Cirith Ungol

Dark Parade

Sesto full-lenght dall’inizio carriera e secondo lavoro negli anni duemila. Rispetto al precedente ‘Forever Black’ del 2020, con un tasso di caratterizzazione maggiore dei singoli pezzi,  qui si sceglie invece uno stato d’animo generale che collega i vari episodi in un unico piano sequenza. Soprattutto sono le linee melodiche del cantato a variare meno e a mantenere un senso di continuità brano per brano, caratterizzandoli singolarmente in misura minore.

L’ugola sgraziata del singer stavolta decide una variazione posta ai minimi termini e si fa simile nelle varie tracce. Ma considerando che non ci sono strutture scarse qualitativamente, è proprio sulla maggior differenziazione riconoscibile della linea vocale che invece si evidenziano i pezzi migliori.‘VELOCITY’ apre benissimo l’opera con un ritmo sostenuto pur non velocissimo, e si esprime con tanta verve solista e compattezza riffica; il cantato è quello solito, anche se in un punto esso sembra fare il verso a King Diamond. Un altro dei momenti meglio concepiti è ‘DISTANT SHADOW’ la cui oscurità emerge con enfasi; qui la voce dà la sua migliore interpretazione e la chitarra solista cesella l’andamento con inserti che contrastano la pesantezza ideativa. La darkeggiante ‘DOWN BELOW’, che è la traccia appena successiva, inizia con un chitarrismo acustico come a proseguire il rifframa della song precedente, e qui viene disposto però un doom ferale dove realmente emerge anche lo spirito straniante alla King Diamond. E’ una canzone dove anche i Black Sabbath si fanno vivi in maniera spinta. L’ascoltatore viene trasportato lontano in meandri oscuri.

I brani con minore personalità vocale non sono comunque mai noiosi o persi nell’inutilità, anzi, ogni riff e ogni stilla chitarristica funzionano ammalianti. Non perfettamente centrata la title-track ‘Dark Parade’ che sembra non volere andare da nessuna parte con tre sezioni un po’ slegate, le quali hanno un valore relativo anche prese singolarmente dato che sembrano le più canoniche di tutte, e senza che evolvano esaustivamente.La concentrazione compositiva si è soffermata soprattutto sullo scorrere del rifframa che avvolge con calda oscurità. Poi ancora di più si spinge sulle evoluzioni soliste della chitarra, davvero brillanti e melodiche, talvolta con accostamenti alla Blackmore (per esempio in ‘Relentless’). Davvero la sei corde è l’anima della festa, con una raffinatezza che imbastisce agilmente ogni istante proposto.

L’aria è fortemente NWOBHM come lo era sin dall’inizio, nel 1981, sebbene con una maestria della massima personalità. C’è anche un bel tasso doom-metal che viene sviluppato come nelle migliori entità del genere. Questo andamento dei riff fa immergere l’ascoltatore in un viaggio che ammalia, con l’ottimo risultato di essere cullante, fino a quando poi intervengono gli assoli a svegliare dal torpore, aprendo squarci di luce. La sequenza dei riff evita l’impatto crudo, infatti ciò che emerge maggiormente è la condensazione delle atmosfere attraverso un andamento ondivago dai tratti piuttosto doom. Sicuramente l’ascolto è vincente nonostante si usi la stilistica propria, già collaudata. Dispiace che il chitarrista Barraza lascerà.

Roberto Sky Latini

Velocity (S.E.P.)
Relentless
Sailor on the Seas of Fate
Sacrifice
Looking Glass
Dark Parade
Distant Shadows
Down Below

Tim Baker – vocals
Greg Lindstrom

Tim Baker – vocals
Greg Lindstrom – guitar
Jim Barraza – guitar
Jarvis Leatherby – bass
Rob Garven – drums