Womack

III Songs Of Downfall & Deliverance

Certe volte l’ottima ispirazione viene strozzata dalla cattiva esecuzione. Questo lavoro dei finlandesi Womack viene rovinato da una voce non all’altezza del compito. La scrittura ha del feeling tosto; le chitarre inanellano serie di riff davvero gustosi e ficcanti, e c’è anche un perfetto equilibrio tra le ritmiche e le evoluzioni soliste degli strumenti. Ma l’atmosfera è fiaccata da un cantato a volte vicino alla stonatura o male accentata facendo perdere efficacia alla linea melodica. Un danno non da poco.‘BACK ON THE HOOCH’ è un hard rock pastoso e dinamico, dove la voce regge a sufficienza pur facendo trasparire il suo limite esecutivo. Anche ‘DRAG DIRECTION’ fluisce pieno di carnosa enfasi, e qui il ritornello è quello giusto, ma la voce a tratti è davvero penosa, sebbene ci siano istanti funzionanti. ll rock’n’roll boggie bluesato di ‘Mark it Zero’ è un indicativo esempio di come una cantato mal posto riduca la fruttuosità di una musica che invece sembra pronta ad accogliere una ben più tonica incisività vocale.

‘Here come the Grays’ è l’apice negativo di tale scadente vociare. E’ terribile seguire pure ‘Spittin’ Teeth’, un pezzo heavy-dark alla NWOBHM, tonico, dove uno però non vede l’ora che arrivi la parte non cantata. ‘We see better with the Lights Out’ porta verso lande orecchiabili all’inglese, dell’hard rock datato ma avvincente, e ancora la magia svanisce per via del cantante, anche se qui egli rimane decente nei limiti del suo possibile. ‘Shiny Bones’ è la traccia dove canta meglio, ma è una composizione poco interessante, per cui i punti non vengono guadagnati.Ci si affida ad ambientazioni settantiane che però fanno sentire ispirazioni attuali, per un sound pieno di gustose intensità. Il gruppo suona stoner/hardrock pieno di calore e sentimento, ma purtroppo la voce non riesce mai a decollare e tutto viene sorretto dalla riffica che si fa in quattro per regalare emozioni. In dieci anni di vita il livello compositivo è notevolmente migliorato, ma l’ugola non riesce a star dietro all’avanzamento qualitativo dell’insieme.

Il singer non è mai stato bravo, ma oggi sembra addirittura peggiorato; mentre per esempio su ‘Prehab’ del 2014 si riusciva a seguirlo senza problemi nonostante fosse chiara la sua imperfezione. A volte non si riesce a mettere a fuoco una melodia che regga, altre volte la melodia c’è ma il singer non sa renderla digeribile, non sa evidenziarla. La timbrica sarebbe pure adeguata, anche l’arrochimento utilizzato lo è, ma si infilano pseudo-dissonanze storpiate una dietro l’altra. Un cantate che sembra non accorgersi del risultato. E il resto della band? Passi che non lo si capisca mentre si suona, ma cosa percepisce a registrazione avvenuta il resto dei suoi compagni? Uno splendido svolgersi strumentale che la voce ha distrutto. Difficile decidere se promuovere o bocciare questo disco. La linea melodica è importante in queste song, quindi sarei per l’insufficienza, ma se ci fosse stato un cantante dalla corretta performance, le canzoni non sarebbero state solo sufficienti, avrebbero avuto voto alto, per cui l’album così fatto meriterebbe almeno una sufficienza. Però poi, cercando di fare mente locale, ho capito che mai più ascolterò questo loro terzo disco dato il fastidio che la voce mi crea, per cui non resta che concludere che l’opera non merita visibilità.

Roberto Sky Latini

Back on the Hooch
Take out my Eyes
Drag Direction
Mark it Zero
Here come the Grays
Savior Suit
Spittin’ Teeth
We see better with the Lights Out
Shiny Bones
Twenty-one

Jani Blomerus – drums
Janne Hartikainen – guitars
Albert Myllykangas – bass
Henrik Haarlo – vocals