Vanexa

The last in Black

Uno mette su un disco e rimane a bocca aperta (e le orecchie ancor più aperte). Come si fa ancora a trovare gemme così preziose in un mondo tanto affollato di uscite discografiche?

Non è questione di virtuosismo, che pure c’è, né di belle trovate singole, che pure ci sono, né per il genere suonato, che pure è tra quelli più tradizionali e accattivanti, ma proprio per la modalità sensibile di gestire le varie parti e l’arrangiamento, sopra però una caratteristica che è fondamentale: l’idea compositiva. Le canzoni ci sono! E’ un songwriting che convince, ma non convince solo di testa, convince perché smuove un godimento profondo, sono brani che tirano fuori dall’ascoltatore un “Oooh” di meraviglia.

L’inizio affidato alla title-track ‘The Last in Black’, col riff alla Ac/dc, è già un buon brano e riesce a smuovere i muscoli dell’ascoltatore, facendosi immergere nella classicità dell’Hard Rock (gli Ac/Dc però ci sono solo nel riff) imparentato col blues, così come si sentirà anche in altre tracce. Ma non è nulla in confronto alla bellezza che emergerà con le canzoni successive, in una track-list davvero straordinaria dal punto di vista dell’ispirazione. Il pezzo migliore è sicuramente ‘MY GRAVE’ che coniuga perfettamente heavy anni ottanta con la verve dei Deep Purple di ‘Highway Star’ e ‘Fireball’ (sentire per esempio riffica e ritmica); e funziona in modo ficcante sia per la struttura, per le strofe, per il ritornello arioso e l’assolo vibrante, oltre che per un arrangiamento ineccepibile. Giusto farne il video. Stupenda la freschezza di ‘NO SALVATION’, davvero canzone dorata di gioventù, di quell’adolescenza a cavallo tra settanta e ottanta, con un feeling blues alla Riot e la stessa voce chiara alla Guy Speranza, che colora al meglio questo brano di rock e dove la cavalcata solista, immersa nella classicità più valoriale, si dipana facendo venire brividi di goduria.

Assimilabile per anima c’è la corale ‘DR.STRANGE’, adattissima ad una effervescenza live da condividere col pubblico, che in qualche modo, in senso non totale, si rifà agli Iron Maiden; una bellissima escrescenza solare che fa sorridere dal piacere. ‘LIKE A MIRAGE’ è una liquida scorrevolezza piena però di feeling elettrico grazie alla chitarra giocosa, e piena di raffinatezza grazie ad un cantato in grado modularsi ad arte sia in modo soffuso che alzandosi in acuti. Una forza orientale si esercita con la prog-song “ARMLESS” di cui è azzeccato l’andamento incombente, il cantato suadente e la parte strumentale iniziale (quasi un intro) e finale, piene di variabili; dentro si trova anche una certa epicità alla Rainbow. Come dico spesso, le ballate possono essere una trappola, farle seriosamente qualitative è difficile; ebbene qui la qualità c’è ed è in linea con la bravura dimostrata in tutto il disco.

Si tratta di ‘PERFECT!’, cantata con voce sottile, soffice e molto pacata, ma piena di emozionale scorrevolezza, ricordando un po’ certe dolcezze della PFM, e soprattutto segue una linea melodica che evita banalità ed ha una suo soave peso specifico, alzandosi poi in una più tonica espressività che la completa. Nessun filler perché i brani sono tutti efficaci, e preferirne alcuni piuttosto che altri diventa solo un gioco di gusti. I rimandi ad altre band per somiglianze e stilistica sono solo accostamenti di maniera che non inficiano la personalità e i guizzi compositivi di alcuna delle song. Se ‘Earthquake’ ha una cadenza vocale iniziale che fa venire in mente i Whitesnake di Coverdale, la parte strumentale è ben altro e si inerpica per una parte solistica molto pregnante e progressive. C’è poi una deflagrazione Power più dura, con una ‘Hiroshima’ che si sviluppa in modo essenziale, tutta incentrata all’attacco frontale e per questo non bisognosa di altri elementi estetici se non il muro compatto della propria esuberanza (un rifframa dove un pezzetto, nell’attimo di strofa prima del ritornello, ricorda gli Skiantos di ‘Eptadone’). Potrei segnalare come brano minore ‘I don’t care’ per una certa sensazione di canonicità, ma siccome mi piace anch’esso, decidete voi se lo sia.

Non si lesina classe ed eleganza, tra un metal più dinamico ed una attitudine prog ben testata ma non eccessiva; questo combo italico, storicamente pietra miliare della nostra metallicità tricolore pur con pochi lavori, affonda il coltello con decisione e maestria nelle nostre orecchie. Geniali in diversi passaggi, notevolmente incisivi quando si tratta di sorprendere, questi musicisti suonano come se ne valesse della loro vita, mettendoci tutto l’impegno ideativo che si poteva pretendere. Ci sono alcune particolarità sonore già conosciute nel panorama musicale, ma sono flash che fanno bene alla canzone eseguita senza diminuirne la preziosità. Le chitarre sono vere asce da combattimento o carezze gentili, che sanno colpire quanto anche blandire. La sezione ritmica è perfetta nella sua visione strutturale di base. Io a Certaldo c’ero (i Vanexa erano lì), ma qui non ci sono nostalgie, c’è attualissima densità saporosa. Per tale opera d’arte servirebbe una vera visibilità commerciale. Si tratta di una delle cose più belle di quest’anno. 

Roberto Sky Latini

Black Widow Records
www.vanexa.org/hm

The Last In Black
My Grave
Earthquake
No Salvation
Perfect!
Armless
Dr. Strange
Dead Man Walking
Like A Mirage
I Don’t Care
Hiroshima

Andrea “Ranfa” Ranfagni – vocals
Pier Gonella – guitars
Artan Selishta – guitars
Sergio “Dr. Schafausen” Pagnacco – bass
Silvano Bottari – drums