Little Earthquakes

Tori Amos

Trenta anni fa esordisce una suadentissima cantautrice americana con un album tanto delizioso quanto ispirato. E’ il 13 gennaio 1992 e la casa discografica ne pubblica la seconda versione non accettando la prima che aveva un arrangiamento meno pieno, essendo una forma limitata a voce/pianoforte.

Nel disco ufficiale invece sentiamo tante piccole essenze che, pur in modo delicato, circondano la linea melodica espandendone il feeling emozionale. E’ il periodo del Grunge, e questo introspettivo lavoro trova quindi un pubblico preparato a cose meno facili e immediate. Naturalmente Tori Amos (Myra Ellen Amos il suo vero nome, Tori le viene dal giapponese che significa “uccello”) non ha nulla del Grunge, però vive dentro lo stesso alveo culturale dove il Pop e il Rock troppo leggeri trovano un momento di rallentamento nelle vendite.

Tra i brani migliori sicuramente ‘CRUCIFY’ che ondeggia tra leggiadra orecchiabilità e pathos emozionale forte, con l’atmosfera non banale che testimonia come si può operare insieme fruibilità ed eleganza pregnante dal punto di vista artistico. La bella ‘GIRL’ scorre fluida ma piena, nel suo mantenersi in un tono basso per poi giocare con l’acutezza della propria voce, a cui si aggiunge un crescendo tonico che diversifica la traccia prima di tornare a modalità precedente. Lo scintillìo iniziale del pianoforte e della ritmica quasi a respiro veloce di ‘PRECIOUS THING’ con una batteria a ritmo dispari, i cambiamenti, le vocalizzazioni (anche quella alla Robert Plant), gli effetti sonori, la chitarra distorta che entra in gioco per un breve accento, ne fanno un pezzo eclettico, nervoso, che trasporta nello spirito irrequieto della cantante, presa da un’urgenza espressiva smaniosa, e diventa un pezzo prezioso come il titolo dice. Su tutto svetta la stupenda sofficità di ‘WINTER’ che, dedicata al padre, inietta una densità emotiva davvero unica; di questo episodio da brividi si trova un video su You Tube di un concerto dello stesso anno di uscita dell’album (’92 appunto) che davvero dimostra l’intelligenza decisa di una interprete piena di afflato poetico. La leggera vena dark della title-track ‘LITTLE EARTHQUAKES’, con anche le sue sovra-incisioni vocali, aumenta le escrescenze prog di una musica di solito portata al pascolo calmo, e qui invece punteggiata di spine irritative anche se il finale torna morbido.

La frizzantezza di alcune song come ‘Happy Phantom’ guardano al lato più estroverso della cantante, e sono questi cambiamenti formali in continuo viraggio a creare il saliscendi di piacere di un disco costituito di ampi respiri diversamente caratteriali e di varietà stilistica. E allo stesso modo si muta andando per esempio verso una ballata più classica come ‘China’, alla Carpenters, o verso i Beatles con l’andamento cadenzato di ‘Leather’, ma sempre con la propria  personalità abile a rendere i pezzi importanti. Pur non sembrando un lavoro rock ad un primo ascolto, la portanza concettualmente lo è, e basterebbe poco negli arrangiamenti per dimostrarlo. Un pezzo come ‘Mother’ in effetti possiede proprio una forma rockeggiante che l’uso degli strumenti mimetizza ma non nasconde. Il senso commerciale si ha con ‘Tear in your Hand’ che in effetti non ha la stessa intensità delle altre composizioni. Il primo singolo estratto fu ‘Me and the Gun’ che racconta dello stupro subito a ventun anni; non ebbe il successo degli altri singoli probabilmente per la povertà di scrittura basata sulla sola voce con inoltre una melodia non accattivante, ma ha un significato che rende il personaggio dell’artista piuttosto peculiare, umanamente ricca ma allo stesso tempo persona determinata e senza remore artistiche.

Tutti i brani, sia testi che musiche,  sono frutto delle idee compositive sue. Artista in senso pieno, cantante e musicista, ne fanno una artista tra le più importanti del panorama mondiale. Certamente la scuola proveniente dall’estetica di Kate Bush è un elemento che ha influenzato in modo netto questa artista. Ma c’è molto altro. L’ugola è gestita con abile padronanza virtuosa, in grado di modulazioni sfaccettate. Alcune situazioni sonore la fanno rientrare nell’ambito del genere disseminato di voci soffuse ed introspettive che nel tempo troveranno sempre più artisti a viverlo. Però in questa dimensione gli attimi rarefatti hanno per contraltare passaggi molto tonici che spesso aumentano di spessore tramite i tasti del piano colpiti con forza. Del resto tra le sue passioni giovanili troviamo Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Il disco trovò grande risonanza tra il pubblico e vendette milioni di copie, più in Gran Bretagna che negli USA, a testimoniare forse la sua essenza più acculturata rispetto a certa musica mainstream americana. Nonostante ne possiamo oggi festeggiare il trentennale (e sedici album dall’esordio), il disco appare ancora in grado di sembrare alternativo, di avere una connotazione valoriale diversa e anticonformista. Attualmente Tori Amos è ancora attiva e l’ultimo lavoro è del 2021 (‘Ocean to Ocean’). Il tempo quindi passa, ma questo disco rappresenta appieno l’era innovativa degli anni novanta, esempio di evoluzione della pura arte, elemento attivo del mutamento.

Roberto Sky Latini

Atlantic Records EastWaste
www.toriamos.com

Crucify
Girl
Silent All These Years
Precious Things
Winter
Happy Phantom
China
Leather
Mother
Tear in Your Hand
Me and a Gun
Little Earthquakes

Tori Amos – vocals / keyboards /sampled strings
Steve Caton/David Rodhes  – guitar
Phil Shenale – keyboards
John Chamberlain – mandolin
Eric Williams – ukulele
Stuart Gordon – violin
Will Gregory – oboe
Philly – finger cymbal
Will McGregor/Jeff Scott/Matthew Seligman – bass
Chris Hughes /Ed Greene/Carlo Nuccio/Eric Rosse  – drums
Paulinho Da Costa – percussion