Clutch

Sunrise on Slaughter Beach

Gli americani in questione tornano e ancora una volta dimostrano chiarezza d’intenti e ispirazione messa perfettamente a fuoco.
Siamo al tredicesimo capitolo della loro storia che inizia disco graficamente nel 1993, e oggi sono trascorsi quattro anni dal precedente ottimo ‘Book of bad Decision’. E l’ottimo di allora prosegue con l’ottimo di adesso. Poche storie, qui si sente la forza del rock primordiale che invade l’attenzione del fruitore. Americanità pura che infligge una certa possanza senza mai farsi metal, ma sempre evitando la leggerezza dell’arrangiamento, dando all’aggettivo “duro” il giusto significato che aveva creato l’Hard Rock.  La presenza dei Clutch nel panorama musicale non è di basso profilo, dato che si tratta di un combo sostanzioso, in grado di arricchire la scena.Anche se la velocità non è mai al primo posto delle loro scelte stilistiche, l’apripista ‘RED ALERT’ parte in quarta con un bel ritmo tonico, e crea una nuda, cruda e verace enfasi hard-rock.

Un middle-time roccioso pervade ‘SLAUGHTER BEACH’ che usa un riffing circolare su cui imprimere una cadenza obesa e grassa, ma vocalmente frizzante quanto tosta. I Bachman Turner Overdrive emergono prepotentemente da ‘MOUNTAIN OF BONE’ che appare meno semplice delle altre song, regalando una bella andatura ritmica e anche una bella atmosfera avvolgente che afferra magicamente. Divertente la saltellante ‘WE STRIVE FOR EXCELLENCE’ che condivide con il canadese Danko Jones, similmente, la dinamica stilistica del Rock’n’Roll. Alcune parentesi meno crepitanti e più raffinate ci sono e danno l’idea di una band che sa guardare culturalmente in senso ampio come ‘Mercy Brown’, parzialmente rarefatta, come anche la finale ‘Jackhammer our Names’ che possiede l’atmosfera da crooner. Ogni brano è ficcante, pregnante ed è un elemento consistente ai fini dell’ascolto.La sonorità granulosa e densa si rifà ai Soundgarden di ‘Badmotorfingers’ del 1991, con però molta pendenza vocale verso il B.T.O. style che rappresenta appieno gli anni settanta.

In effetti l’ugola assomiglia molto al timbro rasposo e caldo di Randy Bachman, ed è proprio un piacere sentirne l’eco. In realtà in alcuni piccoli passaggi, dove la voce è meno prepotente, viene in mente pure Dave Wyndorf dei Monster Magnet. Nell’essenza il contesto ricorda però parzialmente anche i Black Label Society più rockettari e perfino i Motorhead. Nel drumming si trovano abilità variegate, mai uguali a se stesse, che riescono a incidere sulla portanza del songwriting, facendo sì che la batteria sia essenziale e non solo una portatrice basica di sottofondo ritmico. Come nel disco precedente non ci sono particolari virtuosismi solistici della chitarra, anzi gli assoli veri e propri sono davvero pochi, ma il bello è che non se ne sente la mancanza. E poca è anche la psichedelìa che si limita a rari momenti nel disco, anche limitati nel minutaggio quando appaiono nella singola canzone. Non si perde tempo con svolazzi e decorazioni, permettendo che si vada sempre subito al sodo, senza per questo evitare di apporre inserti a loro modo ricercati. I musicisti sanno sempre cosa stanno facendo, non appaiono mai in difficoltà concettuale e rendono maturo ogni loro colpo. Tanto groove per uno stoner decisamente incisivo. E l’opera non ricalca il disco precedente testimoniando che il loro approccio musicale si evolve.

Roberto Sky Latini

Weathermaker Music
www.pro-rock.com

Red Alert (boss Metal Zone)
Slaughter beach
Mountain of Bone
Nosferatu Madre
Mercy Brown
We Strive for Excellence
Skeleton on Mars
Three Golden Horns
Jackhammer our Names

Neil Fallon – vocals / guitar
Tim Sult – guitars
Dan Maines – bass
Jean-Paul Gaster – drums