Marko Hietala
Roses from the Deep
Il cantante bassista dei Nightwish, una volta lasciata la band compose un album solista, ‘Pyre of the Black Heart’ (2020), la cui pregnanza fu ineccepibile grazie a qualità, ispirazione e dinamismo. Poi arrivò un suo periodo umano di sconforto emotivo. Ma nonostante il tempo psicologicamente pessimista da lui vissuto ultimamente, non si percepisce passività, al contrario si sente l’anima di un musicista niente affatto domo. E questo lavoro si assesta più o meno sullo stesso livello alto dell’altro. E’ un’opera particolarmente interessante, ricco di spunti e di sviluppi. Anche sorprendente in alcuni suoi passaggi, e quindi molto migliore di quello dei Nightwish del 2024 senza di lui (‘Yesterwynde’), in quanto quest’ultimo non ha voluto inserire nulla di innovativo oltre a possedere alcune song sottotono a tratti scontate. Vero è che lo stile seguito tocca solo occasionalmente le caratteristiche della band di Holopainen. Qui comunque anche i brani minori diventano intriganti ed accattivanti, illuminati di personalità. E’ un disco colorato, non banale.Subito il pezzo d’apertura ‘FRANKEISTEN’S WIFE’ rende merito alla bella capacità del nostro di costruire canzoni dal piglio arioso ma punteggiato di accenti tonici; è un brano quasi narrativo alla maniera di Meat Loaf o teatrale alla Alice Cooper.
La chitarra scura del rifframa instilla nel middle-time di ‘PROUD WHORE’ una pesantezza hard and heavy modernista che in associazione ad un cantato evocativo la rende quasi epica. Nella personalissima ‘THE DEVIL YOU KNOW’ si libera ancora una volta una certa vibrazione alla Meat Loaf, ma anche una escrescenza folkeggiante eclettica che non viene eseguita in maniera pedante ma invece piuttosto nervosa ed ironica. Il già ben costrutto viene superato nella media dalla splendida ‘DRAGON MUST DIE’ che si pone virile nella sua possanza, e facendosi un po’ prog, un po’ folk, esso usa ruvidità e maestosità in alternanza efficacissima giocando molto con rivoli strumentali diversificati; molto ganza la crudezza riffica inserita in due piccoli punti della song (da 2’53”). Altrettanto gustosa la title-track ‘ROSES FROM THE DEEP’, ma con una estetica differente, diventando più introspettiva all’inizio e poi non-hard, volgendosi al prog-rock stile Kansas o Styx e anche leggermente Crosby/Still/Nash & Young; questa caratteristica le fa vivere un epilogo maestoso, di quelli costruiti apposta per i gran finali appassionati. Buona traccia la ballata ‘Left on Mars’, peccato che Tarja duettando sia intervenuta però in un pezzo così, meno incisivo degli altri. Fa sorridere ‘Rebel of the North’ perchè suona come una canzone dei Deep Purple odierni, sia nella tipologia sia nelle tastiere soliste, ma ancor più curiosamente nel modo di cantare. Per una velocità un po’ più sostenuta arriva ‘Tammikuu’, in lingua finnica, che non è un pezzo heavy, ma sa farsi energetica nella sua essenza class-rock, semi AoR.
La base riffica della chitarra distorta appare più volte in modo deciso ed elettrico, ed ogni percorso non viene lasciato mai tutto alla melodia vocale. Gli assoli sono spesso piuttosto acidi e taglienti senza dimenticarsi mai di voler esprimere uno spirito rock. In effetti la chitarra occupa un posto centrale nella scrittura dell’album. Come spesso in passato, il timbro vocale in alcuni momenti ricorda Anderson dei Jethro Tull, forse qui meno che nel disco precedente. Di certo l’ugola di Marko continua ad essere piena di suggestive interpretazioni, ma il valore dell’artista si esplica in tutte le sfaccettature della sua vena creativa, non solo tramite le corde vocali. Questo disco è arrangiato molto bene ed è suonato ancora meglio, avendo di base proprio il songwriting come risultato elevato. Si respira Arte senza troppi cervellotici ghirigori, ma senza nemmeno abbassarsi alle scontate semplificazioni. Si riesce ad elaborare un carattere musicale spigoloso pur permanendo una bellezza suadente che fuoriesce melodicamente da certi spazi più aspri. Anche utilizzando sonorità antiche anni settanta si ascoltano passaggi moderni, tutto ottenendo una contemporaneità netta. Marko dà l’idea di essere un puro, un rocker genuino, ma non relegato in schemi uguali a se stessi, e non per forza duro a tutti i costi, pure la vena rocciosa emerge poderosa. Credevamo di aver perso un genio date le sue parole sulla inutilità del continuare a suonare, ed invece egli ci ha di nuovo sopraffatto con vitalità intelligente.
Roberto Sky Latini