Alex Carpani

Microcosm

Il Prog-rock di Carpani si è andato modificando nel tempo. Quello che era agli inizi piuttosto tradizionale, anche se con input personali e di livello, è ora stato pulito da diverse “scorie” del passato. L’estetica è andata verso uno smantellamento della complessità favorendo una dialettica più essenziale.

Ma se ne ‘L’Orizzonte degli Eventi’ di due anni fa questa essenzialità era diretta a valorizzare il cantato in italiano, in questo nuovo lavoro più che di essenzialità va sottolineato un uso degli strumenti, per quanto ricco, che non si allontana mai dal significato formale dell’essenza del brano. Il virtuosismo con digressioni non c’è, è un tecnicismo che rimane a stretto contatto con la concezione dell’idea compositiva. In questo senso la trasformazione è divenuta più attuale, moderna. Dal punto di vista tematico il microcosmo del titolo descrive l’essenza umana nelle sue realtà quotidiane; brani mai lunghissimi per dipingere sprazzi di idee ed emozioni che dipingono la persona nel suo essere e nel suo percepire.

‘KISS AND FLY’ è un pezzo in cui la ritmica prende possesso del feeling, il basso sotto e la voce sopra, fluidificano la song, ma vi sono tanti risvolti sia nella linea vocale che nell’arrangiamento piuttosto elettrico, che sono in grado di addensare l’andamento, e tutte le parti si fanno necessarie, non diventano mai troppo invadenti. La vocalità del cantante degli Yes è riconoscibilissima e valorizza la propria esecuzione con la classe di chi ha capito il pezzo. E’ come rendere moderne Le Orme e la PFM di cinquant’anni fa; ricostruendo tutto in modo attuale. ‘THE MOUNTAIN OF SALT’ è un ruscellante 4/4 lineare che nelle piccole pause si abbellisce di passaggi eleganti e delicati come, per esempio, quelli del sassofono.  ‘WE CAN’T GO HOME TONIGHT’ è una splendida ballata, lontana da ogni idea di sdolcinatura; è il drumming a tenerla ancorata alla tonicità, inoltre la sua algida verve è una susseguirsi di ondulazioni acquatiche che il sassofono ad un certo punto elettrizza.

Brano sereno e pacificante è ‘FOOTPRINTS IN THE HEART’, forse il pezzo più vicino al tradizionalismo prog, con tanti istanti in cui si potrebbe citare il tale o tal altro gruppo (per esempio Sting nel cantato). La strumentale ‘Prime Numbers’ tende invece ad avvicinarsi al tipico brano d’assoli, anche se la ricchezza della costruzione raccoglie il senso descrittivo della forma canzone, mantenendo la materia dentro un alveo significante, non dispersivo. Lo stesso si può dire di ‘WHAT ONCE WAS’ dove sembra che l’artista abbia voluto sfogarsi alla vecchia maniera, in un pezzo assolutamente elettrico. Se si vuole mescolare un po’ di pop d’elite con il prog, ‘THE OUTER WORLD’ lo fa magnificamente espandendosi in un sound accattivante pieno di punteggiature ammalianti. Un tocco di jazz, una spalmata di fusion, qualche piccolo accenno vintage, ma di base musica rock che non vuole però arrembare quanto cullare e sedurre. Ogni fine-brano lascia un senso di rarefazione, qualsiasi tipo di concretezza abbia elicitato durante il suo dipanarsi,  il carattere della traccia.

La verve tastieristica dell’autore, in effetti sua principale arma musicale, sceglie spesso il suono del pianoforte, ma l’essenza del disco sta nello splendere in ogni comparto mescolando continuamente le sonorità. L’estrema morbidezza della voce si lega alle dinamiche più frizzanti delle componenti strumentali, il virtuosismo si nasconde nelle atmosfere, cercando di eliminare le canoniche scale che di solito dominano certi ipervirtuosismi. E’ virtuosismo che talvolta si nasconde tra le pieghe della canzone, altre volte si esplicita più chiaramente, ma il lavoro ne è sempre pieno; esso va però spiato, accolto, filtrato al setaccio percettivo perché non straborda mai. Spesso, pur essendo ben riconoscibile, il virtuosismo gioca su un secondo piano rispetto alla linea melodica, alla quale però dona un substrato estremamente necessario.

Quello che si nota è che tanti frammenti decorativi non vengono ripetuti ma alternati dinamicamente senza essere mai uguali a se stessi nel songwriting, che sia la chitarra o il sax, o certi elementi tastieristici, e la visione d’insieme non viene mai persa da questi inserti variegati. Concentrandosi e provando a distaccarsi dalla voce, si subisce quasi più fascino da tali escursioni strumentali che dalla vocalità, comunque suadentemente matura. Non possiamo dire che la scuola classica non permei tale opera, in ogni caso siamo di fronte a una strada piuttosto personale. Si ha l’impressione che tutto sia stato guidato con precisa determinazione, e i tanti musicisti hanno una presenza netta ma interconnessa col tutto. Disco difficile da descrivere nel suo dipanarsi molto raffinato; le canzoni sono fruibilmente dirette, immediate, e al tempo stesso non lo sono. L’assenza di ritornelli commerciali ne fanno un lavoro che rifugge le banalità. Il fatto che sia molto orecchiabile non ha inciso sulla pregnanza artistica per un artista che lavora di cesello e di tecnica ma senza perdere nulla dal punto di vista emozionale.

Roberto Sky Latini

 

Indipendent Artist Records
www.alexcarpani.com

Starless
Kiss and fly
God bless Amerika
The Mountain of Salt
We can’t go Home tonight
Footprints in the Heart
Prime Numbers
What once was
When the Tears fall down
The outer World
Redemption
Microcosm

Alex Carpani – lead and backing vocals, synths, mellotron, synth bass, drum loops & electronics
David Jackson – sax and flute
Theo Travis – sax
David Cross – violin
Jon Davison – vocals on ‘Kiss And Fly’
Bruno Farinelli – drums
Andrea Torresani – bass
Davide Rinaldi – guitar
Emiliano Fantuzzi – guitar on ‘Starless’