KK’s Priest
Sermons of the Sinner
Dopo aver letto l’autobiografia e alcune sue ultime interviste, abbiamo capito la vena polemica che fa parte da sempre del suo carattere. A ragione o a torto le cose con la band madre, i Judas, non sono andate sempre lisce.
K.K.Dawning, fondatore dei mitici creatori dell’Heavy, è stato fondamentale nella storia di quel gruppo, e a poco serve rivangare in una storia che ha dato meraviglie abbaglianti. E quindi ancor meno serve fare un disco per dimostrare qualcosa ai suoi vecchi amici/nemici e a noi metallari. Tanto più che il risultato non è stato eccellente. Si tratta di heavy metal puro che si rifà al suo stile judaspriestiano e ciò è positivo, ma il songwriting in molti casi è troppo scontato.
Già all’inizio con ‘Hellfire Thunderbolt’ non ci siamo, la strofa parte subito facendoci venire in mente il brano ‘I can’t get enough’ degli Scorpions (1979), con un vero e proprio plagio; in realtà tutto il pezzo non decolla mai davvero, sembra così già sentito. ‘SACERDOTE Y DIABLO’ è una delle cose migliori dell’album; riffing lineare ma spirito evocativo con una certa epicità, dentro un alveo duro tipico del metallo base forgiato dalla cultura anni ottanta e anche l’assolo risulta uno dei meglio costruiti, “nitriti” compresi. Non male la più cadenzata e aperta ‘RAISE YOUR FISTS’, dove, anche se il cantato è leggermente sfiatato, si offre una gustosa e divertente linea vocale con un incedere frizzante. Si fa coppia con ‘Brothers on the Road’ che ha lo stesso tono allegro, qui da inno heavy, anche se ci sono più elementi poco originali; la chitarra iniziale sembra suonare alla Guns & Roses. Altro momento di buona fattura, dallo spirito rockeggiante, metal compatto che si fa tonico, è l’energico ‘HAIL FOR THE PRIEST’. La title-track ‘Sermons of the Sinner’ ha un buon appeal power, ma è anch’essa un po’ stantìa, vicino a sensazioni deja-vù. Due episodi, minisuite, vogliono spingersi su trame maggiormente atmosferiche. Una è ‘Metal through and through’ che cerca una certa variabilità compositiva come i middle-time classici del genere anche se sembra che siano più Iron Maiden che Judas, così calandosi nell’essenza NWOBHM che anche Dawning ha contribuito a creare. L’altra è nettamente meglio concepita: ‘RETURN OF THE SENTINEL’ funziona molto di più semplicemente perché è migliore il suo songwriting e ne guadagna anche il pathos. E che si può dire della chiara ovvietà di una ‘Wild and Free’ che così presentandosi diventa traccia inutile?
La cattiveria c’è, molto impattante, anche con diverse cose stilistiche interessanti, ma l’insieme non ha un valore elevato. Riff spesso non così freschi, e soprattutto gli assoli di KK non hanno un costrutto evolutivo pregnante, spesso si tratta solo di tecnicismi a rincorsa o scale shredd poco significative; diciamo che se ne legge una certa povertà ideativa nonostante la bravura esecutiva ineccepibile. Anche le linee melodiche cantate non riescono ad essere sempre convincenti; abbiamo un bel timbro ma anche dal punto di vista della bravura esecutiva ci sono delle flessioni troppe volte non tecnicamente all’altezza delle aspettative (sembra non farcela più rispetto al passato). Il singer, ex-Judas, non copia pedissequamente Halford, e questo è un bene, però non sembra avere la stessa capacità di capire come porsi; come impostazione compositiva è assente l’intelligenza artistica di Halford, vivendo l’album come i gruppi minori che si rifanno ai Judas. Lo strumentista più bravo dal punto di vista dell’essenza sonora sembra essere il bassista che non si limita solo ad un mero fluire ritmico, intessendo invece talvolta linee dense ed elaborate. In generale il disco insieme a buoni spunti presenta troppe ingenuità, come se non ce se rendesse conto; manca anche quel mestiere capace di fluidificare la musica, a volte addirittura c’è una se sanzione di fastidio in alcuni passaggi. La delusione è netta, anche perché si trovano gruppi judaspriestiani parecchio più ficcanti e personali, nonostante si rifacciano ai grandi. L’ascolto appare comunque sufficientemente godibile. Si tratta di un disco che anche nei titoli delle tracce vuole far riferimento ai Priest, ma voler insistere su questo messaggio, una volta ascoltato il tutto, diventa controproducente e aumenta l’inferiorità valoriale che ha questa opera nei confronti della immensa bellezza dei Judas.
Roberto Sky Latini