A.C.T.
Heatwave
La musica che ronza è fastidiosa, ma se l’ ‘Intro’ è un po’ asettico, e anche settico visto il moscone svolazzante registrato, il resto del disco è tutto fuorchè fastidioso. C’è freschezza, solarità e divertente frizzantezza.
Che disco è un disco che sembra catchy ma non lo è perché la pregnanza è elevata? I suoni sono attrattivi, le melodie gustose e arricchenti, ogni strumento crea bellezza. Il suo essere accattivante non ha nulla della superficialità commerciale.Il pezzo successivo all’intro, la ruscellante ‘CHECKED OUT’, apre ad un ché di sbarazzino iniziale, che poi invece trasborda in una parte solista molto seriosa e variegata, piena di virtuosismo strumentale, nella migliore tradizione Prog dando l’impressione che la band si lasci andare in spontaneità, ma senza perdersi stilisticamente e senza divenire un ghirigoro fine a se stesso.
E dopo una composizione di alto valore sembra impossibile fare meglio, e invece ecco una stupenda ‘BROTHER’ che apporta anche un pathos emotivo con una ampiezza caratteriale gestita con tanta sensibilità, sia strutturalmente che tramite la linea melodica, da riuscire anche a regalare un brivido; l’episodio migliore del lotto. La traccia ‘Dark Clouds’ porta in lidi più introspettivi, un po’ alla Marillion, con un leggero soffio orecchiabilmente commerciale, ma rimanendo padroni della materia e gestendo la song con accurata gentilezza; proprio l’orecchiabilità e l’introspezione insieme sono il bilanciamento che permette alla canzone di mantenere l’efficace respiro espressivo. Fa sorridere di piacere la title-track ‘Heatwave’ che gioca con la vocalità mainstream ma dentro un eclettico lavoro di sezioni che ricordano le modalità costruttive dei Queen. Più classica, ma non banale, l’avvolgente pezzo finale ‘The Brekup’ che però non raggiunge la bellezza delle cose ascoltate prima; ad ogni modo aggiunge tonicità cadenzata all’album e lo conclude in un finale in crescendo, esuberante ma anche emozionale. Sarebbero solo cinque le canzoni, ma invece c’è la bella bonus live ‘The Ruler of the World’, che non è un filler ma ricalca il senso vintage tradizionale del Prog, anche se in una maniera personale, testimoniando al tempo stesso l’abilità strumentistica e di performance del gruppo.
La band sa apparire leggiadra, ma con una pienezza tale da colpire in profondità. E’ musica di sostanza, con una deliberata libertà espressiva, offrendo apparentemente una fluida naturalezza. E’ un progressive-rock con una estetica accattivante, che usa linguaggi conosciuti ma elaborati con arguzia e uno spirito estroverso oltre che personalissimo. Ottime idee di scrittura e abilità nel suscitare suggestioni, facendo talvolta scorrere un fremito d’allegria, altre volte inserendo un filo di malinconia. Tecnicismi sempre al servizio dei contenuti, considerando che la band è in grado di avvolgere l’ascoltatore. Non si avvertono stacchi stilistici controproducenti pur essendo ogni canzone davvero diversa dalle altre; in effetti si elicita una pluralità sonora piuttosto dinamica. Sembrano inoltre maestri dell’equilibrismo espressivo sempre al limite del rischio di banalizzarsi, e questa loro abilità evita che cadano in trappole sempre in agguato a causa di una scelta artistica vicina alla ruffianeria. Invece giocano leggiadri apparentemente spontanei, usando una intelligenza fuori dal comune.
Roberto Sky Latini
Autoproduzione
www.actworld.se
Intro
Checked Out
Brother
Dark Clouds
Heatwave
The Breakup
Herman Saming – lead and backing vocals
Jerry Sahlin – lead and backing vocals / synthesizers / vocoder
Ola Andersson – lead and backing vocals / guitars
Peter Asp – bass
Thomas Lejon – drums