Devangelic
Xul
L’underground italiano, esattamente come quello di tutto il mondo, pullula di band in grado di dare del filo da torcere ai grandi nomi, purtroppo per loro però i nomoni continuano a fare “grandi” numeri mentre le band che navigano nel sottobosco fanno enormi difficoltà ad emergere anche se non mancano, per alcune, grandi soddisfazioni: tour con gruppi di rilievo, inviti a festival importanti e comunque una buona schiera di fan che le segue in maniera quasi morbosa non lasciandosi sfuggire nemmeno un’uscita o comprando il merch. Una delle band che più spicca nel panorama italico è quella dei Devangelic i quali, fieri dei successi ottenuti in patria e fuori, hanno dato alle stampe, il 7 aprile, il nuovo lavoro in studio: Xul.Il disco si presenta subito come fedele e degno seguace del predecessore Ersetu, che fu anche il primo disco ad uscire per l’etichetta Willowtip Records, ed esattamente come questo, si nota un ulteriore ampliamento del sound che riesce, ancora di più in questo Xul, ad essere decisamente più aperto, meno claustrofobico e con delle utili melodie che si fanno strada qua e là all’interno dei 10 brani che compongono questa nuova release.Semmai ce ne fosse bisogno, i Devangelic si confermano una delle realtà più interessanti del panorama brutal death italiano e confezionano un disco violento e brutale sì ma con un riffing in grado di spaziare parecchio all’interno del genere e questo anche grazie alle capacità tecniche dei Nostri, in grado di gestire la pesantezza del brutal coadiuvandola con aperture melodiche e momenti più riflessivi o comunque elaborando trame in palm mute su singolo accordo aperto che riesce a dare un’atmosfera differente rispetto ai precedenti lavori cui ci aveva abituato la band.
Il bello di Xul, anche rispetto ad Ersetu, sono le maggiori influenze delle trame chitarristiche tanto care ai Nile, infatti si possono notare varie digressioni in territori arabeggianti in cui gli intrecci chitarristici in minora armonica sembrano farla da padrona, sorretti alla grande dalla sezione ritmica in grado di disegnare fill capaci di sostenere in maniera perfetta il tutto: se a difettare un po’ è sicuramente la personalità, Xul riesce comunque a tirare fuori alla grande, il lato tecnico-melodico dei Devangelic che, comunque, non si limitano a scopiazzare i Nile, che sicuramente rappresentano ora come ora, la loro più grande fonte di ispirazione, ma nelle trame ammantate di brutalità che percorrono il disco, si può riconoscere un riff-rama caro al gruppo di Eric Rutan, soprattutto quello degli ultimi dischi, carichi di atmosfere sulfuree e dinamiche brutali in grado di portare l’ascoltatore direttamente dinnanzi ai cancelli dell’Ade.Nonostante “l’alleggerimento” del suono, che detto tra noi ha fatto guadagnare un bel po’ di punti alla band romana, Xul è una badilata in pieno volto e sicuramente non farà prigionieri, soprattutto in sede live dato che i brani, godendo di un maggiore respiro, faranno la felicità degli headbangers più scatenati e soprattutto non risentiranno di quell’effetto di avvitamento su se stessi, perché, nonostante la trama resti complessa e articolata, il tutto risulta maggiormente dinamico e con maggiore groove. Ad aiutare il tutto c’è la produzione spettacolare dell’ottimo Stefano Morabito e dei suoi 16th Cellar Studios, che sembra offrire ulteriore spazio di respiro alle composizioni, che restano sempre cariche di riff e note tirate a 200 BPM ma sapientemente dispiegate sui brani e quindi apparentemente meno opprimenti rispetto alla costruzione da cui erano partiti nei platter precedenti.
Nulla di nuovo sotto il fronte occidentale quindi e non credo nemmeno che sia questo il senso dell’esistenza dei Devangelic, ma nemmeno una realtà che non sia da tenere in grande considerazione, perché di capacità i romani hanno dimostrato di averne, hanno dimostrato di saper rinnovare il proprio sound e la propria capacità compositiva, arrivando ad una strutturazione molto più vicina alla forma-canzone rispetto a prima,a nonostante tutto questo Xul non vi darà un attimo di respiro e vi martellerà il cervello dal primo all’ultimo minuto perché è la brutalità a farla comunque da padrona, una brutalità che non si è affatto sopita, è stata solo convogliata in una forma migliore e decisamente più fruibile: il che, detto da uno che adora Resurrection Denied è quasi paradossale, eppure questa nuova veste della band riesce ad impattare maggiormente non solo su chi ascolta, ma proprio sulla fluidità della scrittura.
Brutal death di ottimo pregio e fattura che sicuramente non ha paura di nascondere le proprie influenze, ma che riesce comunque a dire la sua e a liberare e scatenare dentro ognuno di noi, tutti i demoni della Mesopotamia attraverso il growling spettacolare di Paolo Chiti, in grado di rappresentare un valore aggiunto non solo per la sua ugola ma per la capacità di non essere monocorde ma perfettamente capace di seguire i cambi di atmosfere presenti in questo Xul che non è affatto un disco di semplice assimilazione o da ascolto distratto, è un disco che necessita di svariati ascolti per essere inglobato appieno e per essere compreso completamente e per rendersi conto delle varie sfumature che le composizioni offrono.
Daniele “Darklordfilthy” Valeri
Willowtip Records
www.devangelic.com
Scribes of Xul
Which Shall Be the Darkness of the Heretic
Udug-Hul Incantation
Famine of Nineveh
Sirius, Draconis, Capricornus
Show Worship of the Black Flames
Ignominious Flesh Degradation
Hymn of Savage Cannibalism
Shadows of the Iniquitous
Sa Belet Ersetim Ki’Am Parsusa
Paolo Chiti– vocals
Mario Di Giambattista – guitars
Marco Coghe – drums
Alessio Pacifici – bass