Candlemass

Sweet Evil Sun

Ha senso un tredicesimo disco degli svedesi Candlemass oggi? Si, ha senso, e anche molto, visto la rinnovata presenza del cantante storico di ‘Epicus, Doomicus, Metallicus’ (l’esordio del 1986) e poi l’eccellente risultato compositivo. Un ritorno niente affatto nostalgico, ma che il passato lo rappresenta bene senza apparire vintage, nonostante alcune sonorità passatiste, che però offrono piacere. Si tratta di un doom dinamico, che sa blandire come anche stimolare. Un full-lenght che sa imbastire con il fruitore un dialogo per l’intero suo ascolto. La scura apripista ‘Wizard of the Vortex’ è di un livello piuttosto classicamente canonico, anche se si tratta di un buonissimo pezzo, tipico della band e tipico del genere, dove il ritornello epico è grandemente enfatico. In effetti in tutto l’album ci sono dei riff tradizionali e non certo innovativi, ma accanto ad essi ce ne sono anche di più particolari, e questi accostamenti rendono ogni song in grado di avere una propria personalità, grazie anche però ad un cantato parecchio espressivo.

La title-track ‘SWEET EVIL SUN’ è altamente ispirata, ed il ritornello indietreggia fino agli anni sessanta per la sua aria quasi da figlia dei fiori, con una bella rotondità suadente. Forte ispirazione artistica anche per  la sabbathiana ‘ANGEL BATTLE’ che scorre possente e cruda, più dura, ma plasmata per alternarsi bellamente tra lentezza pachidermica e cavalcata energetica, velocizzazione in cui è posto un ottimo ritornello cantabile ma arcigno, e valoriale anche il finale dove c’è un momento vocale più morbido, intenso, seguito da una chitarra distorta iperdoom. ‘WHEN DEATH SIGHS’ possiede una profonda verve evocativa e l’ugola esprime abile capacità descrittiva, quasi teatrale. Molto particolare risulta ‘’SCANDINAVIAN GODS’, la cui bellezza sta sia nella incessante ritmica scelta (un middle-time ridondante), sia nella parte corale, il tutto un po’ in stile Manowar, da colpo ad effetto. La maestosità di ‘GODDESS’ è pregna di densità fascinosa, e se il rifframa è ossessivamente poderoso, il cantato è altrettanto corposo, un po’ Uriah Heep, un po’ Black Sabbath di Ronnie Dio. Tutti pezzi riusciti; nemmeno individuando il pelo nell’uovo, si riesce a trovare un filler.

La chitarra come al solito è il centro della struttura e cambia in modo intelligente le sue giravolte creando passaggi sempre efficaci. Certe volte la riffica sembra rifarsi più al Tony Iommi magniloquente degli anni ottanta che a quello dei settanta. Gli assoli non appaiono mai slegati dal contesto, il più delle volte come fossero un canto che espande la linea melodica. Essi sono anche acidi, ma la loro essenza è fluida, chiara nel suo dipanarsi. Di certo l’insieme è caldo e più che provocare, predilige una atmosfera che si avvolge intorno all’ascoltatore, per un viaggio emozionale e persuasivo. Il mitico singer è in grado di aumentare il pathos di ogni canzone, raucamente ficcante quando serve, più lineare quando va impressa una certa scorrevolezza; di certo la sua presenza è carismatica e realizza melodie attrattive. Un ottimo lavoro che traghetta antichi sapori nel mondo moderno, per chi è mai sazio di arte e valori.

Roberto Sky Latini

Wizard of the Vortex
Sweet Evil Sun
Angel Battle
Black Butterfly
When Death sighs (feat. Jennie Ann Smith – Avatarium)
Scandinavian Gods
Devil Voodoo
Crucified
Goddess
A Cup of Coffin

Johan Langquist – vocals
Mats “Mappe” Bjorkman – guitar
Lars Johansson –guitar
Leif Edling – bass
Jan lindh – drums