Dissimulator
Lower Form Resistance
Canada, Quebec, terra di grandi e geniali musicisti: Rush, Voivod, Devin Townsend, tanto per fare dei nomi; ma soprattutto Voivod, conterranei particolarmente vicini al trio canadese che sto per presentarvi.
I Voivod infatti sono tra le principali influenze dei Dissimulator: trio canadese dedito ad un Thrash/Death che prende molto della follia che anima le composizioni dei Voivod, soprattutto in riferimento al periodo a cavallo tra Killing Technology e Nothingface.I Dissimulator si presentano sul mercato con questo debutto stratosferico, capace di mescolare il techno thrash/death del periodo d’oro con degli afflati moderni, utili a rendere la proposta più vicina a questo millennio, anche se, ad essere onesti, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno dato che le composizioni non suonano affatto vecchie o datate.Lower Form Resistance, questo il titolo del disco, è una vera e propria mazzata sui denti, nonostante la componente tech, il riffing di matrice thrash, corroborato dalla porzione death, riesce a creare una serie di bordate al cardiopalma: continue accelerazioni e cambi di tempo fanno da ossatura ad una strutturazione ben più complessa, con un riffing assassino anche nei momenti più sghembi e strutturati.
I rimandi ai Voivod così come ad Atheist e Coroner, sono piuttosto chiari e il terzetto non ha nessuna intenzione di nascoderli perché la loro idea e la rappresentazione in musica di una battaglia nello spazio, dove l’assenza di gravità e di altri fenomeni fisici cui siamo abituati sulla terra, rendono le operazioni imprevedibili, così come a volte sono imprevedibili le cascate di riff crudi e trita ossa che vengono scaricati addosso all’ascoltatore. Lower Form Resistance si dipana si ritmiche intricate e continui cambi di tempo, in cui a farla da padrone è un riffing tecnico-ossessivo in grado di alternare momenti da schegge impazzite tipiche del techno-thrash a bordate da assalto tipiche del death più strutturato e stratificato; in mezzo a tutto questo si presentano momenti di respiro in cui il trio si lascia andare ad aperture armoniche che prendono ispirazione dal progressive più evoluto in cerca di ispirazioni cosmiche.
Il bello di questa release è che pur partendo da un’ispirazione che affonda le sue radici negli anni ’80, riesce a suonare davvero molto interessante e se nella produzione si odono echi degli anni ’90, tutto suona molto compatto e ben distribuito nello spettro sonoro, senza che vengano a crearsi dei mappazzoni di suono in cui gli strumenti risultano intellegibili: qui il riffing è posto in bella mostra e fierezza, in tutta la sua complessità e in tutte la sua costruzione e decostruzione, già, perché a fare la parte del leone in Lower è proprio la decostruzione delle strutture, cui vengono applicati veri e propri elementi di ingegneria per andare ad elidere alla perfezione parti di riff già esposti, per riconfezionarne di nuovi adagiati su altri tempi e su altre strutture ritmiche.
Come ho già detto, le chitarre la fanno davvero da padrone ma sono perfettamente sostenute da un drumming eccellente, capace di porre l’accento dove serve, capace di andare a cercare lo scontro con il riffing, quasi a voler creare un contrappunto, dando vita a momenti ora furiosi e belligeranti e ora più avvolgenti ma sempre graffianti e taglienti come delle rasoiate, in grado di sottolineare il territorio futuristico su cui si muove il terzetto canadese: riff e ritmiche coinvolgenti ma spettacolarmente gelidi, in grado di descrivere alla perfezione la freddezza delle macchine che domineranno il futuro, mentre esplode la rabbia e la furia cieca dell’uomo che si trova a combattere l’ennesima battaglia contro le sue creature che gli si ritorcono contro.Leggendo in maniera superficiale ciò che ho scritto, sembrerebbe di trovarsi di fronte all’ennesimo onanistico lavoro di questa nostra modernità: nulla di più lontano dal vero! In Lower Form Resistance la tecnica è messa perfettamente al servizio del concept che i Dissimulator vogliono portare avanti e alle ritmiche (il mio riferimento è legato ai primi Fear Factory), hanno legato un riffing articolato e di grande spessore, sottolineando ancora di più, a mio parere, la complessità di una realtà robotica e la profondità della delusione umana, non solo verso se stessa ma anche verso le sue creature.
La prova è veramente muscolare, profonda e tecnica cui si aggiunge una ferocia che ha quasi del bestiale, tanto riesce a coinvolgere e ad abbracciare i nostri pensieri più oscuri e trasformarli in propositività, una propositività che è rappresentata da un riffing carico di tensione, di continui cambi di direzione e da un’altalena dinamica e mi rendo conto che l’unica scelta possibile è quella di dare vita ad un thrash-death ferale e sghembo, in grado di bruciare, esattamente come brucia il gelo.
Vi assicuro che non basterà un semplice ascolto per entrare nel mood di questo album, anche se sicuramente è un disco in grado di fare centro sin dal primo ascolto: consigliatissimo.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri