppo heavy metal inglese; periodo anni settanta/ottanta n.d.r.], che ci hanno raccontato un sacco di aneddoti, coi Black Sabbath, cose di sto genere, e il cantante si stupiva del fatto che noi potessimo essere cinque disperati, nel senso che avendoci sentito dal vivo, si chiedeva come mai non facessimo parte del business; per loro sembrava che avessimo le carte in regole e avevano quello stupore del “come mai non ci siete”. Il business in Italia lo fai solamente con un certo tipo di musica, sennò devi cambiare aria.
La bella copertina di una donna mezza scheletro che significa?
Pagnacco: Questa copertina cerca di richiamare il titolo dell’album ‘The Last in Black’. Quindi abbiamo usato tanto nero. Ci è sembrato bello il discorso di avere un’immagine femminile truccata con il teschio, soggetto che noi abbiamo sempre avuto nelle nostre copertine o nei nostri loghi. La parte dark, cattiva e misteriosa, e la parte affascinante, elegante. La copertina racchiude i due stili musicali che abbiamo registrato.
A livello di visibilità, come pensate che andrà questo disco nel mercato internazionale?
Gonella: come andrà non lo so. So che ogni tanto arriva qualche mezza proposta dall’Europa di date e festivalini, che poi con la faccenda solita del covid non si portano a termine, ma sembra che qualche cosina si muova tutto sommato. Vedendo come è stato recepito in Italia, mi auguro che si crei una visibilità. Sono uscite delle recensioni molto belle dall’estero, anche se spesso si tende a stroncare. Non si riesce a capire bene, ma la speranza di essere seguiti c’è, e nel contesto a mio avviso il disco è molto concorrenziale, ad un ottimo livello, sia per produzione che per contenuti. Si ha la speranza di riportare i Vanexa in serie A.
Tu vieni da Labyrinth; Necrodeath, e tra l’altro ora esce il tuo disco dei Mastercastle. Cosa hai portato nei Vanexa?
Gonella: Mastercastle esce il 10 gennaio ([l’intervista era precedente n.d.r.]. La domanda che spesso mi fanno è se ci sei o ci fai. Come mi pongo tra i vari generi. Nei Vanexa ho portato tutte le mie cose. Necrodeath è la band dove suono di più dal vivo e vengo etichettato principalmente come chitarrista di quel gruppo. Sono molto diplomatico, a livello artistico ho il mio dark-side di Slayer, Venom e quant’altro, ma tale e quale è il mio aspetto più solare con Deep Purple e Scorpions che rimangono le band del mio cuore. Quindi Vanexa; Mastercastle; Labyrinth rispecchiano la mia parte più melodica. Se vedi differente il mio approccio tra i gruppi, è perché mi pongo nella maniera adeguata a ciò che ho davanti. Sono entrato nei Labyrinth sostituendo un musicista, per cui entri in una band di un certo tipo, che comunque mi è sempre piaciuta, e pensi in ragione di quella realtà; cerchi di non imporre un tuo stile. In Mastercastle sono quello che tiene un po’ di più le redini, ci metto un po’ di più del mio e sfrutto un po’ di più il mio aspetto solista, anche con brani strumentali. Di Vanexa ho sempre amato la vecchia scuola, il fatto che sia una band di metal classico, per cui gli assoli sono belli. Con “Tani” facciamo degli scambi molto belli, ma non diventano mai esagerazioni alla Malmsteen. In Vanexa c’è la giusta via di mezzo, anche perché mi confronto con un altro musicista eccezionale quale è “Tani”, con un altro tipo di stile. Le idee che porti nel gruppo le misuri già per quel contesto. A seconda di chi ho a che fare viene naturale propormi in un modo piuttosto che in un altro.
A proposito di “vecchio stile”, il basso di Sergio non ha alcune caratteristiche blues?
Pagnacco: Anche io ho suonato nei Labyrinth e in quella tipologia non riesci ad esprimerti come vorresti, perché magari ti ingabbi in una velocità tale che non ha neanche senso fare certe figate perché la figata è nella velocità. Al di là del gusto hai due chitarristi che fanno solo quello, mentre nella “vecchia scuola” quindi Blues, Geezer Butler, Steve Harris, cioè con bassisti di questo calibro, tu ti gusti proprio il basso, anche nei lenti. Geezer Butler faceva delle cose stupende, senza toccare il top dei bassisti che per me è Chris Squire che su certe cose è inarrivabile e che per arrivare a quelle cose devi averci un gusto particolare. In certe canzoni, il basso suonato nei Vanexa porta ad esprimerti un pochettino meglio. Andare a sposare coi chitarristi certi fraseggi, certe sonorità che si vanno ad armonizzare insieme, ti permette di sperimentare qualcosa. Non è solo velocità.
Tutti fate dischi sempre più belli, sempre con più attenzione e cura, ma non guadagnate niente. che lo fate a fare?
Gonella: Volevamo fare la stessa domanda che magari ci aiutavi a trovare la risposta. Non lo so. A tutti quelli che ci chiedono perché non ti trovi un lavoro serio rispondiamo che lo stiamo cercando [ride n.d.r.]. E’ la passione, ma è un’arma a doppio taglio. Devo dire, senza fare l’esperto, che il poco che ho fiutato, le situazioni che mi sono capitate a livello grosso, sia dal vivo, a contatto con manager grossi, in situazioni dove puoi vedere come si muovono le band grandi, mi hanno fatto scendere un po’ il sogno. Ho visto che quando entri in un circuito grosso, comunque i maledetti soldi portano a creare una apparenza passionale e poi dietro vedi litigare; si tratta di tante band che si scannano. Forse per giustificare me psicologicamente del guadagno sempre scarso, dico che da una parte è meglio così perché se vuoi fare un disco in libertà lo fai, e stare sempre a discutere dietro ai soldi diventa troppo delicato. La passione fa parte dell’essere musicista, tra l’altro, come abbiamo detto fino ad ora, con Vanexa c’è veramente tanta libertà, ma anche tante discussioni dietro ai brani. Non litigate ma discussioni accese perché tutti ci tengono a tirar fuori il meglio. Poi quando mi trovo il disco finito, mi rendo conto che in un’altra situazione non sarebbe possibile fare un lavoro così bello, diventerebbe una situazione lavorativa. Se c’è la passione ti diverti a tirare fuori la tua personalità. E poi quello che deve succedere succede.
Pagnacco: Ti racconto la storia brevemente. Io ho capito, che il metal non poteva darmi da mangiare, a 23 anni. Questo nel momento che i Vanexa stavano andando per televisione, cioè a Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, a Telemontecarlo. I Vanexa andavano e avevano presentato ‘Metal City Rocker’ in tv, addirittura in diretta. Ti fermava la gente. Ma mi son reso conto che questo settore non faceva per me. Meglio che suoni quello che vuoi, quindi libero come musicista, ma la libertà ha un prezzo, ed il prezzo era quello di andare a lavorare per tirare fuori la pagnotta, perché se io avessi fatto solamente il musicista mi sarei dovuto vendere, facevi la cover, facevi il pezzo commerciale o suonavi la musica leggera, cose che assolutamente non mi piacevano e quindi avrei interrotto un sogno. Ho preferito far rimanere tale il sogno, schiavo nella vita ma libero come musicista. Ho fatto il disco solista, ho fatto quello che ho voluto fare, non mi interessa fare quello che vogliono sentire gli altri. Faccio quello che mi piace come Vanexa, ovviamente se sei in un gruppo devi scendere ad un minimo di compromessi, finisce la tua libertà quando inizia quella di un altro, però la libertà che inizia non è di “un altro” a caso, è quella di Pier, è quella di “Tani”, è quella di Silvano o è quella di “Ranfa”, quindi va benissimo. Ma se fossi in una band che non è fatta di miei amici, e non è fatta di musica che mi piace, allora è logico che entrano in gioco i soldi. Pier invece ha sposato una formula adatta, in quanto lui comunque è un musicista, non lo dice mai però è diplomato al conservatorio, per cui è un musicista a trecentosessanta gradi; ovviamente molto intelligentemente fa la musica che gli piace con Necrodeath eccetera, non è che va a fare il liscio, e poi insegna, scuola di musica, fa i suoi video, lavora nelle colonne sonore, e tante altre cose che gli portano un introito sempre da musicista.
Ribadendo che io il disco in vinile dell’83 ce l’ho, comprato al tempo, faccio notare che a Certaldo, dove voi eravate headliner, c’ero. Mi ricordo le litigate tra punk e metallari, cosa che oggi non avverrebbe più..
Pagnacco: C’erano le risse. C’era un gruppo di motociclisti genovesi, Demon Eyes si chiamavano, e ci seguivano. C’era un certo Pino “Lo Svizzero”, che adesso è deceduto, con un’aquila tatuata in fronte, si era menato con questi qua fuori dal teatro tenda. Erano arrivati i carabinieri a cercarlo, e noi lo avevamo nascosto dietro le quinte [ride n.d.r.]
Mi ricordo che noi metallari di Terni ci movemmo con grande euforia per venire a Certaldo. Era un periodo in cui i metallari erano pochi al tempo se ti ricordi.
Pagnacco: Eravamo pochi ma eravamo tutti! Era una fratellanza.
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Devo dire che questa intervista non sembra esaustiva, ho come l’impressione che avrei potuto chiedere molto altro, ma ho dovuto bloccarla per motivi di spazio. Ho anche però la sensazione che intervisteremo nuovamente questi mostri sacri del metallo nostrano.