The Flower Kings

Love

Il Prog rock non è morto ma come tutto il rock odierno può scegliere le comfort-zone e concentrarsi sulla creazione di belle canzoni piuttosto che infiltrarsi nei meandri di ipotetiche innovazioni. E’ quello che questa band svedese imposta con tale nuova opera, innalzando pinnacoli eleganti e tecnicamente virtuosi pur permanendo negli alvei a lei più confacenti. Diciottesimo full-lenght dal 1995, e questa impostazione canonica avviene anche in riferimento alla propria essenza riproducendo forme già sperimentate da essi stessi, ma anche in riferimento alla tradizione del genere, in quanto rispetto ai primi lavori, i quali avevano una maggiore specificità espressiva e maggiore personalità, si va a pescare di più da altre band storiche.

La prima traccia ‘We claim the Moon’ vive di ritmo, è frizzante e strutturata in modo da gestire con rilevanza le parti soliste con vocalizzi corali e passaggi veloci tra una sezione e l’altra, ma con la sensazione che tutto sia prevedibile. Il livello si alza con ‘THE ELDER’ che è una ballata molto emozionale; cantata un po’ al modo dei Magnum essa sottolinea la capacità ancora di toccare l’anima dell’ascoltatore, costellando il percorso di assoli e di ampiezze ariose, ma anche di umori che seguono una scia variabile, pure leggermente introspettiva in alcuni punti, tutto tipico del genere ma senza eccessi tecnicisti e con un feeling più profondo. Fluida e suadentemente pigra nel suo avanzare ‘THE RUBBLE’ viene interpretata con voce da crooner, ma il pezzo scorre avvolgente soprattutto grazie alla chitarra liquida che percorre tutta la canzone, infiltrandosi continuamente nella struttura con volute soliste di pregiata fattura, sostenuta anche da una tastiera leggera e raffinata.

Con suggestioni vintage di ampio respiro, ‘LOVE IS’ possiede alta classe espressiva, in una linea vocale morbida ed un tasto stilistico molto tradizionale che ondeggia tra Genesis e Camel, con enfatico feeling, e anche un passaggio alla Beatles, e tanta tanta luce nella sua forma sonora, pure nel suo breve momento più indurito. Invece con ‘WALLS OF SHAME’ si inserisce una netta deriva alla Pink Floyd, una escrescenza intensa che funziona con l’anima piena di sentimento che culla l’ascoltatore sia con il cantato che con gli strumenti; un episodio tonico pur nella sua calma rassicurante.  L’album si chiude con ‘Considerations’ che ha il suo buon appeal, ma come il brano d’apertura, anche se in modo meno dinamico, rappresenta ciò che di più standard il prog può proporre, con tra l’altro un finale pseudo-maestoso, tipicamente usato nel terminare in maniera enfatica un disco, ma qui copiando male l’atmosfera finale di ‘Gates of Delirium’ degli Yes, che rovina un brano alla fin fine soddisfacente, pur non essendo il migliore del lotto.

Il messaggio del disco lo dà il titolo, l’Amore come unico antidoto, in tutti i campi relazionali, a ciò che vediamo non funzionare; l’Amore non come sentimentalismo ignavo ma come azione reale capace di rigenerare, e i suoni lo raccontano bene oltre a come fanno le parole dei testi. Comunque non è musica immediata, in grado di caratterizzare la singola traccia in maniera decisa; è piuttosto una fruizione che necessita di attenzione e concentrazione, così solo dopo diversi ascolti ci si può lasciare andare. La scelta dicevamo è stata quella di scorrere in un alveo conosciuto, concentrato eminentemente a scrivere bene delle song pregnanti e qualitative. Scopo raggiunto appieno per un album che alla fine diventa uno dei migliori della loro carriera, dentro un panorama che li vede ancora perfetti rappresentanti. L’Arte è inventare ma anche no, è anche trovare, come in questo caso, begli spiragli ispirati pur nella materia già codificata dalla storia.

Roberto Sky Latini

Il nucleo del mitico gruppo svedese, nacque intorno al 1993, dove durante le sessioni dell’album solista, The Flower Kings, di Roine Stolt, si aggiunsero Jaime SALAZAR (batteria)

e Hasse Bruniunsson (percussioni) nonché Hasse Fröberg (voce solista e cori). Dopo qualche tempo, Roine decise di formare una band usando il nome dell’album solista, così nacque ufficialmente la band con l’aggiunta del tastierista Tomas Bodin ed il fratello di Roine, Michael, al basso. Il loro primo bellissimo album, del 1995, Back in the World of Adventures impressionò molto la critica per la loro vicinanza allo stile di gruppi come Moody Blues, Genesis e Jethro Tull.

Con Love, i Flower Kings tornano con un album che incarna perfettamente la loro filosofia musicale e tematica: un messaggio di pace, amore e trasformazione, avvolto in un sound prog rock ricco e stratificato. Sebbene non si tratti di un concept album vero e proprio, il disco è permeato da un filo conduttore chiaro—l’amore come forza rigeneratrice—che si sviluppa in tre atti distinti, quasi fossero movimenti di una sinfonia rock.

L’album si apre con We Claim the Moon, un brano energico che combina riff potenti e melodie ascendenti, tipiche dello stile di Roine Stolt. La voce condivisa tra Stolt e Hasse Fröberg funziona alla perfezione, creando un effetto corale che è diventato un marchio di fabbrica della band.

Il primo vero capolavoro dell’album è The Elder, un brano epico di 11 minuti che mostra tutta la maestria compositiva dei Flower Kings. La chitarra di Stolt si intreccia con le tastiere di Lalle Larsson in un dialogo melodico che ricorda i grandi classici del progressive rock, senza mai scadere nel virtuosismo fine a sé stesso. How Can You Leave Us Now? è un altro momento toccante, con il suo pianoforte malinconico e una melodia che evoca un lamento universale. Qui la band dimostra di saper dosare perfettamente pathos e raffinatezza strumentale.

La parte centrale dell’album è introdotta da World Spinning, un brano strumentale che funge da interludio, seguito da Burning Both Edges e The Rubble, canzoni che affrontano temi di crisi e necessità di cambiamento. Sebbene queste tracce non raggiungano l’intensità delle precedenti, contribuiscono a costruire la narrazione dell’album.

Tutto è pronto per il grandioso finale che si apre con Kaiser Razor, un altro strumentale che prepara il terreno per la suite conclusiva. Love Is è un inno commovente all’amore universale, mentre Walls of Shame richiama l’attesa di un cambiamento epocale. La chiusura è affidata a Considerations, scritta dal fratello Michael, che con il suo assolo di tastiera trascinante porta l’album a un finale maestoso.

Love potrebbe inizialmente sembrare “solo un altro album” dei Flower Kings, ma un ascolto più attento rivela una struttura ben ponderata e una profondità tematica che lo rendono uno dei loro lavori più coerenti degli ultimi anni. Sebbene manchino le epiche da 20 minuti dei primi album, la band compensa con una varietà di brani ben bilanciati e un sound che unisce nostalgia e modernità. In sintesi si tratta di un lavoro che, senza rivoluzionare la loro discografia, conferma la grandezza di una band che continua a credere nel potere della musica come veicolo di bellezza e trasformazione.

Massimo Cassibba

TRACK LIST

We Claim The Moon
The Elder
How Can You Leave Us Now!?
World Spinning
Burning Both Edges
The Rubble
Kaiser Razor
The Phoenix
The Promise
Love Is
Walls Of Shame
Considerations

LINE UP:

Mirko DeMaio – Drums & Percussion
Lalle Larson – Grand Piano, Rhodes Piano, Hammond B3 & Synthesizers
Hans Fröberg – Vocals
Michael Stolt – Bass, Moogbass, Vocals
Roine Stolt – Vocals, Electric & Ac. 6 & 12 string Guitars & Ukulele

SPECIAL GUESTS

Hasse Bruniusson – Percussion
Jannica Lund – Vocals
Aliaksandr Yasinski – Accordion
And thanx to Jacob Collier and his “World Choirs”