B.T.O.

Bachman Turne Overdrive I Bachman Turner Overdrive II

Abbiamo tutti sicuramente in mente i gruppi inglesi degli anni settanta come creatori di un genere, e quindi l’elenco prevede in automatico che vengano in mente Led Zeppelin; Deep Purple and Black Sabbath, a cui si aggiungono, non per tutti, gli Uriah Heep. Ma dall’America nulla è giunto per cambiare la storia del rock verso quello duro? Il proto-hard aveva presentato negli USA gli Iron Butterfly (1968); i Blue Cheer (1968); gli Steppenwolf (1968) e i Mc5 (1970), ma chi è venuto a traghettare quei prototipi nell’Hard vero e proprio?

Ecco i nomi: Grand Funk Railroad (1969); Mountain (1970), eppure se paragoniamo i lavori di quest’ultimi ai dischi anni ’70 di quei gruppi inglesi, noteremo che la virata vera e propria è prettamente inglese. A buon ragione perciò i fondatori vanno considerati Led/Black/Deep. Per avere gruppi più hard bisognerà aspettare DUST (1971); B.O.C. (1972) e nel 1973 i canadesi B.T.O. appunto, da pensare come seconda ondata, in quanto ormai i britannici si erano già largamente scatenati e sviluppati. In effetti questi primi gruppi statunitensi ebbero meriti limitati in quanto a co-creare il genere, e preferirono addensare un rock già esistente, contribuendo sì al rinnovamento, ma senza stravolgerlo troppo, o presero forme meno impattanti. Insomma, in questo quadro, i B.T.O. pur avendo grande personalità e suonando freschi e moderni, non furono i fondatori di un genere. Il moniker è la somma di tre dei componenti, i due fratelli Bachman e Turner, i quali si sono comunque ritagliati un posto importante nella storia.

PRIMO ALBUM (maggio 1973). La traccia iniziale è ‘GIMME YOUR MONEY PLEASE’, dal ritmo hard rock puro, con il feeling Americano classic di stampo southern; inizia l’album con una certa pesantezza del riff corposo; ma è anche la voce a dare un calore denso che contribuisce al senso pachidermico della song. ‘HOLD BACK THE WATER’ diventa più rock che heavy, e rientra in tanta roba che era già bella che esistente in quel periodo, ma i B.T.O. riescono a dargli quell’impronta sempre piuttosto rocciosa, con i colpi di batteria e con la vocalità grossa; poi non manca la parte solista piuttosto raffinata con un gioco chitarristico d’atmosfera. Con molta peculiarità si presenta ‘BLUE COLLAR’ un bellissimo pezzo jazz-rock da brividi, che si pone in contrapposizione a tutto il resto dell’album, lasciando per un momento la solidità rock per una più rarefatta eleganza sinuosa, dove la liquida chitarra jazzata blandisce e la voce si fa più modulata e delicata; attenzione, non è una ballata, e la batteria la rende meno volitiva; in definitiva un colpo di genio compositivo che mai più si ripeterà, purtroppo, nella carriera di questa band. Uno dei brani più famosi è ‘STAYED AWAKE ALL NIGHT’ la cui essenza heavy risiede ancora una volta nell’andamento lento del ritmo che è anche ossessivo perché non inserisce mai variazioni alla ritmica di base. Quanto secondari fossero in Europa rispetto al successo in America, lo testimonia, fra gli esempi, il fatto che nel 1973 in molti non avessero capito che ‘Stayed awake alla night’ fosse una loro coverizzazione quando la pubblicarono nel 1983 i Krokus, pendando tutti che fosse una brano originale degli svizzeri. ‘DON’T GET YOURSELF IN TROUBLE’ addenta con ruvidezza l’ascoltatore, ma l’assolo ancora una volta sorprende con intelligenza, evitando i grani grossi della concezione che invece le song presentano. Questi i brani migliori, poi esistono quelli minori in cui troviamo un solo filler, cioè ‘Down and Out Man’ che è un rock’n’roll leggero, il quale non cerca velocità, fecendosi canzoncina e ispirando alcune cose di basso livello dei Kiss che verranno (i Kiss esordiscono nel 1974). Invece un buon pezzo si trova in ‘Little Gandy Dancer’ che è un altro rock’n’roll, stavolta più energico, ma l’energia elettrica che di solito ispira in dinamica questo tipo di canzoni, coi B.T.O. viene trasformato in greve andamento rallentato con solo accenni di velocizzazioni che rendono un po’ accentato l’andamento ma non troppo, un modo diverso di segnare il passo del R’n’R, fino a che nel finale la traccia non decide di partire senza più indugi. E migliore tra i tre minori ‘Thank You for the Feeling’ che è un ottimo episodio anche per chiudere un concerto.


SECONDO ALBUM (dicembre 1973).
L’album non parte deciso, con un brano minore come ‘Blow’ che appare più country che hard, sempre con una base rock, ma non molto tonica. E il disco non decolla nemmeno con ‘Welcome Home’ che alterna un ritmo sudamericano di debole easy listening ad un riffing duro poco efficace; pur cercando di apparire diversi con questo pezzo, non riescono a trovare un buon songwriting, solo i due assoli si salvano, con un finale solista però che fa inutilmente il verso alla ‘Blue Collar’ di pochi mesi prima. Poco incisivo anche il leggero rock’n’roll commerciale di ‘Stonegates’ dove come al solito comunque si salva l’assolo. ‘Tramp’ è un vero e proprio riempitivo, non avendo nulla che lo caratterizzi davvero, giusto solo per arrivare al numero di otto tracce. ‘Give it Time’ utilizza invece un bel giro distorto e possiede nell’insieme un buon feeling, e sta tra i pezzi migliori e quelli peggiori, contribuendo al lato più elettrico del lavoro. I brani di ottima fattura sono solo tre: ‘LET IT RIDE’ che riprende la grana grossa del primo album, sia per il riff che per l’ugola, tornando all’effetto corposo per un songwriting che si appoggia ad un senso aggressivo ed accentato, il quale per contrapposizione sfocia poi in un ritornello solare e felice, e al centro un gioco corale che si mescola alla chitarra e alle urla con fresca intuizione compositiva; una canzone meno antica grazie ad un riff più moderno, legato all’estetica Zeppelin. Anche la blues song ‘I DON’T HAVE TO HIDE’ solleva le sorti di un album non propriamente azzeccato; è un pezzo introspettivo con uno spirito ombroso che viene contornato da una chitarra sinuosa in grado di reggere la struttura. E si termina l’ascolto con la divertente ‘TAKIN’ CARE OF BUSINESS’, un boogie elettrico arricchito del classico pianoforte, nato per essere suonato live con tutto il movimento ballabile che può dare.

In conclusione l’esordio è meglio della seconda uscita che forse perde in mordente, cercando più orecchiabilità e proponendo meno energia. Possiamo anzi affermare che il primo è un eccellente lavoro, cosa che non si può dire del secondo. La musica dei B.T.O. è fatta di riff secchi che cadono come pezzi granulosi, di voce cavernosa e di batteria tagliata a blocchi grezzi, semplice e mai delicata. All’interno di questi irrobustimenti muscolari si delineano però ritornelli orecchiabili che ne favoriscono l’appeal commerciale. Tali sono le specificità che pongono questa band tra i gruppi hard-rock. Il loro essere duri deriva non da cambiare il rock nella forma, ma nei suoni. In questo senso sono innovatori, ma non quindi al cento per cento;  diventano quindi tra i più significativi gruppi della musica per aver contribuito a modificare almeno parzialmente il rock, alzando i toni. Questi musicisti rimangono fortemente legati alla tradizione pre-hard, con una serie di idee che si legano al rock’n’roll più datato e al boogie tradizionale, un po’ alla Status Quo, dall’altro lato però, quello più pastoso e meno scattante. Sono moderni perché arricchiscono il loro rock di suoni attuali per quel momento storico, irrobustendo la loro verve, ma non abbracciano la modernità in toto, come se i gruppi inglesi quasi non fossero passati in America. E questo sarà il loro limite rispetto per esempio ai Blue Oyster Cult. Già i compaesani Aerosmith, nati nello stesso anno, avevano uno spirito più evoluto, dove si sentono chiaramente gli afflati LedZeppeliniani che essi fecero propri. E’ possibile considerare i B.T.O. quale gruppo minore tra i gruppi maggiori, in quanto ha offerto un contributo evolutivo al rock duro che altre band non fecero, ma certamente in alcun modo paragonabile ai fondatori o a band, rimanendo in America, della stessa seconda ondata come Aerosmith; Kiss; Rush; B.O.C.; Lynyrd Skynyrd. Sono passati cinquanta anni dal loro debutto, fecero un importante successo col secondo album, e ‘Not Fragile’ del 1974 diede loro la più ampia visibilità, riuscendo a farli entrare tra i più noti gruppi hard della seconda ondata. E’ un suono che oggi sentiamo datato, ma comunque ancora piacevole e affascinante, che regge lo scheletro della storia del metal.

Roberto Sky Latini

‘I’
Side A
Gimme your Money please
Hold back the Water
Blue Collar
Little Gandy Dancer
Side B
Stayed awake all Night
Down and Out Man
Don’t get yourself in Trouble
Thank You for the Feeling

‘II’
Side A
Blow
Welcome Home
Stonegates
Let it Ride
Side B
Give it Time
Tramp
I don’t have to hide
Takin’ care of Business

Randy Bachman – vocals / guitar
Tim Bachman –  vocals / guitar
C.F. Turner – vocals / bass
Rob Bachman – drums