Lunar
The Illusionist
Gli statunitensi in questione suonano quel prog-eclettico contemporaneo, che esprime classe ed ispirazione tramite una spinta virtuosamente ipertecnica, così come fanno i conterranei Protest the Hero o i norvegesi Leprous. Le loro fibre sonore modellano atmosfere calde e fredde schizzando l’insieme di parti emotive ma anche di destrezza estrema. Escono con questo meraviglioso quarto capitolo e non hanno alcun timore di creare suggestioni diversificate così come dovrebbe in effetti saper fare un combo prog maturo quale esso è. Molti sono gli ospiti collaboranti. Ma questo è il primo disco senza il chitarrista Ryan Erwin ormai scomparso.
La strumentale ‘PRESTIDIGITATION’ presenta subito, ad inizio album, lo scoppiettìo ritmico che la band spesso possiede, associandolo strettamente al virtuosismo strumentale che appare spontaneo in tali musicisti; ma nel mezzo pongono una sezione di musica classica che non sembra affatto fuori luogo, come a testimoniare la loro capacità di costruzione compositiva. Il pezzo più bello, e anche il più lungo, si espande in una suite di oltre dieci minuti con la titlr-track ‘THE ILLUSIONIST’ che si dipana tra morbidezza e punteggiature di durezza, evolvendo con sinuosa malìa dal metal al sound jazz di malinconica essenza, in cui sono il pianoforte e poi il sax, a fare la loro dolce riverenza, passando per un blasting ossessivo che si contrappone alternativamente con eleganza alla melodia soffice; è un momento evocativo oltre che eccitante. Altro pezzo di valore è l’energico Power-Metal ‘SHOWTIME’, tradizionale ma fresco e attraente, senza digressioni progressive di alcun genere, nato per essere un pezzo d’assalto, elettrico ed efficace come una qualsiasi band di genere, solo che realizzato con la raffinatezza di un gruppo che sa il fatto suo. Fascino gustoso nell’orientaleggiante ‘WORSHIP THE SUN’, che avvolge e irretisce; con una modalità del suono e del cantato che ricorda alcune scene sonore di ‘Jesus Christ Superstar’, sebbene in salsa più moderna, avvicinandosi agli israeliani Orphanend Land. Idee particolarmente originali si trovano, per esempio, nella liquida ‘Disassembled’, dove comunque possiamo trovare affinità con i Leprous, o nell’ossessiva ‘Juggling Chainsaw’ che ha alcune cose dei Pain of Salvation. Particolare per l’enfasi prodotta, l’idea di chiudere l’album con la ballata ‘FOR MY NEXT TRICK’ dalla morbida sei-corde, come preambolo alla mezza ballata ‘Now You See Me’, in qualche modo anche epica sul finale; entrambe seducenti.
Al primo ascolto sembra una opera più difficile di quello che è in realtà. Il songwriting è dinamico ma mai troppo complesso. Sicuramente troviamo varie e diverse tipologie di musica, da divagazioni sinfonico-classiche al jazz, dal Power ad elucubrazioni più tipicamente Prog; ma il tutto è ben lontano dall’essere caotico o troppo infarcito, anzi, talvolta si trovano sezioni asciutte in cui le melodie o gli assoli trovano una chiara connotazione espressiva, piuttosto lineari in se stesse. Un ottimo lavoro che non perde mai il filo del discorso, anche in riferimento al concept che vuole raccontare (storia di un prestigiatore illusionista che vive le proprie emozioni contrastanti). La voce limpida non è virtuosa come lo sono le performance degli strumenti, ma è assolutamente adeguata al songwriting e dona quella luminosità che pervade gran parte dell’ascolto, pur trovando tematiche che descrivono sentimenti di vario tipo, compresi quelli negativi. Il growl si pone invece a rafforzare certi passaggi, senza mai esagerare, così rendendo tonicamente efficaci i propri rigurgiti. Le chitarre formano tante atmosfere diverse, quando potenti quando delicate. Si possono sentire echi alla Dream Theater anche perché i Lunar non infrangono alcuna regola, ma in realtà ci sono differenze sostanziali nell’impostazione, e comunque le composizioni creano qui un insieme che supera qualitativamente le ultime uscite discografiche dei Dream. E’ un lavoro pregnante e al contempo fluido, il cui piacere dell’ascolto fa pensare criticamente come ci si possa accontentare della musica mainstream invece spesso tanto vuota.
Roberto Sky Latini