Tsjuder

Helvegr

La voglia di essere estremi spesso riesce a superare ogni cosa, ma non parliamo di una voglia che si ha per ostentare, qui parliamo di un qualcosa che nasce da dentro perché è parte di noi, è parte di ciò che si è.

Questo in musica si traduce con due semplici parole: Black Metal, già perché il black metal non è altro che la trasposizione in note di ciò che realmente si è, non è una farsa come potrebbe far pensare il face painting, è pura e semplice espressione del sé, della violenza che agita il nostro lato oscuro, la rappresentazione di un approccio totalmente nichilista e antisociale alla vita e tutto questo dà vita ad una musica che non ha nessuna intenzione di essere carina o accomodante o piacevole: il black metal è disturbo, inquietudine e soprattutto odio, un odio viscerale, quasi primordiale, verso tutto ciò che conforma, verso tutto ciò che annienta la capacità dell’ uomo di fondersi con il tutto che lo circonda e che insegna cosa sia lo stare nello stato naturale e vivere secondo le sue regole.

Nel corso degli anni, purtroppo, tutto questo si è andato perdendo ed ha trasformato il black metal in una musica tendenzialmente innocua e accomodante, lasciando che perdesse non solo la parte ritualistica legata alla trasmigrazione dell’ uomo dentro il suo vero stato di esistenza ma ha perso la consapevolezza che ogni trasformazione e ogni cambiamento è legato alla sofferenza e all’oscurità e che il tutto genera violenza e necessario isolamento.

Nonostante il passare del tempo, fortunatamente, esistono ancora band in grado di interpretare e incarnare lo spirito animalesco di questa musica e tra queste troviamo gli Tsjuder, un nome collegato a questo estremismo: i norvegesi hanno contribuito a mantenere viva la nera fiamma degli altari del black metal, grazie alla loro ferocia e ai loro testi dissacranti e blasfemi: la loro musica vive e respira odio del quale si nutre esattamente come noi umani ci nutriamo di ossigeno, le composizioni sono una dichiarazione di guerra non solo a tutto il mondo cattolico e al perbenismo che rappresenta ma sono una sconfinata dose di veleno per tutta l’ipocrisia che governa questo mondo: qui apparenza e istrionismo non contano, qui conta solo la sostanza. Gli Tsjuder tornano a percuotere e scuotere il mondo con la nuova release, rilasciata dalla Season Of Mist, il cui nome risponde a Helvegr e rappresenta il viaggio compiuto dai defunti dopo la loro dipartita da questo mondo.

Senza giri di parole, si deve dire che il nuovo lavoro dei Norvegesi è tutto fuorché un viaggio accomodante: il disco è di una violenza inaudita, una violenza capace di sfociare (si prendano le due tracce di apertura dell’ album a riprova) in un rancore cieco ma ben incanalato; non c’è un calo di tensione e non c’è nessuna luce ad attendervi alla fine del viaggio, solo il nero opprimente, putrido e pesante della terra che circonda il vostro corpo dopo essere morti, mentre la vostra “anima” percorre la dannazione eterna vomitando odio su ciò che è stato, e questo accade non solo nei momenti più concitati e feroci ma anche quegli attimi di concessione a tempi più rallentati e a sprazzi melodici, che servono a rafforzare la via della perdizione e dell’ annichilimento.

Helvegr è un chiaro omaggio alla grandezza del black metal, quello che negli anni ’90 ha destabilizzato il mondo: uscito ad otto anni di distanza dal precedente Antiliv e non è affatto un mero compendio di ciò che il black metal ha saputo offrire nel corso degli anni, con questo album i Norvegesi hanno voluto ribadire la loro dedizione alla musica nera, che non solo rappresenta il loro stile di vita ma è essa stessa fonte di ispirazione per il proseguo della stessa: i riff si susseguono feroci e glaciali uno dietro l’altro, incastrandosi alla perfezione, senza orpelli o picche d’angelo: si va dritti al sodo aiutati anche da una certa vena thrash che contribuisce a dare una furia ancora più animalesca al tutto; anche lì dove si rallenta, non lo si fa per giocare con le atmosfere o per cercare altri colori, qui a farla da padrone e solo il nero e le uniche atmosfere contemplate sono solo quelle oppressive, per cui anche le dinamiche più pacate sono dirette, nude e crude, con le chitarre che si accordano alla violenza e pesantezza della sezione ritmica viaggiando all’unisono per dipingere il nero di altro nero.

Cercare momenti progressive o tecnicismi esasperati o contaminazioni negli Tsjuder è un po’ come pretendere che una 500 vinca contro una Ferrari: non è questo il mestiere dei Norvegesi, loro sono fedeli a ciò che il black metal è stato e sarà; le evoluzioni le lasciano agli altri, a loro interessa solo ed esclusivamente annichilire chi si para davanti al loro cammino e se potessero bruciare il mondo, lo farebbero senza pensarci due volte: pertanto se cercate ombre di contaminazioni e altro e non black metal ferale e marcio, volgete il vostro interesse altrove, qui c’è black metal capace di sprigionare puro odio.

Daniele “Darklordfilthy” Valeri

Iron Beast
Prestehammeren
Surtr
Gamle-Erik
Chaos Fiend
Gods of Black Blood
Helvegr
Faenskap og Død
Hvit Død

Nag – vocals bass
Draugluin – guitars vocals (backing)