Foghat
Foghat
Un gruppo britannico poco conosciuto in Italia ma famoso in patria e negli USA, con milioni di dischi venduti, sono i Foghat, band Hard-Rock’n’Roll che suona una iconica musica dura bluesata.
Nel giugno del 1972 esce il loro primo album che lascia subito il segno. Spesso il loro groove è fortemente boogie, e si fregia di essere un sound che rispetta la naturale essenza verace del rock.
In apertura il densissimo blues di Willie Dixon, ‘I just want to make Love to You’, viene rivestito di feeling Boogie che lo rende altrettanto denso in senso rock; rende così bene e in modo così personale che sarà per sempre suonato dal vivo come pezzo importante, caratterizzante la band. A differenza della cover di Dixon, quella Rock’n’Roll di Chuck berry non viene stravolta, e se anche l’arrangiamento è differente prendendo il sapore della band, lo spirito rimane essenzialmente quello dell’originale, forse perchè il R’n’R è già un genere più vicino all’Hard’n’Heavy, però si tratta di un momento esaltante e scatenato, e si inchina al genio del suo compositore. L’Honky Tonk di ‘TROUBLE, TROUBLE’ fa girare felice il proprio feeling rock’n’roll che in qualche modo sarà il sound di band americane come i canadesi Bachman Turner Overdrive (i B.T.O. appunto esordirono l’anno dopo con questo stile). Ancora B.T.O. nella più morbida ‘Leavin’ again (again!)’, ridondante nella sua ripetività strutturale, tipica di certo rock anche americano. Ancora più delicata ‘SARAH LEE’ che ricorda i Lynyrd Skynyrd (ricordiamo comunque che questi esordirono lo stesso anno), dove è la chitarra gentile a farla magistralmente da padrone, rendendola raffinata e gustosissima.
Gli Status Quo hanno la loro tipica ritmicità BoogieRoll e l’allegro pezzo ‘Fool’s Hall of Fame’ si rifà a loro sovrapponendosi perfettamente alla loro stilistica, riuscendo tuttavia con bravura nell’intento. I Foghat non sono mai troppo heavy, eppure la loro distorsione è una scelta di campo in questo disco (non avverrà per tutta la discografia) e in ‘HIGHWAY (KILLING ME)’, canzone quadrata e parzialmente pesante, è plateale che l’intenzione è quella di avere un Hard Blues corposo, anche incombente, esso scorre lubrico e sensuale esprimendo il carattere più viscerale della band. ‘HOLE TO HIDE IN’ è un altro episodio esaltante, dalla chitarra frizzante e dal ritmo accattivante, è fuor di dubbio che canzoni di questo tipo possono aver ispirato gruppi come gli Aerosmith anni dopo. La suadente ‘Gotta get to know You’, un’altra cover, chiude in bellezza il disco anche se in maniera un po’ diversa dal resto avendo una forma più introspettiva e intimista, anche più rarefatta; ivi le tastiere ricordano sorprendentemente un po’ i già attivi (da due anni) Supertramp, segno che nel loro background c’è molto più di ciò che appare. C’è da dire che le cover sono tutte trattate splendidamente, rispecchiando l’estro dei musicisti che le rigestano all’ascoltatore, facendole proprie, in una maniera maggiormente pregnante rispetto a quello che fanno spesso molte band. In tal senso esse valgono quasi come brani inediti.
Il gruppo suona da studio come se fosse in sede live, riempiendo i singoli pezzi di assoli nello stile jammato, e così evidenziando la loro artistica vena virtuosa strumentale (dal vivo i pezzi possono anche raddoppiare il minutaggio). Un album anni settanta che di quel decennio è luce ed anima, ancorato profondamente alle radici del rock più antico, ma gestito con forza ed energia, pieno di elettricità, in un classicismo che però trasuda ricchezza e personalità. L’innovazione del gruppo è apparentemente limitata, non rivoluzionaria come i miti che oggi sono Black Sabbath; Led Zeppelin o Deep Purple, ma scegliendo di trasmettere il senso più tradizionalista di una musica basilare per l’Hard Rock.Essi mantengono un livello di novità che non può superare un certo livello, e però riescono a rivitalizzare una concezione del rock che mantiene il senso classico fino alla fine degli anni settanta (dopo l’avvento del punk il genere inizia a tirare di meno), insieme naturalmente ad altri musicisti rock più o meno duri che però tracciano insieme una strada simile (Blackfoot; Montrose; Rick Derringer).
Per esempio anche i Bad Company, ancora al di là da venire, hanno uno degli approcci più similari, ma forse i Foghat possono essere considerati di maggior profondità e meno commerciali, più seriosi e pregnanti di quelli. Pur essendoci alcune sfumature Led Zeppeliniane, la realtà è che per certi versi essi sembrano gli americani della Gran Bretagna, con le loro riffiche dinamiche, del resto vissero l’ambiente dei primi anni vivendo oltre oceano, dopo aver lasciato l’Inghilterra prima di debuttare discograficamente. Questo album va onorato per il contenuto molto significativo nella storia del rock duro, essendo esso un ottimo album, globalmente ineccepibile; per cui è un cinquantennale da festeggiare sicuramente, ricordandosi che tale combo ha segnato moda e immagine sonora del periodo.
Roberto Sky Latini
Bearsville Records
www.foghat.com
Side A
I Just Want to Make Love to You (cover Willie Dixon)
Trouble, Trouble
Leavin’ Again (Again)
Fool’s Hall of Fame
Sarah Lee
Side B
Highway (Killing Me)
Maybellene (cover Chuck Berry)
Hole to Hide In
Gotta Get to Know You (cover Deadric Malone, Andre Williams)
”Lonesome” Dave Peverett – vocals, guitar
Rod Price – guitars
Tony Stevens – bass
Roger Earl – drums