Beast In Black

Dark Connection

La Bestia Nera di questo gruppo finlandese al terzo full-lenght sembra la volontà di voler essere facilmente fruibili a tutti i costi.

Pur dentro un attacco sonoro arrembante, l’espressività è piuttosto appiattita in uno standard piuttosto fisso. La maggior parte dei brani pesta sul ritmo cadenzato e fa scintillare una tastiera commerciale che viene prediletta prendendo spesso il posto che nel metal di solito spetta alla chitarra, quello dei riff. Attacchi bombastici e ritornelli orecchiabili. Pezzi come ‘Blade Runner’; ‘Highway to Mars’; ‘Dark New Age’; ‘To the last Drop of Blood’; la migliore ‘Bella Donna’; potrebbero quasi essere intercambiabili per ritornello e strofe, stando all’interno di una stilistica pedissequamente sovrapponibile, molto più di come fanno o facevano certe band criticate per non cambiare mai. La semplificazione del songwriting molte volte cade nel già sentito, e la band sembra non accorgersi delle volte che appare scontata. L’arrangiamento è sicuramente ficcante e tonicamente irruento, ma le linee melodiche non hanno nulla che le valorizzi.

‘BELLA DONNA’ che inizia con un bel giro riffico della sei corde, per essere però subito abbandonato in favore di una tastiera di plastica, presente fortunatamente un assolo chitarristico di tutto rispetto ricorandoci che a questi musicisti piace anche il rock.  Uno dei pezzi migliori è ‘HARDCORE’ che usa un carattere piratesco e corale. L’altro momento di un certo valore è ‘REVENGEANCE MACHINE’ che è uno dei rari momenti power dell’album, anche se l’elettronica centrale davvero poco ci azzecca. In senso meno duro la song vincente è ‘MY DISTOPIA’ che finalmente cerca di ampliare il suo spettro sonoro in favore di una certa atmosfera rarefatta; non che si sia davanti ad un capolavoro, ma il voto va sopra la media e ciò ci racconta che forse la band potrebbe tentare qualcosa di meglio, raccontandosi in un modo più significativo. Molto banale ‘One Night in Tokyo’ che vuole colorarsi da discoteca più degli altri brani, cadendo in un pop salterino leggero leggero, senza davvero alcun tipo di personalità. ‘Moonlight Rendezvous’ è ancora più melensa e stavolta si fa totalmente pop e  povera, con un cantato che può ricordarci i cantanti più scarsi del mondo della musica leggera anche italiana. Il senso commerciale migliore si ha invece quando al posto del Pop si tenta la carta dell’AoR alla Def Leppard, e lo si percepisce in ‘Broken Survivors’ anche qui purtroppo senza elevarsi abbastanza.

Molto curioso è trovare nel disco la cover dei Manowar, la loro canzone epica più importante, quella ‘BATTLE HYMN’ che diede il nuovo paradigma al genere Heavy. E’ come approdare ad una isola in mezzo al mare; tale brano non ha nulla a che fare stilisticamente col resto del lavoro, si sente proprio una differenza formale e sonora, ma soprattutto è andare ad autodefinirsi di basso livello, sciorinare tanta roba scarsa e poi all’improvviso salire verso l’arte pura a rendere lampante quanto nel paragone i Beast in Black ci perdano. Si ha vieppiù questo significato considerando che la versione è riuscita a mantenere la potenza e l’energia dell’originale. La cosa positiva è che chi ascolterà ‘Dark Connection’ verrà a contatto con una pura perla d’arte e perciò farà del bene portandola ai fan che magari non conoscono il pezzo. C’è poi un’altra cover, stavolta di Micheal Jackson del 1995: ‘They don’t care about Us’ è divertente, ma sembra inutile in questo disco.

Voce dalla tonalità fenminile quando è calma, si accende quasi sempre su note alte che la portano ad arrochire la timbrica, e tanto di cappello perchè chiunque altro faticherebbe a gestirla (dal vivo dovrebbe essere davvero faticoso). Alla fine ci si diverte, non è una opera da insufficienza, ma mancano le punte artistiche che i vicini di sound, i Battle Beast, sanno raggiungere, questa band sceglie la commercialità e la superficialità per irretire orecchie non troppo esigenti, semplificandosi al massimo. In realtà questo disco è una raccolta di brani minori, minori nel panorama musicale non solo del metal, ma minori proprio in senso generale.

Potremmo parlare anche di connubio tra disco-music e metal, senza però alzarsi quasi mai di livello compositivo. Oppure potremmo trovare nelle Babymetal qualcosa di simile, solo che queste ultime se la giocano con molte più originalità. Al di là dei suoni, le strutture ricordano il metal orecchiabile d’assalto della triade Lonewolf, Powerwolf, Sabaton, con però minore efficacia e verve; ai Beast in Black manca la scintilla, e questa mancanza è nascosta e mimetizzata dentro un arrangiamento pompato. Le chitarre riescono a dare una certa forza alle song, però non riescono a salvarle. Siamo al cospetto dell’ovvio, del riciclato e della linearità strutturale poco pregnante. Sono in grado di essere scatenati, questo si, e considerando la pop-disco poco efficace in tale senso, allora si, questa band ha l’anima metallica, ma piuttosto fragile dentro un contenitore siffatto. Non è il genere scelto a impoverirli, anche questo tipo di metal metal può essere fatto bene, e se per qualcuno essi sono dei venduti, per me semplicemente sono senza ispirazione.

Roberto Sky Latini

Nuclear Blast
www.beastinblack.com

Blade Runner
Bella Donna
Highway to Mars
Hardcore
One Night In Tokyo
Moonlight Rendezvous
Revengeance Machine
Dark New World
To the Last Drop of Blood
Broken Survivors
My Dystopia
Battle Hymn (Manowar cover)
They Don’t Care About Us (Michael Jackson cover)

Yannis Papadopoulos – vocals
Kasperi Heikkinen – guitar
Anton Kabanen – guitar
Máté Molnár – bass
Atte Palokangas – drums