Redemption
I am the Storm
Siamo al cospetto di un gruppo che fa del Prog davvero metal, nonostante ci sia anche una radice di progressive non metal. Le chitarre sono preponderanti, ma le tastiere ficcano inserti davvero tonici, oltre ad affiancare l’arrangiamento con gustosa pregnanza. Una realtà americana composta da ex-Fates Warning e Primary dal notevole spessore espressivo, che realizza in questo suo ottavo capitolo una avventura quasi perfetta.
La prima traccia ‘I AM THE STORM’ è una epica scorreria che vale sia nella sua linea melodica intrigante che nelle evoluzioni soliste; una partenza ottima, in grado di predisporti favorevolmente. La composizione ‘REMEMBER THE DAWN’ ha qualcosa dei Rush, di certo s’insinua pressante nell’ascoltatore, sorretta da una batteria ricca e sostanziale. La sognante ‘THE EMOTIONAL DEPICTION OF LIGHT’, falsa ballata, è ben legata al cantato, data l’assenza di digressioni soliste, ma la strumentazione sonora è un tonico muro in crescendo per emozionalità, densa e sentita, grandemente accattivante, con l’aggiunta di parti d’assolo più classicamente prog-rock. La più “cattiva” facciata metal si ha con ‘RESILIENCE’, che incombe dura in senso prettamente Heavy. La suite di oltre quattordici minuti ‘ACTION AT THE DISTANCE’ è l’unica che viene troppo diluita nel suo dipanarsi; la sua forza è spezzata da un centrale segmento di sinfonia classica (al settimo minuto e 54 secondi), piacevole ma non essenziale, dove la parte antecedente è maggiormente centrata, arrivando subito alla sua essenza concettuale, anzi potremmo dire, che pur saporosa, la seconda sezione, di stampo Power, è una eccedenza non necessaria. Più breve ma parimenti interessante l’altra suite ‘ALL THIS TIME’ che tratta momenti soffici e momenti più hard in un unicum espressivo fatto di tanti segmenti ma tutti ben integrati. Fra i brani minori ma non filler, troviamo ‘Seven Minute from Sunset’ che invece ricorda come carattere gli italici Labyrinth; se in questo caso la linea melodica non è entusiasmante, le parti riffica e solista posseggono molta energia. Tra le due cover quella meglio riuscita è l’evocativa ‘Red Rain’ (Peter Gabriel), che rispetto a ‘Turn it on again’ (Genesis) appare gestita con più eleganza nell’arrangiamento, ma forse anche perché tra le originali è la canzone più bella.
Come già detto il metal si sente eccome, e in questa accezione gli strumenti sono debordanti. La voce non sempre è espressiva come converrebbe; ma altre volte è inserita con equilibrata significatività. Troviamo sicuramente i virtuosismi che ricordano i Dream Theater, ma tanti passaggi, soprattutto melodici, fanno venire in mente i Genesis. Il corposo drumming, importantissimo nella concezione compositiva del gruppo, risulta potente nel realizzare una tenacia tale da dinamizzare con maestria le strutture. Gli assoli sono una grande eccitazione sonora e si fanno lucenti, pieni di elettrica luminosità, mai ridondanti, mai riempitivi, anche se lunghi nel minutaggio. E’ una band per chi adora l’arte del virtuosismo costruttivo con l’aggiunta di anima e passione, sentimenti che danno un senso ai brani e mai freddamente costruendo intrecci fini a se stessi. E’ un disco bello proprio per la sua capacità di inventarsi ampie melodie e insieme ampie parti d’assolo, dentro forme canoniche ma sempre funzionanti quando splendono in così alta qualità ideativa. L’arrivo di un assolo qui è sempre una gagliardìa da salutare con apprezzamento. Possiamo considerarlo un disco di stampo classico, che è però gestito con valoriale spirito descrittivo e felice ispirazione, arrivando così a presentarci un risultato fatto di ariosa incisività. Tecnica ed intelligenza fuoriescono da un cuore grondante espressività.
Roberto Sky Latini