The Hu
Ramble of Thunder
Vaste distese, un mondo per certi versi ancora misterioso e lontano per noi occidentali. Dalla Mongolia arriva un album interessante che suona etnico, non particolarmente heavy, però con tanta struttura metal al suo interno. E’ una band ormai conosciuta e famosa; osannata in patria ma apprezzata anche all’estero. Non tutti i pezzi fanno viaggiare con la mente, ma quelli che ci riescono posseggono malìa emotiva, impossessandosi dell’ascoltatore.L’apripista ‘This is Mongol’ ha una cadenza metallica, e rende subito chiaro che il senso geografico è ben integrato con il rock occidentale. Ma è la seconda traccia a diventare molto più intrigante, con una ‘YUT HOVENDE’ molto blueseggiante, piena di intrecci sonori esuberanti sia degli strumenti che delle impostazioni vocali, addensando con forza virile tutto il tessuto intrecciato. Frizzante e divertente ‘TEACH ME’ che sembra inglese non solo in quanto ritmicamente un boogie, ma anche in senso folk, sembrando familiare anche alle nostre orecchie dell’ovest. ‘SELL THE WORLD’ è un brano scuro cadenzato che appare come brano marziale, avanzando a passo pesante. Con i due pezzi finali e anche più eccitanti, si conclude l’ascolto.
La compattezza metallica della penultima ‘SHIHI HUTU’ realizza una delle cose migliori di questo album, perché dentro una certa oscurità etnica, l’evocatività dell’atmosfera magica emerge prepotente grazie ad un arrangiamento moderno ottenuto con abile scioltezza e fluidità; e qui il violino incorona con spirito accentato una song davvero ispirata artisticamente. Anche l’ultima splendida ‘TATAR WARRIOR’, dedicata al popolo dei Tartari, preme sul calore della durezza, e la sua virilità quasi doom risulta più avvolgente che mai. Esistono brani meno compatti e duri che mancano di mordente, come avviene nella luminosa ‘Triangle’, piuttosto blanda emozionalmente, e nella orecchiabile ma eccessivamente ripetitiva ‘Bii Biyelgee’ anche se può essere interessante ascoltarle come vengono realizzate, considerando il contesto del disco che è globalmente particolare. Neanche la linea melodica della ballata ‘Mother Nature’ appare irresistibile, ma è molto intrigante e affascinante l’assolo acido di violino.
Il folk mongolo di questa musica è perfettamente integrato con l’anima culturale del rock classico. Anche se l’origine locale sembra preponderante, in realtà l’andamento concettuale è chiaramente ispirato dalla musica americana, anche se collegato pure all’epica scandinava. Il cantato è una lingua mongola, ma non appesantisce l’ascolto, anzi ne valorizza il viaggio percettivo. E’ un canto rauco che dona una certa densità espressiva. Una oscillazione tra rock e metal che denota quanto il loro indurirsi diventi un fatto sostanziale data la forza che viene guadagna in efficacia. Non è musica difficile da ascoltare perché è facilmente intellegibile, non cerebrale, ma è comunque qualcosa di inusuale sebbene il mondo contemporaneo riesca sempre di più a proporci musica occidentale ibridata con le più diverse sfaccettature culturali del mondo. In questo caso c’è poco di commerciale ma molto di serioso, fatto per chi è curioso e sa godere della diversità.
Roberto Sky Latini
Better Noise Music
www.thehuofficial.com
This is Mongol
Yut Hovende
Triangle
Teach Me
Upright destined Mongol
Sell the World
Black Thunder
Mother Nature
Bii Biyelgee
Segee
Shihi Hutu
Tatar Warrior
Black Thunder (Extended)
Galbadrakh “Gala” Tsendbaatar – vocals / xöömej (canto difonico) / morin khuur (horsehead fiddle)
Nyamjantsan “Jaya” Galsanjamts – vocals / xöömej (canto difonico) / scacciapensieri / flauto
Enkhsaikhan “Enkush” Batjargal – vocals / xöömej (canto difonico), morin khuur (horsehead fiddle)
Temuulen “Temka” Naranbaatar – liuto
Jambaldorj “Jamba” Ayush – guitar
Nyamdavaa “Davaa” Byambaa – bass
Unumunkh “Unu” Maralkhuu – percussions
Odbayar “Odko” Gantumur – drums