Adna

Black Water

Cantante tra quelle che cantano soffusamente, ormai un genere molto diffuso soprattutto nelle artiste di sesso femminile, Adna (cognome Kadic) non ha costruito un disco molle, ma anzi c’è carattere e determinazione, sebbene i suoni e le linee sonore siano per lo più adagiate su onde soffici.

Qui c’è uno stile pop che non disdegna l’etnico-folk. Lei è svedese, ma le origini sono bosniache, e ciò però non sempre emerge dalle song che segue scie già ben collaudate da altri musicisti scandinavi e americani, sebbene qui la personalità abbia dato un tocco forte all’interpretazione del genere. Non c’è un vero e proprio minimalismo, perché alcuni brani non appaiono disadorni, e tutto quanto è ben curato nell’arrangiamento.

La prima traccia ‘KAD PROCVATU BEHARI, di appena due minuti, immerge l’ascoltatore subito nella rarefazione più estrema, con la dolcezza di un canto in lingua della Bosnia, ma nello stesso tempo si respira il carattere forte dell’artista che usa una vocalità enfatica. Il brano più commerciale è ‘BLACK WATER’ ma evita accuratamente la banalità pop, anch’esso soffice e sognante, è però ritmato e diventa più tradizionalmente mainstream, pure permane quel senso di delicata e sostanziosa pregnanza che ne fa il brano più bello del lotto. La chiarezza sonora di ‘BLOOM’ è una luce con una parziale parvenza di gioia sonora, quella gioia che si permea di consapevolezza della vita diventando serenità; essa vira decisamente in modo molto pop, senza però la banalità del genere, con una calma allegra.

La morbidezza di ‘DARKNESS BORN IN YOUTH’ può accostarsi a ‘COLOR’ che è un altro momento imperniato sulla sofficità; la prima guidata dalla chitarra acustica mentre la seconda dai tasti del piano, e mentre nella prima si pongono i cori  come un eco lontano, questo compito nella seconda lo fa la chitarra inserendosi con timidezza nella trama, il tutto elicitando un senso nostalgico e dolce. E mentre in ‘Darkness…’ alla fine si sente il rumore delle dita che lasciano la chitarra, in ‘Color’ sembra fatto apposta quello di lasciare che si sentano i rumori meccanici del pianoforte; come se le composizioni debbano vivere di realismo che l’estetica troppo poetica tende a interiorizzare. ‘Don’t know’ è tra le song non rarefatte, scegliendo una densità granulosa, mantenendo però una certa algia di fondo. Certo, a volte non si naviga in modo originale, perché pezzi come ‘You are’ posseggono caratteristiche che sembra aver già sentito (e non avviene soltanto in questa canzone).

Il senso intimista porta sia una parvenza di pacata tristezza, quanto però imprime una forza espressiva non passiva o sdolcinata. C’è una elegia narrativa che entra nella percezione fruitoria in profondità. Insomma non tutti i brani sono rarefatti, anzi c’è una solidità che li rende, benché morbidi, afferrabili. Grande bravura nell’uso tecnico dell’ugola, ricordando in certe afonie e falsetti l’iconica Sinead O’ Connor. Album che sa offrire bellezza emotiva e stilistica, regalando buona musica e anche un fascino suadente. Non ci sono guizzi eclettici (non c’è nulla di sperimentale), ma è uno scorrevole film di immagini avvolgenti. Un quarto album dal 2014 (più un ep nel 2012), che la rende personaggio ben presente ormai nel panorama musicale odierno, confermandosi all’altezza delle aspettative in un quadro di maturità compositiva che oggi non può essere messa in discussione.

Roberto Sky Latini

Kad Procvatu Behari
Black water
Darkness born in Youth
Don’t know
You are
November
Bloom
Color
Elsewhere
This, now, here