Banco Del Mutuo Soccorso
Banco del Mutuo Soccorso – Darwin
Nel 1972 inizia l’epopea italica più matura del Progressive, nonostante alcune produzioni già presenti di altri gruppi; è un’era che inizia a maturare davvero da questo anno.
Iniziò la PFM a Gennaio, mentre il Banco fa la sua comparsa discografica soltanto quattro mesi dopo (3 maggio), ma la coincidenza vuole che entrambe le band tirino fuori due album prima del 1973. La PFM pubblica il secondo nel mese di Novembre, mentre il Banco a Dicembre. Il loro quasi parallelismo fu un’ottimo scoppio di qualità italica, che mise al mondo tanto materiale su cui basare l’espansione futura di tale genere.
Banco Del Mutuo Soccorso (primo album). Il virtuosismo è subito scatenato in questo primo disco della band. Frizzante e dinamico, il brano ‘R.I.P. REQUIESCANT IN PACE’ presenta tutti musicisti pieni di verve iperattiva, in tutti i comparti, nessuno escluso. La chitarra solista inizia con un suono liquido stile primo album degli Yes ma poi si elettrizza con energia indurente e la suadente melodia cantata è pregnante di pathos e di orecchiabile emotività. E’ una song la cui prestanza si impone. ‘METAMORFOSI’ è la minisuite di quasi undici minuti che permette ai vari strumenti, in particolare pianoforte e hammond, di esprimersi con espansività, e rispetto all’altra traccia aumenta il proprio tasso sperimentale, qui si percepiscono alcuni afflati alla Jethro Tull, quindi anche una distorsione netta dei riff oltre ad alcune concezioni costruttive, senza però ridursi a tale ispirazione. I momenti più scattanti si alternano a quelli soffusi senza mai perdere tono dialogante, così da ammaliare senza sosta l’ascoltatore, e nella sezione morbida, in cui si aggiunge il cantato, si associa un’afflato di musica classica ad una chitarra alla Blackmore settantiana, e poi sopraggiunge un finale che declina il pezzo verso un crescendo incombente. E’ invece la lunghissima suite di oltre diciotto minuti a offrire un’atmosfera di più ampio raggio, e si offrono tratti paesaggistici di diversa intensità messi ai poli opposti, tra accensioni fatti di scatti briosi e delicate introspezioni che diventano davvero cambiamenti netti.
Darwin (secondo album). Più famoso, questo album non è però migliore del primo come valore artistico, che entrambi sono stupendi affreschi sonori raffinati pieni di magia. Il disco con ‘L’EVOLUZIONE’, comincia mettendo all’inizio un pezzo lungo quattordici minuti, segno che si partiva dal presupposto di un pubblico pronto, preparato, dopo qualche anno di Prog, ad ascolti impegnati. Esso parte soffuso imposta subito l’ascolto in maniera elegante cercando di descrivere l’evoluzione di animali e piante, e quindi partendo da una input in sordina, come di nascita, la proliferazione diversificata delle forme di vita viene scatenata da una ritmica veloce e nervosa su cui la durezza sonora imbastisce dinamicità effervescente. ‘LA CONQUISTA DELLA POSIZIONE ERETTA’ inietta un andamento scuro, e sembra anche stavolta che lo spirito concitato della musica si debba associare ad un cambiamento, ad una progressione, in questo caso l’acquisizione di una funzione dell’animale che passa dall’essere quadrupede a bipede.
E la solita alternanza sonora di forte/piano vede il calmarsi della traccia quando la metamorfosi corporea è conclusa e l’essere umano canta della propria nuova morfologia. Questo è disco dal forte impianto concept, e la musica è perfettamente in grado di colorare il tema raccontato. Con un leggero soffio jazz unito alla musica classica, si ottiene una delicata danza nominata nel titolo ‘La danza dei grandi Rettili’ e lo strumentale blandisce il fruitore con sofisticata enfasi. Più corale l’epicità di ‘Cento mani, cento occhi’, ma sempre nella contrapposizione loro tipica della dualità tonico/dolce. Ma serve anche immettere il concetto relazionale maschio-femmina e ci pensa ‘750.000 ANNI FA…L’AMORE?’ che è forse l’episodio più facilmente fruibile senza però diventare una canzone catchy da 45 giri. La storia dell’evoluzione di questo lavoro fa cenno anche all’estinzione umana con la traccia ‘Miserere alla Storia’ e ancora una volta la composizione si fa molto urgente e poi molto pacata, come a dire guerra/fine. Per concludere arriva un sospiro folk-rock che però non si piega all’ascoltatore, perché la sua melodia, che potrebbe divenire accattivante, viene spezzata da inserti ben poco ruffiani, seppure dentro l’alveo di input più familiari anche fuori del rock.
Nell’album non sono immesse canzoni più facili come avveniva nel primo lavoro della PFM, ma questa band si rivela più efficace nelle sue sperimentazioni e nel carattere bello denso. I testi del gruppo sono maggiormente sviluppati rispetto a quelli della PFM, la differenza è che a volte nella PFM, nei pezzi meno accessibili, le parti cantate sembrano solo una scusa per integrare le sonorità, mentre nel Banco sono una essenza impregnata di autosufficienza a pari dignità con la musica. Inoltre nel Banco c’è meno posto per le note di folklore, con maggior attenzione ad una vitalità internazionale, sebbene l’italianità si noti chiaramente; ma essa è meno popolare e più lirica. Il senso rock è forte, e non mancano tanti altri elementi così da realizzare rivoli di notevole ricchezza espressiva.
Certamente la timbrica musicalissima del cantante Di Giacomo è un valore aggiunto di grande spessore rispetto alla vocalità meno personale della PFM; a volte le parole si fanno un po’ troppo didascaliche e descrittive perdendo un po’ il senso poetico, ma il suono permane fascinoso. Il Banco non ha mezze misure, estremizza sia il lato calmo che quello tonico, con maggiore decisionismo rispetto a tanti altri gruppi del tempo. Nel Banco non c’è la resa commerciale di canzoni più immediate come quelle del primo disco della PFM quali ‘Impressioni di settembre’; ‘E’ Festa’ e ‘Dove…quando’, però c’è una intensità descrittiva enormemente profonda. Per trovare una vera canzone commerciale del Banco bisognerà aspettare l’anno successivo con il terzo album ‘Io sono nato Libero’ dove c’è ‘Non mi Rompete’ divenuto nel tempo brano da leggenda. Festeggiare il cinquantennale di queste due opere è indispensabile, considerando che sono diventate non solo pietra angolare insieme quelle della PFM, del progressive italiano, ma anche di quello mondiale, dove si stima il panorama prog italico dell’epoca molto più di quanto facciamo noi stessi italiani. La stessa critica britannica ha più volte espresso l’invidia desiderando che il banco fosse inglese.
Roberto Sky Latini