Himmelegeme

Variola Vera

La bellezza estetica di certi gruppi progressive diventa sostanza artistica pregnante anche se gioca con sonorità già conosciute, ma ciò è possibile se si ha una personalità che attinge da un quid d’ispirazione.

E’ quello che possiedono questi norvegesi, ottenendo un risultato formale ineccepibile, con anche una scintilla compositiva vivida che li rende interessanti. Il loro moniker significa “Corpo celeste”, ed in effetti il loro suono ha vicinanza all’idea di evanescenza  spaziale.

‘SHAPING MIRRORS’ dalla cadenza atmosferica rarefatta, alterna compattezza discorsiva della chitarra a suoni più algidi, formando un saliscendi emozionale che avvolge l’ascoltatore tramite una magia che scorre fluida. Forse il brano migliore va visto in ‘HEART LISTENING’  con il suo variare da una iniziale soavità malinconica ad una cadenzata progressione ritmata (un po’ alla Gerry Rafferty), riuscendo a costruire un panorama ricco di passaggi e di feeling, con una doppia chitarra evocativamente gentile, a cui fa eco una lieve aggiunta di tastiera. Si cambia del tutto con la terza traccia che stilisticamente va in diversa direzione, cioè verso un rock’n’roll elettronico; e infatti ‘BLOWING RASPBERRIES’ abbraccia la verve New Wave degli anni ottanta, ma con un alto tasso valoriale, riuscendo a produrre un brivido caldo opposto alla tenue luce dei primi due pezzi. Ossessiva ma non disturbante ‘LET THE MOTHER BURN’ che si rivela più densa degli altri pezzi, sempre mantenendosi nell’alveo comportamentale della suadenza morbida, ma qui con un minimo di tensione apprensiva che cresce nel finale. Un altro brano che esce fuori dalle righe è  ‘Caligula’, un po’ psichedelico e un po’ New Wave, un po’ anni settanta e un po’ ottanta, non può essere accostato ai tre brani più classicamente prog, e testimonia come la band non provi nemmeno ad allinearsi ad una essenza unica per rimanere coerente nel disco.

Il cantato soffuso e dolce di certe song contrasta con la voce piena di altre. Gli strumenti però spesso sono più tonici della voce che sceglie di solito espressioni meno corpose per affievolirsi anche in falsetti suadenti. Non è un vero e proprio contrasto, però è l’anima compositiva che pare non volere ammorbidirsi troppo per evitare melensaggini o debolezze ideative. Un gruppo prog-rock che ha la capacità di raccontare percezioni lasciando che il fruitore venga cullato, ma non dimenticando piccole accensioni più dinamiche atte a risvegliare i sensi. Questo è il secondo full-lenght (il primo ‘Myth of Earth’ è del 2017), e si è già giunti alla maturità, anche se probabilmente il genere rimarrà in un alveo di nicchia. Questo secondo lavoro è meno chiuso, più “allegro” senza esagerare; è chiaro l’intento di evolvere e non rimanere dentro i concetti già espressi precedentemente. Rimane comunque un continuum che non li distacca del tutto dall’esordio. Tra le cose in comune sta il fatto che si arieggi un ché di tipico della loro terra che accomuna gli Himmelegeme ad altre realtà musicali del loro paese, con queste descrizioni sonore ampie e cenni ambient, fortunatamente questi ultimi non insistiti. E’ un disco riposante ma non noioso, è anzi uno di quelli che permette di staccare dalle ansie senza alleggerirsi dal punto di vista della dignità.

Roberto Sky Latini

 

Shaping Mirrors like Smoke
Heart listening
Blowing Raspberries
Brother
Let the Mother burn
Caligula
Agafia
Variola Vera

Aleksander Vormestrand – vocals / guitar
Hein Alexander Olson – guitar
Lauritz Isaksen – keyboards
Erik Alfredsen – bass
Leiv Martin Green – drums